La città etnea aveva atteso dall'inizio del
campionato questo match. Il Derby di Sicilia, con i rivali di
sempre del Palermo, si era giocato l'ultima volta in serie A nella stagione
'62-'63. Il ritorno del Catania nella massima serie dopo 36 anni aveva riacceso
i riflettori sulla sfida, e non solo quelli di tifosi e media. Messo in
calendario al 4 febbraio, la concomitanza con la festa di Sant'Agata (santa
patrona della città) aveva spinto le istituzioni cittadine a chiederne il
rinvio, per evitare disordini.
Alla fine si optò per l'anticipo al venerdì,
alle 18.30, rispetto agli altri incontri della III giornata di ritorno del
campionato 2006-07. Fin dalle prime battute del match, all'esterno dello stadio
"Angelo Massimino", s'iniziarono a registrare i primi scontri tra
gli ultras catanesi e la tifoseria ospite, divisi da un cordone di centinaia di
agenti in assetto antisommossa. Tra loro l'ispettore capo di polizia Filippo
Raciti, catanese doc, che aveva da poco compiuto quarant'anni.
Mentre fuori il clima si faceva sempre più
incandescente, all'interno gli spettatori, ignari, continuavano a seguire la
partita fino ai primi lanci di lacrimogeni: a questo punto si scatenò il panico
ed iniziò una fuga in massa verso i cancelli, con l'arbitro costretto a
sospendere la gara per 40 minuti.
Nel frattempo si rincorsero le notizie sui primi
feriti tra gli agenti. Il peggio, però, doveva ancora venire. Finito l'incontro
all'esterno dello stadio si scatenò la guerriglia, con 1.200 agenti impegnati a
contenere la furia devastatrice di 250 ultras locali.
Verso le 22 si apprese della morte di Raciti.
L'agente, colpito violentemente da un corpo contundente (nelle prime ore si era
parlato erroneamente di una bomba carta), era stato trasportato al vicino
ospedale Garibaldi ferito gravemente e qui, dopo tre quarti d'ora di agonia,
era spirato.
La notizia fu scioccante per gli addetti ai
lavori, considerando che soltanto il sabato precedente un altro tragico
episodio si era verificato nell'ambiente calcistico, con la morte di un
dirigente di una squadra dilettantistica, aggredito a calci e pugni dai
calciatori della squadra avversaria.
In quel momento il mondo del calcio, attraverso
la voce della FIGC, decise di fermarsi per mandare un messaggio
forte contro la violenza nello sport. A livello governativo si presero
importanti misure per prevenire e punire gli episodi di intemperanza tra i
supporter. Tra queste la scelta, demandata all'Osservatorio nazionale sulle
manifestazioni sportive del Viminale, di autorizzare o meno le
trasferte delle tifoserie più "calde".
Sul piano delle indagini, grazie alle riprese del
circuito di videosorveglianza dello stadio, fu possibile ricostruire, in poco
tempo, la dinamica dell'accaduto e risalire all'identità degli autori
dell'aggressione omicida.
In pratica, a causare la ferita mortale allo
sfortunato agente era stato un sottolavandino, scardinato dai bagni
dello stadio e lanciato con violenza da due individui. Questi ultimi vennero
identificati in Antonio Speziale, principale indiziato e all'epoca minorenne, e
Daniele Micale, entrambi ultras del Catania.
Nonostante avesse continuato fino all'ultimo a
professarsi innocente, il primo venne condannato a 14 anni di carcere per
omicidio preterintenzionale, condanna poi ridotta a 8 in Corte d'Appello e
confermata in Cassazione. Undici anni in via definitiva per il secondo.
La tragedia, che valse a Raciti la medaglia
d'oro al valor civile alla memoria, non impedì alla moglie Marisa
Grasso di impegnarsi attivamente come ambasciatrice di una cultura
dello sport estranea a qualsiasi forma di violenza, in campo e sugli spalti. La
stessa presenziò al derby di Sicilia del 2011, tornato a giocarsi nuovamente al
Massimino a quattro anni dalla morte di Raciti.
https://www.mondi.it/almanacco/voce/147002
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