Il 4 maggio 1949, di rientro da Lisbona, l'aereo con a bordo il Grande Torino si schianta sul colle di Superga: muoiono tutti i 31 passeggeri.
"Il Torino era
una squadra troppo meravigliosa per invecchiare". - Carlo Carlin
Bergoglio, 'Tuttosport', 5 maggio 1949.
Estate 1948. Il Torino del presidente Ferruccio
Novo domina da anni in Italia e si appresta a vivere da protagonista
una nuova stagione. Nonostante il Secondo conflitto Mondiale gli abbia tolto di
fatto due Scudetti, ne ha vinti 4 consecutivi, più una Coppa Italia, lasciando
pochissimo alle sue avversarie. I suoi giocatori sono l'ossatura della
Nazionale italiana, che l'11 maggio 1947, contro l'Ungheria, scende in
campo con 10 calciatori granata più Sentimenti IV, portiere della Juventus, e
che nel 1950 dovrà difendere in Brasile il doppio titolo Mondiale conquistato
nelle edizioni del 1934 e del 1938.
La fama di quella squadra ha ormai travalicato i confini nazionali, tant'è
ero che la nuova stagione si apre per i campioni d'Italia con una lunga
tournée in Brasile. Anche alla luce del successo dell'iniziativa, e
delle numerose richieste ricevute, Novo pensa ad una squadra che, con una
rosa allargata, possa da un lato continuare a competere per lo Scudetto,
dall'altro mostrare il suo calcio in giro per il Mondo.
I titolari storici iniziano a risentire in alcuni elementi del peso degli
anni, così sul calciomercato il numero uno granata si preoccupa di acquistare
rinforzi che rappresentino nel breve periodo una valida alternativa ai titolari
e che nel lungo possano diventare i loro successori. La squadra, con Roberto
Copernico passato alla Commissione tecnica della FIGC che guida la Nazionale, è
affidata all' allenatore inglese Leslie Levesley, ma la vera
mente è Egri Erbstein, nominato ufficialmente Direttore
tecnico dopo esser stato per anni consigliere di Novo.
Scelti da Goal
In porta gioca l'inossidabile Bacigalupo, a destra
c'è Aldo Ballarin, mentre a sinistra il giovane campione Virgilio
Maroso, afflitto spesso da problemi di pubalgia, trova in Operto e Sauro
Tomà delle valide alternative. Rigamonti è il mastino
difensivo del sistema, supportato dai due mediani Grezar e
Martelli, che hanno nell'esperto Castigliano e
nel giovane Fadini le loro alternative. Le due mezzali, Loik e Valentino
Mazzola sono le due colonne portanti. Davanti il tridente d'attacco
vede il trentatreenne Gabetto centravanti, supportato dai due
esterni offensivi Romeo Menti e Franco Ossola.
La partenza in campionato è un po' soft, e vede la sorprendente
Lucchese partire in quarta. Poi 'gli invincibili' granata impongono la
legge del più forte e si portano in testa. Mentre i toscani scivolano in
classifica, alle spalle del Torino emergono Sampdoria e
soprattutto Inter, trascinata dai due bomber Amedeo
Amadei e István Nyers. Il 6 gennaio 1949 il Torino si laurea
campione d'inverno con 3 punti di margine su Genoa, Inter e Lucchese,
seguite dalla Sampdoria.
Quando succedeva di andare sotto nel punteggio, dagli spalti del Filadelfia
risuonava la tromba del capo-stazione Oreste Bolmida, che
dava inizio alla riscossa. Capitan Mazzola si piegava le maniche della maglia e
il Torino aumentava in modo vertiginoso i ritmi di gioco, travolgendo il
malcapitato avversario di turno, che veniva puntualmente rimontato. Era il
famoso 'Quarto d'ora granata'.
Nel girone di ritorno, alla 23ª giornata, il Torino allunga a +6 sulle
inseguitrici Sampdoria e Inter, ma dopo 3 giornate i nerazzurri si rifanno
sotto a -4. Diventa così decisivo lo scontro diretto, che dovrebbe teoricamente
disputarsi il 1° maggio. Invece, su richiesta del Torino, che ha programmato in
settimana un'amichevole con il Benfica, la Federazione
accorda l'anticipo a sabato 30 aprile.
A San Siro, dove i granata si presentano in formazione rimaneggiata senza
Valentino Mazzola e Maroso, lo scontro al vertice si chiude sullo 0-0.
Con 4 punti di margine a 4 giornate dalla fine del
torneo il Torino è virtualmente campione d'Italia per la 5ª volta
consecutiva e Novo dà il permesso ai suoi giocatori di andare in
Portogallo. Manca solo l'ufficialità, ma lo Scudetto appare una formalità.
Invece quella contro l'Inter resterà l'ultima partita ufficiale del
Grande Torino.
DA CAGLIARI A LISBONA:
LA MANO DEL FATO
A campionato 1948-49 in pieno svolgimento, il Torino, principalmente
attraverso il suo capitano Mazzola, fedele alla linea sposata dal presidente
Novo, aveva preso accordi con diverse società per giocare delle amichevoli. Fra
queste una partita era stata fissata per il 4 maggio 1949 contro il Cagliari
allo Stadio di Via Pola.
"Un settimanale sardo, 'Sardegna Sport', in data 15 marzo
1949, titolava: 'Il Torino il 4 maggio a Cagliari?' - racconta in
esclusiva a Goal lo storico dello sport Mario Fadda - Sotto
un altro stralcio del giornale recitava: 'I dirigenti del Cagliari
hanno preso accordi con la dirigenza granata per disputare un'amichevole il 4
maggio in occasione del ritorno di Sant'Efisio in città'. La notizia
mi ha incuriosito e ho voluto approfondire" .
Santo venerato a Cagliari e in tutta la Sardegna, e martirizzato sotto
l'imperatore romano Diocleziano il 15 gennaio del 303 d.C. a Nora, Efisio,
prima di morire, secondo quanto tramandato dalla tradizione cattolica, aveva
invocato la protezione di Dio per tutti i sardi. Per questo motivo è ancora
oggi molto venerato sia nel capoluogo isolano, sia in tutta la Sardegna.
Durante la Seconda guerra Mondiale, nemmeno i bombardamenti americani avevano
impedito che il suo simulacro fosse portato in processione dai fedeli.
Il 4 maggio 1949 cadeva di mercoledì, a metà settimana, e quel giorno
terminava la sagra, la grande festa, con il rientro del simulacro dal luogo del
martirio. Sia i granata, sia i rossoblù, che allora militavano in Serie C, non
avevano impegni di campionato. E nella prima metà del XX secolo era frequente
che, a conclusione della festa, venissero allestite manifestazioni sportive.
Il tramite era il dirigente del Cagliari Peppino Deiana, commerciante
di pellami che aveva una conceria ed era molto amico di Valentino
Mazzola, capitano del Torino, il quale, di secondo mestiere, faceva il
fabbricante di palloni. Inoltre il Direttore tecnico del Torino era Egri
Erbstein, colui che da allenatore del Cagliari nel 1930/31 aveva vinto
il campionato di Prima Divisione, portando per la prima volta i sardi in Serie
B.
I rapporti fra le due società, insomma, erano ottimi, come testimona l'anno
precedente la cessione in prestito gratuito ai rossoblù di 3 giovani
calciatori, il difensore Ferdinando Terzolo e gli attaccanti
Ezio Ronzi e Armando Segato, futuro azzurro e campione d'Italia con la
Fiorentina.
"Deiana, originario di Selargius, frequentava spesso il Filadelfia,
quella che era la casa del Grande Torino, ed era perciò conosciuto e amico
anche degli altri componenti della rosa. Gli accordi erano
stati presi con la dirigenza del Torino fra fine febbraio e inizio
marzo. Senonché il 27 febbraio si gioca a Genova
Italia-Portogallo , Ferreira stringe amicizia con Mazzola e si
prendono accordi per organizzare un'amichevole da giocare a
Lisbona, inizialmente senza una data ufficiale".
C'è stato così un sovrapporsi successivo di date. Alla fine i dirigenti si
sono ritrovati con 2 partite da giocare nello stesso periodo e il Torino non
poteva permettersi, nella fase più calda del campionato, di disputare due
amichevoli in 2 settimane consecutive. Così, anticipato al 30 aprile lo scontro
Scudetto con l'Inter, scelsero, con il benestare di Novo, a
lungo titubante, di andare a Lisbona, gara che dava loro maggiori
introiti, rinviando invece a fine stagione, ovvero agli ultimi giorni di
giugno, la sfida con i sardi.
"In un'intervista rilasciata dopo la tragedia, Deiana raccontò che,
appreso del rinvio della gara, aveva allestito la sua villetta
campidanese a Selargius per ospitare l'intera squadra. I granata
avrebbero fatto a quel punto una vacanza lunga nell'isola. Era
tutto organizzato nei dettagli: dopo la partita amichevole, era previsto un
tour per visitare le spiagge della Sardegna, ma anche la partecipazione a
battute di caccia grossa".
"Non sembri strano che in quel periodo una grande squadra come il
Torino venisse in Sardegna a giocare un'amichevole contro una squadra di Serie
C. - sottolinea Fadda - Due anni prima, ad esempio, a giugno
del 1947 la Juventus fece un'amichevole a Sassari, con Boniperti in campo contro
la Torres pochi mesi dopo il suo esordio in bianconero. Ma nell'isola vennero
anche il Genoa, che giocò contro una Selezione mista del Sud Sardegna, e la
Lazio, che affrontò il Carbonia, neopromosso in Serie C. Era una cosa normale
che le grandi società aiutassero le piccole realtà a fare incassi importanti.
In cambio anch'esse avevano un ritorno economico ma anche pubblicità e nuovi
tifosi".
L'ULTIMA PARTITA:
L'AMICHEVOLE COL BENFICA
Il 3 maggio, giorno di Festa nazionale in Portogallo, in
cui si celebra l'anniversario della scoperta del Brasile, il Torino va
dunque a Lisbona per giocare contro il Benfica un'amichevole
pro-calciatore per aiutare Ferreira, capitano delle Aquile.
"Non, come spesso si è scritto perché si ritirava, visto che ha
giocato per altri 5-6 anni, ma perché era in difficoltà economiche e
quella partita era un modo per uscire dalla crisi. Succedeva infatti spesso
all'epoca che i calciatori, grazie all'aiuto e alla comprensione di alcuni
amici e colleghi, riuscissero ad organizzare delle amichevoli che richiamassero
una buona quantità di pubblico sugli spalti, nelle quali la società li
garantiva l'intero incasso o metà incasso, come avvenne in questo caso".
Il volo con a bordo il Torino, tecnici, dirigenti e 3 giornalisti al
seguito della squadra, il Direttore di Tuttosport Renato
Casalbore, Luigi Cavallero de 'La Nuova Stampa' e Renato
Tosatti, de 'La Gazzetta del Popolo', parte da Milano Malpensa il 1°
maggio alla volta di Lisbona. A bordo si registrano alcune defezioni. Non c'è
innanzi tutto il presidente Novo, convalescente dopo una brutta
broncopolmonite. Non è presente Sauro Tomà, bloccato da un infortunio al
ginocchio.
Non ci sono nemmeno il portiere di riserva Renato Gandolfi, che
cede il suo posto al terzo portiere, Dino Ballarin, fratello
di Aldo, su intercessione di quest'ultimo, Luigi Giuliano, capitano della
Primavera granata che aveva già debuttato in Prima squadra facendo molto bene,
e alcuni componenti della Primavera che avranno poi una discreta carriera. Fra
questi Pietro Biglino e il terzino Pietro Bersia (che
esordirà in Serie A dopo la Tragedia e diventerà successivamente capitano del
Cagliari, ndr).
Fra i giornalisti al seguito mancano il telecronista Nicolò
Carosio, bloccato in Italia dalla cresima del figlio, e Vittorio
Pozzo, che aveva rotto con Novo dopo esserne stato a lungo un fidato
collaboratore e per questo fu escluso dalla comitiva. Parte regolarmente invece
Valentino Mazzola, pur febbricitante, che aveva saltato il confronto Scudetto
con i nerazzurri.
L'iniziativa del Benfica ha grande successo. All'Estadio Nacionál della
capitale lusitana, il pomeriggio del 3 maggio, per vedere il Grande Torino
accorrono infatti 40 mila spettatori. L'amichevole termina 4-3 per i
portoghesi. Arbitra l'inglese Pearce e Ossola, che ha appena saputo che sua
moglie è incinta di un secondo figlio, apre le marcature segnando un gran goal.
Che il clima sia amichevole lo si capisce quando il Benfica in 15 minuti si
porta sul 3-1: doppietta di Melao e goal di Arsenio. Prima di andare a riposo
c'è tempo anche per una rete di Bongiorni, subentrato a Gabetto.
Nella ripresa arriva addirittura il poker delle Aquile con Rogerio, a segno
all'85', prima che un rigore di Menti fissi il risultato finale sul 4-3. Gli
spettatori, che hanno pagato il biglietto per godersi lo spettacolo, non sono
rimasti delusi, come del resto neanche Ferreira e gli stessi giocatori del
Torino.
IL DISASTRO AEREO
Mazzola e compagni sono stanchi, per questo decidono di ripartire subito
per Torino la mattina seguente. L'aereo con a bordo tutta comitiva, un trimotore FIAT
G.212, con marche I-ELCE, delle Avio Linee Italiane, decolla
dall'aeroporto di Lisbona alle 9:40 di mercoledì 4 maggio 1949. A
comandarlo è il tenente colonnello Pierluigi Meroni, il cui
nome tornerà alla ribalta 18 anni dopo con la morte del giovane talento granata
quasi suo omonimo, e sarà letto anch'esso come un inquietante segno del
destino.
Il velivolo atterra alle 13 all'aeroporto di Barcellona per
fare rifornimento. Qui i calciatori del Torino incrociano quelli del
Milan che stanno andando a Madrid per giocare a loro volta
un'amichevole contro il Real Madrid. Fra questi c'è anche Carappellese,
attaccante che vestirà in futuro anche la divisa granata, e racconta di aver
visto i giocatori granata distrutti dalla stanchezza.
Il FIAT G.212 riparte alle 14.50, ma, anziché dirigersi a Milano
Malpensa, come inizialmente programmato, fa rotta diretta per l'aeroporto di
Torino-Aeritalia. Ma chi ha deciso il cambio di destinazione? Ancora
oggi resta il mistero, ma si fanno diverse ipotesi.
La prima possibilità è che proprio perché particolarmente stanchi, i
giocatori granata e in particolare Valentino Mazzola abbiano chiesto al
comandante Meroni di arrivare direttamente a Torino. La seconda è che il cambio
di rotta fosse dovuto a motivi di dogana: era probabile che la comitiva avesse
fatto acquisti a Lisbona e in caso di arrivo diretto nel capoluogo piemontese
avrebbe goduto di controlli più leggeri da parte dei finanzieri rispetto a
Milano.
All'altezza di Savona l'aereo vira verso nord, e si prevede arrivi a
destinazione nel giro di mezzora. Sta di fatto che a Torino il tempo è
pessimo, con nuvole basse e fitte che ricoprono il cielo, pioggia
battente, forte vento di libeccio con raffiche e visibilità orizzontale
scarsissima (40 metri). Sicuramente non le condizioni ideali per
viaggiare. La comunicazione arriva ai piloti del FIAT G.212 alle ore
16.55.
Dopo alcuni minuti di silenzio, alle 16.59 arriva la risposta dall'aereo:
"Quota 2.000 metri. QDM su Pino, poi tagliamo su Superga".
A Pino Torinese, a sud est di Torino, c'è una stazione radio VDF (VHF
direction finder), per fornire un QDM (rotta magnetica da assumere per
dirigersi in avvicinamento a una radioassistenza) su richiesta. In un'epoca in
cui la radionavigazione non disponeva di strumenti tecnologicamente avanzati,
normalmente si sarebbe optato per quello che in gergo aeronautico è chiamato
QCO, ossia la deviazione del volo verso uno scalo più sicuro, in questo caso
Malpensa o Linate. Tuttavia l'ordine da Torino non arriverà mai.
Alle
17:02 l'equipaggio chiama così per l'ultima volta la torre di Torino, per avere
conferma dell'angolo di approccio alla pista, che viene confermato. Il
pilota, una volta giunto sulla perpendicolare di Pino Torinese, conta dunque di
virare di 290 gradi di prua per allinearsi alla pista do Torino-Aeritalia,
lasciandosi sulla destra il Colle di Superga con la relativa basilica.
Ma l'aereo, anziché con la pista di
atterraggio, si allinea fatalmente con la Collina di Superga: il
forte vento di libeccio avrebbe spostato di qualche grado l'angolo di approccio
di I-ELCE alla pista, inoltre l'altimetro (si scoprirà nelle indagini che
seguiranno l'incidente) è impazzito, bloccandosi a quota 2000 metri, mentre in
realtà il velivolo si trova a soli 600 metri dal suolo.
Il pilota
è indotto in errore, si vede sbucare davanti la basilica all'improvviso e con
una velocità di 180 chilometri orari non può più far nulla. Non risultano del
resto tentativi in extremis di riattaccata o virata. Sono le 17.03 del 4 maggio 1949 e il
trimotore FIAT G.212 con a bordo il Grande Torino si schianta contro il
terrapieno della Basilica di Superga, avvolta in una fitta nebbia. Alle
17.05 Aeritalia Torre chiama I-ELCE, non ricevendo alcuna risposta.
Tutto è
compiuto. L'aereo si disintegra, scoppia un incendio e i corpi bruciacchiati
dei 31 occupanti vengono sbalzati fuori fra il prato e alcune stanze della
stessa basilica. Non
ci sono sopravvissuti. Qualcuno, dopo il
boato generato dall'incidente, urla: "È caduto un aereo!". Quando le
fiamme iniziano a dissolversi, il primo ad accorrere sul luogo della tragedia
è il capellano di
Superga Don Tancredi Ricca, che stava nella sua stanza al
primo piano leggendo il suo libro di preghiere, e subito si trova di
fronte uno spettacolo
terribile e straziante.
Sul posto
arrivano i primi soccorritori. Fra questi anche Amilcare Rocco, muratore che abita a
pochi metri dalla basilica, con altre persone. Qualcuno
trova una foto per
terra e vede che è quella del Torino del 1946. In quel
momento si materializza il dramma che è appena accaduto: "Ma quello è il Torino!", esclama
in dialetto. Don Ricca trova le maglie granata con lu Scudetto cucito. Non ci
sono più dubbi.
La
notizia si diffonde rapidamente e oltrepassa i confini nazionali, facendo
rapidamente il giro del Mondo. Nello schianto avevano perso la vita Bacigalupo, Aldo e Dino Ballarin,
Bongiorni, Castigliano, Fadini, Gabetto, Grava, Grezar, Loik, Maroso, Martelli,
Valentino Mazzola, Romeo Menti, Operto, Ossola, Rigamenti e Schubert, i
18 giocatori del Grande Torino che avevano preso parte alla trasferta a
Lisbona. Con loro erano morti il
D.g. Agnisetta, il consigliere Civalleri, il Direttore Tecnico Egri Erbstein,
l'allenatore Lievesley e il massaggiatore Cortina, i tre
giornalisti al seguito, ovvero Casalbore,
Cavallero e Tosatti, l'organizzatore Bonaiuti e i 4 membri
dell'equipaggio, fra cui il comandante Meroni.
Centinaia
di persone provano a salire sul colle. Fra i primi c'è anche Vittorio Pozzo, ex Ct. della Nazionale, cui
viene chiesto l'ingrato
compito di riconoscere le salme sfigurate dei suoi
ragazzi, che i carabinieri stavano via via estraendo.
Accetta e
dopo aver individuato le prime salme, fra cui quella di Romeo Menti, che
portava sulla giacca una spilla con il simbolo della Fiorentina, sente
qualcuno che gli tocca le spalle. "Your
boys", "I
tuoi ragazzi", gli dice un gigante avvolto in un
impermeabile. È John
Hansen, il centravanti danese della Juventus, anche lui
accorso a Superga per accertarsi con i suoi occhi di quello che era accaduto al
Torino. Pozzo ha un
primo mancamento.
Termina
comunque il suo compito, non senza fatica, e la sera davanti ai periti nelle
due camere mortuarie del cimitero, deve ripetere il riconoscimento salma per
salma.
"Uno
per uno, li riconobbi tutti. - annoterà nelle sue memorie
- Mi occupai di tutto,
fuorché dei portafogli, dopo di aver controllato il contenuto di qualcuno di
essi: lasciai al commissario di polizia la ingrata e delicata bisogna. Pochi
dei giocatori erano deformati nelle fattezze, parecchi avevano perduto le
scarpe od addirittura ambo i piedi come tanti soldati in guerra. Il solo
allenatore inglese, Lievesley era perfettamente intatto".
Quando
deve pronunciare gli ultimi 2 nomi, l'ex C.t., che fino a quel
momento aveva mantenuto una forza incredibile, stramazza però per terra. Sono
Martelli e Maroso, 25 e 23 anni. Gli riconosce per eliminazione, dato che
i loro corpi sono completamente straziati.
LA COMMEMORAZIONE E IL
RICORDO
"Gli eroi sono sempre immortali agli occhi di chi in essi crede. E
così i ragazzi crederanno che il Torino non è morto: è soltanto in
trasferta", scrive Indro Montanelli nel suo pezzo commemorativo per il 'Corriere
della Sera'.
Il 5 maggio 1949 tutta Italia si risveglia avvolta in un lutto e in un
dolore insostenibile, facendo proprie le parole del noto giornalista. Un'intera
squadra, quella che era stata forse la più forte di sempre, sconfitta soltanto
dal fato, aveva perso la vita nella tragedia aerea di Superga dopo quella
disgraziata amichevole giocata a Lisbona. Decisa all'ultimo, con un cambio di programma.
"Se si fosse giocata l'amichevole programmata a Cagliari il 4
maggio, - sottolinea lo storico dello sport, Fadda - sicuramente non
sarebbero stati a Torino quel pomeriggio verso le 17. Sarebbero rientrati il
giorno dopo, il 5, con una situazione climatica differente e non sarebbe
accaduto loro nulla. Purtroppo le cose andarono come sappiamo...".
Il 6 maggio a Palazzo Madama è allestita la camera ardente, con tutte le
bare delle vittime allineate. Oltre mezzo milione di persone presenziano ai
funerali, fra cui rappresentanze di tutte le squadre italiane e di
molte squadre straniere, un giovane Andreotti a nome del
Governo ed il Presidente della FIGC, Ottorino Barassi, che
fece l'appello della squadra come se il Torino dovesse scendere in
campo. Il giornalista Vittorio Veltroni effettua per la RAI la
radiocronaca in diretta delle esequie.
La FIGC proclama altresì il Torino Campione d'Italia per la 5ª volta
consecutiva, con le ultime 4 giornate che vengono disputate dalle formazioni
Primavera delle varie squadre. I giovani granata vincono le 4 partite
rimanenti, chiudendo il torneo a 60 punti, 5 di vantaggio sull'Inter. Ma è un
successo amarissimo. Valentino e gli altri invincibili non c'erano più.
Spazzati via troppo presto da un beffardo destino.
Il 26 maggio seguente al Comunale di Torino è organizzata un'amichevole
internazionale il cui incasso è devoluto ai famigliari delle vittime di
Superga. In campo da un lato ci sono il grande River Plate di Alfredo
Di Stefano, dall'altro il Torino Simbolo, una squadra
composta da undici fuoriclasse prestati da tutte le squadre italiane,
che indossano la maglia granata. Per il Toro vanno in campo Sentimenti
IV, Manente, Furiassi, Annovazzi, Giovannini, Achilli, Nyers, Boniperti,
Nordhal, Hansen, Ferrari II, Lorenzi.
È il primo passo per la ripartenza. Ancora sotto shock, la Federazione nel
1950 manderà la Nazionale in Brasile con un'estenuante viaggio in nave, e gli
azzurri, fiaccati dal lungo viaggio e privi dei loro giocatori simbolo, vengono
precocemente eliminati dai Mondiali.
Il ricordo del Grande Torino è stato tramandato fino ai giorni nostri ed è
tuttora vivo. A Superga, nel luogo dello schianto, sorge una lapide
commemorativa davanti alla quale una delegazione del club granata ogni
anno va in visita per ricordare i suoi campioni. Lo Stadio Filadelfia, luogo
simbolo in cui quella squadra giocava, è stato recentemente recuperato dalla
società e modernizzato per ospitare gli allenamenti della Prima squadra e le
Giovanili, mentre agli 'Invincibili' è stato intitolato lo Stadio Olimpico
del capoluogo piemontese.
Paolo Camedda
https://www.goal.com/it/notizie/la-tragedia-di-superga-il-disastro-aereo-che-si-porto-via-il/zmvk2q3jowgs1ierd8oj1dumo
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