Contro la mafia
Giovanni Falcone nasce a Palermo il 18
maggio 1939, da Arturo, direttore del Laboratorio chimico provinciale, e da
Luisa Bentivegna. Dopo aver frequentato il Liceo classico "Umberto"
compie una breve esperienza presso l'Accademia navale di Livorno. Decide di
tornare nella città Natale per iscriversi alla Facoltà di Giurisprudenza e
consegue la laurea nel 1961.
Dopo il concorso in magistratura, nel
1964 diviene pretore a Lentini per trasferirsi subito come sostituto
procuratore a Trapani, dove rimane per circa dodici anni. E' in questa sede che
va progressivamente maturando l'inclinazione e l'attitudine verso il settore
penale: come egli stesso ebbe a dire, "era la valutazione oggettiva dei
fatti che mi affascinava", nel contrasto con certi meccanismi "farraginosi
e bizantini" particolarmente accentuati in campo civilistico.
All'indomani del tragico attentato al
giudice Cesare Terranova, avvenuto il 25 settembre 1979, Falcone comincia a
lavorare a Palermo presso l'Ufficio istruzione. Il consigliere istruttore Rocco
Chinnici gli affida nel maggio 1980 le indagini contro Rosario Spatola, un
processo che investiva anche la criminalità statunitense, e che vide il procuratore Gaetano
Costa - ucciso nel giugno successivo - ostacolato da alcuni sostituti, al
momento della firma di una lunga serie di ordini di cattura.
Proprio in questa prima esperienza
Giovanni Falcone avverte come nel perseguire i reati e le attività di ordine
mafioso occorra avviare indagini patrimoniali e bancarie (anche oltre oceano),
e come soprattutto occorra la ricostruzione di un quadro complessivo, una
visione organica delle connessioni, la cui assenza in passato aveva provocato
una "raffica di assoluzioni".
Il 29 luglio 1983 il consigliere
Chinnici, a capo del team di magistrati di cui fanno parte Falcone, Barrile
e Paolo Borsellino, viene ucciso con la sua scorta in via Pipitone; lo
sostituisce Antonino Caponnetto, il quale riprende l'intento di assicurare agli
inquirenti le condizioni più favorevoli nelle indagini sui delitti di mafia.
Si costituisce quello che verrà chiamato
"pool antimafia", sul modello delle èquipes attive nel decennio
precedente di fronte al fenomeno del terrorismo politico. Oltre lo stesso
Falcone del gruppo facevano parte i giudici Di Lello e Guarnotta, e Paolo Borsellino, che aveva condotto l'inchiesta sull'omicidio del
capitano dei Carabinieri Emanuele Basile, nel 1980.
L'interrogatorio iniziato a Roma nel
luglio 1984 in presenza del sostituto procuratore Vincenzo Geraci e di Gianni
De Gennaro, del Nucleo operativo della Criminalpol, del
"pentito" Tommaso Buscetta, è da considerarsi una vera e propria svolta per la
conoscenza di determinati fatti di mafia e specialmente della struttura
dell'organizzazione "Cosa nostra".
I funzionari di Polizia Giuseppe Montana
e Ninni Cassarà, stretti collaboratori di Falcone e Borsellino, vengono uccisi nell'estate 1985. Si comincia a
temere per l'incolumità dei due magistrati, i quali, per motivi di sicurezza,
vengono trasferiti con le famiglie presso il carcere dell'Asinara.
Attraverso questa serie di vicende
drammatiche si giunge alla sentenza di condanna a Cosa nostra nel primo
maxiprocesso (16 dicembre 1987) emessa dalla Corte di Assise di Palermo,
presidente Alfonso Giordano, dopo ventidue mesi di udienze e trentasei giorni
di riunione in camera di consiglio. L'ordinanza di rinvio a giudizio per i 475
imputati era stata depositata dall'Ufficio istruzione agli inizi di novembre di
due anni prima.
Gli avvenimenti successivi risentono
negativamente di tale successo. Nel gennaio il Consiglio superiore della
magistratura preferisce il consigliere Antonino Meli a Falcone, a capo
dell'Ufficio istruzione, in sostituzione di Caponnetto che aveva voluto
lasciare l'incarico.
Inoltre in seguito alle confessioni del "pentito" catanese Antonino
Calderone, che avevano determinato una lunga serie di arresti (comunemente noti
come "blitz delle Madonie"), il magistrato inquirente di Termini
Imerese si ritiene incompetente, e trasmette gli atti all'Ufficio palermitano.
Meli, in contrasto con i giudici del pool, rinvia le carte a Termini, in quanto
i reati sarebbero stati commessi in quella giurisdizione. La Cassazione, allo
scorcio del 1988, ratifica l'opinione del consigliere istruttore, negando la
struttura unitaria e verticisti delle organizzazioni criminose, e affermando
che queste, considerate nel loro complesso, sono dotate di "un'ampia
sfera decisionale, operano in ambito territoriale diverso ed hanno
preponderante diversificazione soggettiva". Questa decisione sancisce
giuridicamente la frantumazione delle indagini che l'esperienza di Palermo
aveva inteso superare.
Il 30 luglio Giovanni Falcone richiede
di essere destinato a un altro ufficio. In autunno Meli gli rivolge l'accusa
d'aver favorito in qualche modo il cavaliere del lavoro di Catania Carmelo
Costanzo, e quindi scioglie il pool, come il giudice Paolo Borsellino aveva previsto fin dall'estate in un pubblico
intervento, peraltro censurato dal CSM. I giudici Di Lello e Conte si dimettono
per protesta.
Su tutta questa vicenda nel giugno 1992,
durante un dibattito promosso a Palermo dalla rivista
"Micromega", Borsellino ebbe a ricordare: "La protervia del
consigliere istruttore Meli l'intervento nefasto della Corte di cassazione
cominciato allora e continuato fino a oggi, non impedirono a Falcone di
continuare a lavorare con impegno". Nonostante simili avvenimenti
sempre nel corso del 1988, Falcone aveva realizzato una importante operazione
in collaborazione con Rudolph Giuliani, procuratore distrettuale di New York, denominata
"Iron Tower", grazie alla quale furono colpite le famiglie dei
Gambino e degli Inzerillo, coinvolte nel traffico di eroina.
Il 20 giugno 1989 si verifica il fallito
e oscuro attentato dell'Addaura presso Mondello a proposito del quale Falcone
affermò "Ci troviamo di fronte a menti raffinatissime che tentano di
orientare certe azioni della mafia. Esistono forse punti di collegamento tra i
vertici di Cosa nostra e centri occulti di potere che hanno altri interessi. Ho
l'impressione che sia questo lo scenario più attendibile se si vogliono capire
davvero le ragioni che hanno spinto qualcuno ad assassinarmi". Il
periodo subito successivo segue con lo sconcertante episodio del cosiddetto
"corvo": alcune lettere anonime che accusano astiosamente Falcone e
altri.
Una settimana dopo l'attentato il CSM
decide la nomina di Giovanni Falcone a procuratore aggiunto presso la Procura
della Repubblica di Palermo. Nel gennaio 1990 coordina un'inchiesta che porta
all'arresto di quattordici trafficanti colombiani e siciliani, inchiesta che
aveva preso l'avvio dalle confessioni del "pentito" Joe Cuffaro' il quale
aveva rivelato che il mercantile Big John, battente bandiera cilena, aveva
scaricato nel gennaio 1988, 596 chili di cocaina al largo delle coste di
Castellammare del Golfo.
Nel corso dell'anno si sviluppa lo
"scontro" con Leoluca Orlando,
originato dall'incriminazione per calunnia nei confronti del
"pentito" pellegriti, il quale rivolgeva accuse al parlamentare
europeo Salvo Lima. La polemica prosegue con il ben noto argomento delle
"carte nei cassetti" che Falcone ritenne frutto di puro e semplice
"cinismo politico".
Nel 1990 alle elezioni dei membri togati
del Consiglio superiore della magistratura, Falcone è candidato per le liste
"Movimento per la giustizia" e "Proposta 88" (nella
circostanza collegate): l'esito sarà però negativo.
Intanto si fanno più aspri i dissensi
con l'allora procuratore Giammanco, sia sul piano valutativo, sia su quello
etico, nella conduzione delle inchieste.
Falcone accoglie l'invito del
vice-presidente del Consiglio dei ministri, Claudio Martelli, che aveva assunto
l'interim del Ministero di grazia e giustizia, a dirigere gli Affari penali del
ministero, assumendosi l'onere di coordinare una vasta materia, dalle proposte
di riforme legislative alla collaborazione internazionale. Si apre così dal
marzo 1991 un periodo caratterizzato da una attività intensa, volta a rendere
più efficace l'azione della magistratura nella lotta contro il crimine.
Falcone si impegna a portare a termine
quanto ritiene condizione indispensabile del rinnovamento: la razionalizzazione
dei rapporti tra pubblico ministero e polizia giudiziaria, e il coordinamento
tra le varie procure. Si poneva l'esigenza di un coordinamento di livello
nazionale.
Istituita nel novembre del 1991 la
Direzione nazionale antimafia, sulle funzioni di questa il giudice si soffermò
anche nel corso della sua audizione al Palazzo dei Marescialli del 22 marzo
1992. "Io Credo - egli chiarì in tale circostanza, secondo un
resoconto della seduta pubblicato dal settimanale "L'Espresso" (7
giugno 1992) - che il procuratore nazionale antimafia abbia il compito
principale di rendere effettivo il coordinamento delle indagini, di garantire
la funzionalità della polizia giudiziaria e di assicurare la completezza e la
tempestività delle investigazioni. Ritengo che questo dovrebbe essere un
organismo di supporto e di sostegno per l'attività investigativa che va svolta
esclusivamente dalle procure distrettuali antimafia". La candidatura
di Falcone a questi compiti fu ostacolata in seno al CSM, il cui plenum non
aveva ancora assunto una decisione definitiva, prima della tragica morte di
Falcone.
E' il 23 maggio 1992 quando alle 17 e
56, all'altezza del paese siciliano di Capaci, cinquecento chili di tritolo
fanno saltare in aria l'auto su cui viaggia il giudice Giovanni Falcone, la
moglie Francesca Morvillo e tre uomini della scorta, Antonio Montinaro, Rocco
Di Cillo e Vito Schifani.
All'esecrazione dell'assassinio, il 4
giugno si unì il Senato degli Stati Uniti, con una risoluzione intesa a
rafforzare l'impegno del gruppo di lavoro italo-americano, di cui Falcone era
componente.
Nemmeno due mesi più tardi, il 19
luglio, toccava a un altro magistrato cadere sotto i colpi della mafia. Paolo Borsellino veniva
ucciso da un'autobomba a Palermo in via D'Amelio. Si tratta di uno dei periodi
più bui della storia della Repubblica Italiana.
Falcone fu personaggio discusso, per
alcuni molto odiato in vita e molto amato dopo la morte, un personaggio
diffidente e schivo, ma tenace ed efficiente. Per quanto fosse un uomo normale,
ha lottato in prima persona con tutte le sue forze per tutelare la propria
autonomia di giudice in trincea contro la mafia, e oggi è considerato a tutti
gli effetti un simbolo positivo, una storia da non dimenticare.
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