“Uccidete
pure me, ma l'idea che è in me non l'ucciderete mai.” Giacomo Matteotti
Profezie del ventennio fascista
Giacomo Matteotti nasce a Fratta
Polesine (Rovigo) il giorno 22 maggio 1885. Entrambi i genitori sono di modeste
origini, che a prezzo di duri sacrifici e grande capacità di risparmio e oculati investimenti, riescono in breve tempo
ad arrivare a possedere una vasta proprietà terriera nella bassa valle del
fiume Po. Cresce nella sua terra e, proprio perché colpito dalle umili
condizioni di vita della popolazione polesana, si avvicina alla politica molto
giovane, quando ha solo 16 anni.
Forte su di lui è l'influenza esercitata
dalla madre - Giacomo ha solo 17 anni quando perde il padre - mentre il
fratello maggiore Matteo l'aveva avviato appena tredicenne alle idee del
socialismo, spinto anche da un forte sentimento di solidarietà verso i
contadini del Polesine, condannati come detto ad una vita di estrema miseria e
sfruttamento.
Da adolescente frequenta il ginnasio di
Rovigo, dove tra i suoi compagni di classe si trova Umberto Merlin, suo futuro
avversario politico.
Nel 1907 consegue la laurea in
giurisprudenza presso l'università di Bologna. Tre anni dopo è eletto al
consiglio provinciale di Rovigo; da qui in poi Giacomo Matteotti inizierà il
suo percorso politico che lo porterà ad assumere una dedizione a tempo pieno in
questo ambito. Matteotti è un socialista riformista: non crede nei cambiamenti
violenti e rivoluzionari, bensì in quelli più democratici da realizzarsi
gradualmente nelle amministrazioni locali e nell'impegno sindacale. Dimostra di
essere un amministratore competente e un abile organizzatore sia nell'attività
politica, sia nel suo pubblico servizio.
Allo scoppio
della prima guerra mondiale, si schiera contro la
partecipazione italiana e , venendo
Durante la prima guerra mondiale è un
convinto sostenitore della neutralità italiana, lanciando appelli alla pace:
questa posizione porta Matteotti a essere minacciato dai nazionalisti, poi per
un discorso tenuto al consiglio provinciale di Rovigo, contro la guerra (1916)
viene condannato e internato in Sicilia.
Sempre nel 1916 sposa Velia, la donna
che gli darà tre figli. Nel 1918 nasce il figlio Giancarlo il quale seguirà le
orme del padre Giacomo, dedicandosi all'attività politica.
Terminato il conflitto mondiale continua
a dedicarsi all'attività politica: i suoi successi lo portano ad essere eletto
deputato al parlamento italiano nel 1919. Matteotti ha così l'opportunità di
denunciare la violenza squadrista del fascismo (fin dai suoi inizi), subendo di
conseguenza attacchi dalla stampa nonché aggressioni alla sua persona. Nel 1921
accade che a Castelguglielmo venga sequestrato e duramente percosso all'interno
di un camion di fascisti.
Costretto dalle violenze abbandona il
polesano per trasferirsi a Padova: anche qui subisce le persecuzioni del
fascismo tanto che nella notte del 16 agosto sfugge a stento ad un agguato.
Matteotti prosegue la sua attività di
denuncia accusando i governi Giolitti e Bonomi di
tolleranza e complicità con i fascisti. Denuncia inoltre all'estero il fascismo
come imminente pericolo non solo italiano, che si sta affacciando sulla realtà
storica europea.
Nel 1923 Matteotti scrive "Un anno
di dominazione fascista", con cui dimostra i fallimenti fascisti sui temi
del risanamento economico e finanziario e della restaurazione dell'ordine e
dell'autorità dello Stato. L'accusa al governo fascista è quella di aver
sostituito in dodici mesi l'arbitrio alla legge, asservito lo Stato ad una
fazione, e di avere diviso il paese in dominatori e sudditi. Un anno dopo
l'Italia si trova alla vigilia delle ultime elezioni e il polesano denuncia
l'assenza di legalità e democrazia dal clima politico. Nel corso della campagna
elettorale subisce aggressioni da parte dei fascisti prima a Cefalù e poi a
Siena.
Il 30 maggio 1924 in Parlamento si vota
la convalida degli eletti formalizzando la legalità e la regolarità delle
elezioni: Matteotti con un celebre discorso contesta i risultati, accusando i
fascisti di brogli elettorali; denunzia inoltre le violenze contro i cittadini
e contro i candidati socialisti, comunisti, repubblicani e liberali
progressisti. E' al termine di questo celebre discorso, dopo le congratulazioni
dei suoi compagni di partito, che Giacomo Matteotti risponde con le parole:
"Io il mio discorso l'ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre
per me".
Sul giornale "Il Popolo
d'Italia" compaiono le parole di Mussolini,
il quale scrive che si rende necessario "dare una lezione al deputato
del Polesine"; l'invito del leader fascista viene prontamente accolto.
Il giorno 10 giugno 1924 a Roma, sul Lungotevere Arnaldo da Brescia, un gruppo
di fascisti aggredisce e rapisce Giacomo Matteotti, mentre si stava recando in
Parlamento. Caricato a forza su una macchina, viene ripetutamente percosso e
infine ucciso a coltellate. Il corpo verrà occultato e ritrovato in stato di
decomposizione in un boschetto di Riano Flaminio (la macchia della Quartarella)
solo sei giorni più tardi.
Il delitto Matteotti susciterà una
profonda emozione nazionale, costituendo di fatto la crisi più grave affrontata
dal fascismo, che ad ogni modo riuscirà ad imporre alla nazione la sua
dittatura per il ventennio successivo.
https://biografieonline.it/biografia-giacomo-matteotti
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