Tre
mesi dopo l'annessione del Regno delle Due Sicilie, furono bandite
le elezioni per il Parlamento dell'ottava legislatura, in continuità con quello
già esistente nel Regno sabaudo, regolamentato dallo Statuto Albertino del
1848. Quest'ultimo, infatti, prevedeva un sistema bicamerale composto
da un Senato vitalizio di nomina regia e da una Camera dei deputati eletta
a suffragio censitario maschile (che riconosceva il diritto di
voto soltanto a coloro che avevano un certo livello di ricchezza, al contrario
del suffragio universale che non fa distinzioni di alcun tipo).
Ciò comportò che alle elezioni del 27 gennaio e del 3 febbraio
1861 furono chiamati al voto 418 mila cittadini maschi in rappresentanza di 22
milioni di italiani. Per via anche dell'astensione dei cattolici, invitati dal
Papa a disertare le urne, alla fine votarono soltanto in 240 mila, l'uno per
cento del totale, le cui preferenze indicarono i 443 componenti della
"camera bassa". Gran parte degli eletti apparteneva alla nobiltà
(conti, baroni, etc.), agli ordini cavallereschi e alla borghesia delle
professioni (avvocati, medici, ingegneri).
Tutto era stato organizzato perché la prima seduta si tenesse verso la metà di
febbraio nella capitale del Regno sabaudo. La sede fu individuata nel cortile
di Palazzo Carignano (splendida residenza barocca di Casa
Savoia), dove a tempo di record - all'incirca due mesi - fu realizzata
un'aula semicircolare a forma di ferro di cavallo. Uno dei due progettisti,
Amedeo Peyron, congegnò per ogni scranno un sistema di bottone-molla che
permetteva ad ogni deputato di chiamare gli uscieri.
Il gran giorno arrivò lunedì 18 febbraio. Un'aula gremita accolse, al
grido «Viva il re d'Italia», Vittorio Emanuele II cui
spettò l'onore del discorso inaugurale. Ai lati del trono i figli del sovrano
Umberto Principe di Piemonte e Amedeo duca d’Aosta, e i diplomatici di altre
nazioni europee. Il primo compito dell'assemblea fu di approvare la legge
istitutiva del Regno d'Italia, promulgata il successivo 17 marzo e con la
quale venne attribuito a Vittorio Emanuele II e ai suoi successori il titolo di
"Re d'Italia".
L'assetto istituzionale del nuovo organismo era definito in base allo Statuto
Albertino assunto come carta costituzionale dello Stato unitario.
Secondo lo Statuto, il Re era il capo supremo dello Stato ed esercitava in via
esclusiva il potere esecutivo, attraverso i ministri che nominava
personalmente, e quello giudiziario affidato a giudici di
nomina regia. Il potere legislativo era affidato al Sovrano e
ai due rami del Parlamento, fermo restando che il primo aveva la facoltà di
respingere qualsiasi legge approvata dal secondo.
Ciò era vero in teoria; nella prassi, tuttavia, si instaurò un rapporto di
graduale fiducia tra Governo e Parlamento, al punto che la scelta dei ministri
venne sempre più orientata dalle indicazioni dell'assemblea elettiva. Nei mesi
successivi quest'ultima si trovò ad affrontare l'arduo compito di organizzare
la vita amministrativa del paese, riducendo al contempo le profonde differenze
dal punto di vista economico, sociale e dei servizi scolastici e assistenziali.
Altra questione spinosa era il rapporto tra il Regno e la Chiesa di Roma, che
trovò una prima sistemazione soltanto dieci anni dopo con la Legge
delle Guarentigie. A complicare le cose fu l'improvvisa morte di
Cavour, il 6 giugno del 1861, che originò un clima di forte instabilità,
con la successione di ben cinque governi in appena 4 anni.
https://www.mondi.it/almanacco/voce/217003
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