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lunedì 12 aprile 2021

Lo Sapevate Che: Processo a Galileo per eresia: Il processo a Galileo Galilei, sostenitore della teoria copernicana eliocentrica sul moto dei corpi celesti in opposizione alla teoria geocentrica, sostenuta dalla Chiesa cattolica, iniziò a Roma il 12 aprile 1633 e si concluse il 22 giugno 1633 con la condanna per "veemente sospetto di eresia" e con l'abiura forzata ...


 

IL PROCESSO DI GALILEO

La rivendicazione dell’autonomia della ricerca da ogni tipo di condizionamento, teologico e religioso, rappresentò il primo punto di scontro tra Galileo e la Chiesa, ma il vivo del contrasto si ebbe quando, nel 1632, venne pubblicato  "Il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo", un' opera che aveva progettato fin dal 1609 e che l’editto del 1616 aveva bloccato. Il Dialogo consisteva in una discussione, divisa in quattro giornate, tra tre interlocutori: il fiorentino Salviati, il patrizio veneziano Sagredo e l’aristotelico Simplicio (un personaggio immaginario che echeggiava il nome di un grande commentatore greco di Aristotele ma evocava anche l’idea del sempliciotto, di colui che non è dotato dell’intelligenza necessaria per seguire i ragionamenti della nuova scienza). 

Nel proemio dell'opera Galileo scrive di considerare la teoria di Copernico come "pura ipotesi matematica" e di voler dimostrare che la condanna del copernicanesimo stabilita dalla Chiesa era fondata su basi serie e motivi validi: ovviamente il trucco era facilmente smascherabile e il lettore non poté non percepire che l’intenzione dell’autore era quella di far percepire attraverso il dialogo, la forza delle argomentazioni copernicane e la debolezza e la fragilità delle obiezioni dei seguaci di Tolomeo e di Aristotele. 

Già nell’estate del 1632, Urbano VIII, lo stesso personaggio nel quale Galileo aveva riposto tante speranze, avviò un indagine sulla legittimità dell’autorizzazione del quale l’opera si fregiava;egli  temeva fosse stata estorta o, ancora di più, che fosse esibita senza che alcuno l’avesse formalmente concessa.  Convinto dagli avversari di Galileo che il Dialogo costituiva uno screditamento dell'autorità del papa, ridicolizzato nella figura di Simplicio, avviò formalmente il procedimento inquisitorio e Galileo fu convocato a Roma.  

Passarono dei mesi prima che Galileo si decidesse a compiere questo viaggio.  Timoroso degli esiti di un processo di eresia, scongiurava i suoi protettori a risparmiargli questa gravoso compito. Nonostante le sue richieste di aiuto e nonostante le pressioni sul pontefice stesso da parte del Granduca di Toscana, niente fu possibile. Nel febbraio del 1633 Galileo si trasferì a Roma e gli furono concessi dei privilegi rispetto a coloro che erano inquisiti dal Santo Uffizio. Gli fu per esempio concesso di risiedere presso l’ambasciatore toscano a Roma nell’attuale Villa Medici. Durante l’interrogatorio, lento, aggirante, fondato su procedure raffinate e giuridicamente molto solide, Galileo cercò di smentire le accuse ,ricordando che il fine della sua opera era stato quello di dimostrare l'invalidità del Copernicanesimo, ma  i giudici, persuasi di essere ingannati, non credettero alle giustificazioni. Alla fine Galileo, probabilmente per il timore che venisse avanzato un capo di accusa più grave  che avrebbe comportato il carcere a vita o addirittura il rogo (così come era capitato a Giordano Bruno), smise di insistere nel dichiararsi innocente, chinò il capo e ascoltò la sentenza della sua condanna.

...Diciamo, pronuntiamo, sententiamo e dichiariamo che tu, Galileo sudetto, per le cose dedotte in processo e da te confessate come sopra, ti sei reso a questo S. Off.o vehementemente sospetto d'heresia, cioè d'haver tenuto e creduto dottrina falsa e contraria alle Sacre e divine Scritture, ch'il sole sia centro della terra e che non si muova da oriente ad occidente, e che la terra si muova e non sia centro del mondo, e che si possa tener e difendere per probabile un'opinione dopo esser stata dichiarata e diffinita per contraria alla Sacra Scrittura; e conseguentemente sei incorso in tutte le censure e pene dai sacri canoni et altre constitutioni generali e particolari contro simili delinquenti imposte e promulgate. Dalle quali siamo contenti sii assoluto, pur che prima, con cuor sincero e fede non finta, avanti di noi abiuri, maledichi e detesti li sudetti errori et heresie et qualunque altro errore et heresia contraria alla Cattolica ed Apostolica Chiesa, nel modo e forma che da noi ti sarà data. Et acciocché questo tuo grave e pernicioso errore e transgressione non resti del tutto impunito, et sii più cauto nell'avvenire et essempio all'altri che si astenghino da simili delitti, ordiniamo che per pubblico editto sia prohibito il libro de' Dialoghi di Galileo Galilei. Ti condaniamo al carcere formale in questo S.° Off.° ad arbitrio nostro; e per penitenze salutari t'imponiamo che per tre anni a venire dichi una volta la settimana li sette Salmi penitentiali: riservando a noi facoltà di moderare, mutare, o levar in tutto o parte le sodette pene e penitenze. Et così diciamo, pronuntiamo, sententiamo, dichiariamo, ordiniamo e reservamo in questo et in ogni altro meglior modo e forma che di ragione potevo e dovemo. Ita pronun.mus nos Cardinales infrascripti:

F. Cardinalis de Asculo
B. Cardinalis Gipsius
G. Cardinalis Bentivolus
F. Cardinalis Verospius
Fr. D. Cardinalis de Cremona
F. M. Cardinalis Ginettus
Fr. Ant.s Cardinalis S. Honuphrii.

ed ecco l'abiura che pronunciò Galileo.....

Atto d'abiura

" .... Io Galileo, figliuolo del quondam Vincenzo Galileo di Fiorenza, dell’età mia d’anni 70, costituto personalmente in giudizio, e inginocchiato avanti di voi Eminentissimi e Reverentissimi Cardinali, in tutta la Republica Cristiana contro l’eretica pravità generali Inquisitori; avendo davanti gl’occhi miei li sacrosanti Vangeli, quali tocco con le proprie mani, giuro che sempre ho creduto, credo adesso, e con l’aiuto di Dio crederò per l’avvenire, tutto quello che tiene, predica e insegna la Santa Cattolica e Apostolica Chiesa. Ma perché da questo S. Offizio, per aver io, dopo d’essermi stato con precetto dall’istesso giuridicamente intimato che omninamente dovessi lasciar la falsa opinione che il sole sia centro del mondo e che non si muova e che la terra non sia centro del mondo e che si muova, e che non potessi tenere, difendere né insegnare in qualsivoglia modo, né in voce né in scritto, la detta falsa dottrina, e dopo d’essermi notificato che detta dottrina è contraria alla Sacra Scrittura, scritto e dato alle stampe un libro nel quale tratto l’istessa dottrina già dannata e apporto ragioni con molta efficacia a favor di essa, senza apportar alcuna soluzione, sono stato giudicato veementemente sospetto d’eresia, cioè d’aver tenuto e creduto che il sole sia centro del mondo e imobile e che la terra non sia centro e che si muova. Pertanto volendo io levar dalla mente delle Eminenze Vostre e d’ogni fedel Cristiano questa veemente sospizione, giustamente di me conceputa, con cuor sincero e fede non finta abiuro, maledico e detesto li sudetti errori e eresie, e generalmente ogni e qualunque altro errore, eresia e setta contraria alla Santa Chiesa; e giuro che per l’avvenire non dirò mai più né asserirò, in voce o in scritto, cose tali per le quali si possa aver di me simil sospizione; ma se conoscerò alcun eretico o che sia sospetto d’eresia lo denonziarò a questo S. Offizio, o vero all’Inquisitore o Ordinario del luogo, dove mi trovarò. Giuro anco e prometto d’adempire e osservare intieramente tutte le penitenze che mi sono state o mi saranno da questo S. Offizio imposte; e contravenendo ad alcuna delle dette mie promesse e giuramenti, il che Dio non voglia, mi sottometto a tutte le pene e castighi che sono da’ sacri canoni e altre constituzioni generali e particolari contro simili delinquenti imposte e promulgate. Così Dio m’aiuti e questi suoi santi Vangeli, che tocco con le proprie mani. Io Galileo sodetto ho abiurato, giurato, promesso e mi sono obligato come sopra; e in fede del vero, di mia propria mano ho sottoscritta la presente cedola di mia abiurazione e recitatala di parola in parola, in Roma, nel convento della Minerva, questo dì 22 giugno 1633.
Io, Galileo Galilei, ho abiurato come di sopra, mano propria". 

 

 Egli fu condannato al carcere ed un trattamento di favore fu conseguenza del fatto che egli accettò di abiurare le sue tesi. Il tribunale gli risparmiò il carcere decretando gli arresti domiciliari a Siena presso l’arcivescovo Piccolomini, legato molto a Galileo da stima ed amicizia. Sei mesi più tardi gli fu permesso di tornare nella propria casa di Arcetri, purché non incontrasse altro che i familiari più stretti. 

Il processo e la condanna di Galileo costituirono una seria minaccia per il processo di ricerca ma la sentenza non ottenne i risultati che si riprometteva; non fermò e non poteva fermare il desiderio di conoscere che già allora, anche altri rappresentanti del mondo ecclesiastico, consideravano la vera scintilla posta da Dio nell’uomo.

REVISIONE DEL PROCESSO

Dal tempo del processo di Galileo il pensiero teologico e l'epistomologia della scienza hanno subito una notevole evoluzione. La teologia e la scienza del Seicento negavano che un "evento", cioè una qualsiasi parte del reale, avesse un contenuto di verità non esauribile con un solo punto di vista e con il corrispettivo linguaggio descrittivo e interpretativo.

Oggi invece i più accettano l’idea che un evento sia suscettibile di molteplici letture (scientifica, metafisica, sapienziale, …) che richiedono più linguaggi, ciascuno dei quali con il proprio obiettivo specifico e limitato cosi da non poter esaurire la complessità dell’evento stesso. Deriva da ciò una maggior umiltà nella pretesa conoscitiva che riduce le contrapposizioni e agevola il dialogo fra le varie letture. Di recente, la commissione insediata dal papa Giovanni Paolo II col compito di pubblicare gli atti del processo e chiudere ufficialmente il conflitto che si era istaurato tra Galilei e la Chiesa, ha terminato i suoi lavori permettendo cosi al papa di esporre nel discorso del 31 ottobre 1992 le conclusioni sul processo ai membri della Pontificia Accademia delle Scienze. Con questo discorso si decise che nel XVII secolo si scontrarono una fisica che aveva conseguito un adeguato statuto epistemologico e una ermeneutica biblica del tutto inadeguata, e che questa situazione ha permesso la tragica incomprensione del più grande scienziato cattolico del XVII secolo. Il doloroso malinteso sulla presunta opposizione tra scienza e fede appartiene ormai al passato. Ecco una parte del discorso tenuto da papa Giovanni Paolo II  il 31 ottobre 1992.

 

“Ero mosso da simili preoccupazioni, il 10 novembre 1979 in occasione della celebrazione del primo centenario della nascita di Albert Einstein, quando espressi davanti a questa medesima Accademia l'auspicio che «dei teologi, degli scienziati e degli storici, animati da spirito di sincera collaborazione, approfondissero l'esame del caso Galileo e, in un riconoscimento leale dei torti da qualunque parte essi venissero, facessero scomparire la sfiducia che questo caso ancora oppone, in molti spiriti, ad una fruttuosa concordia tra scienza e fede» (AAS 71, 1979, pp. 1464-1465). Una commissione di studio è stata costituita a tal fine il 3 luglio 1981. Ed ora, nell'anno stesso in cui si celebra il 350° anniversario della morte di Galileo, la Commissione presenta, a conclusione dei suoi lavori, un complesso di pubblicazioni che apprezzo vivamente. Desidero esprimere la mia sincera riconoscenza al Cardinale Poupard incaricato di coordinare le ricerche della Commissione nella fase conclusiva. A tutti gli esperti che hanno partecipato in qualche modo ai lavori dei quattro gruppi da cui è stato condotto questo studio pluridisciplinare, dico la mia profonda soddisfazione e la mia viva gratitudine. Il lavoro svolto per oltre dieci anni risponde ad un orientamento suggerito dal Concilio Vaticano II e permette di porre meglio in luce vari punti importanti della questione. In avvenire, non si potrà non tener conto delle conclusioni della commissione. Ci si meraviglierà forse che (...) io ritorni sul caso Galileo. Non è questo caso archiviato da tempo e gli errori commessi non sono stati riconosciuti? Certo, questo è vero. Tuttavia, i problemi soggiacenti a quel caso toccano la natura della scienza come quella del messaggio della fede. Non è dunque da escludere che ci si trovi un giorno davanti ad una situazione analoga, che richiederà agli uni e agli altri una coscienza consapevole del campo e dei limiti delle rispettive competenze. (...) Una doppia questione sta al cuore del dibattito di cui Galileo fu al centro. La prima è di ordine epistemologico e concerne l'ermeneutica biblica. A tal proposito, sono da rilevare due punti. Anzitutto, come la maggior parte dei suoi avversari Galileo non fa distinzione tra quello che è l'approccio scientifico ai fenomeni naturali e la riflessione sulla natura di ordine filosofico, che esso generalmente richiama. È per questo che egli rifiutò il suggerimento che gli era stato dato di presentare come un'ipotesi il sistema di Copernico, fin tanto che esso non fosse confermato da prove irrefutabili. Era quella, peraltro, un'esigenza del metodo sperimentale di cui egli fu il geniale iniziatore. Inoltre, la rappresentazione geocentrica del mondo era comunemente accettata nella cultura del tempo come pienamente concorde con l'insegnamento della Bibbia, nella quale alcune espressioni, prese alla lettera, sembravano costituire delle affermazioni di geocentrismo. Il problema che si posero dunque i teologi dell'epoca era quello della compatibilità dell'eliocentrismo e della Scrittura. Così la scienza nuova, con i suoi metodi e la libertà di ricerca che essi suppongono, obbligava i teologi ad interrogarsi sul loro criterio di interpretazione della Scrittura. La maggior parte non seppe farlo. Paradossalmente, Galileo, sincero credente, si mostrò su questo punto più perspicace dei suoi avversari teologi. «Se bene la Scrittura non può errare, scrive a Benedetto Castelli, potrebbe nondimeno talvolta errare alcuno de suoi interpreti ed espositori, in vari modi» (Lettera del 21 dicembre 1613, in Edizione nazionale delle Opere di Galileo Galilei dir. A. FAVARO, riedizione del 1968). Si conosce anche la sua lettera a Cristina di Lorena (1615) che è come un piccolo trattato di ermeneutica biblica. Possiamo già qui formulare una prima conclusione. L'irruzione di una nuova maniera di affrontare lo studio dei fenomeni naturali impone una chiarificazione dell'insieme delle discipline del sapere. Essa le obbliga a delimitare meglio il loro campo proprio, il loro angolo di approccio, i loro metodi, così come l'esatta portata delle loro conclusioni. In altri termini, questa novità obbliga ciascuna delle discipline a prendere una coscienza più rigorosa della propria natura. Il capovolgimento provocato dal sistema di Copernico ha così richiesto uno sforzo di riflessione epistemologica sulle scienze bibliche, sforzo che doveva portare più tardi frutti abbondanti nei lavori esegetici moderni e che ha trovato nella Costituzione conciliare Dei Verbum una consacrazione ed un nuovo impulso. La crisi che ho appena evocato non è il solo fattore ad aver avuto delle ripercussioni sull'interpretazione della Bibbia. Noi tocchiamo qui il secondo aspetto del problema, l'aspetto pastorale.
In virtù della missione che le è propria la Chiesa ha il dovere di essere attenta alle incidenze pastorali della sua parola. Sia chiaro anzitutto che questa parola deve corrispondere alla verità. Ma si tratta di sapere come prendere in considerazione un dato scientifico nuovo quando esso sembra contraddire delle verità di fede. Il giudizio pastorale che richiedeva la teoria copernicana era difficile da esprimere nella misura in cui il geocentrismo sembrava far parte dell'insegnamento stesso della Scrittura. Sarebbe stato necessario contemporaneamente vincere delle abitudini di pensiero ed inventare una pedagogia capace di illuminare il popolo di Dio. Diciamo in maniera generale che il pastore deve mostrarsi pronto ad un'autentica audacia evitando il duplice scoglio dell'atteggiamento incerto e del giudizio affrettato potendo l'uno e l'altro fare molto male.

Può essere qui evocata una crisi analoga a quella di cui parliamo. Nel secolo scorso ed all'inizio del nostro, il progresso delle scienze storiche ha permesso di acquisire nuove conoscenze sulla Bibbia e sull'ambiente biblico. Il contesto razionalista nel quale, per lo più, le acquisizioni erano presentate, poté farle apparire rovinose per la fede cristiana. Certuni, preoccupati di difendere la fede, pensarono che si dovessero rigettare conclusioni storiche seriamente fondate. Fu quella una decisione affrettata ed infelice. L'opera di un pioniere come il Padre Lagrange ha saputo operare i necessari discernimenti sulla base di criteri sicuri. Bisogna ripetere qui ciò che ho detto sopra. È un dovere per i teologi tenersi regolarmente informati sulle acquisizioni scientifiche per esaminare, all'occorrenza, se è il caso o meno di tenerne conto nella loro riflessione o di operare delle revisioni nel loro insegnamento.

Se la cultura contemporanea è segnata da una tendenza allo scientismo, l'orizzonte culturale dell'epoca di Galileo era unitario e recava l'impronta di una formazione filosofica particolare. Questo carattere unitario della cultura, che è in sé positivo ed auspicabile ancor oggi, fu una delle cause della condanna di Galileo. La maggioranza dei teologi non percepiva la distinzione formale tra la Sacra Scrittura e la sua interpretazione, il che li condusse a trasporre indebitamente nel campo della dottrina della fede una questione di fatto appartenente alla ricerca scientifica.
In realtà, come ha ricordato il Cardinal Poupard, Roberto Bellarmino, che aveva percepito la vera posta in gioco del dibattito, riteneva da parte sua che, davanti ad eventuali prove scientifiche dell'orbita della terra intorno al sole si dovesse «andar con molta consideratione in esplicare le Scritture che paiono contrarie» alla mobilità della terra e «più tosto dire che non l'intendiamo, che dire che sia falso quello che si dimostra» (Lettera al Padre A. Foscarini, 12 aprile 1615).  Prima di lui, la stessa saggezza e lo stesso rispetto della Parola divina avevano già guidato sant'Agostino a scrivere: «Se ad una ragione evidentissima e sicura si cercasse di contrapporre l'autorità delle Sacre Scritture, chi fa questo non comprende e oppone alla verità non il senso genuino delle Scritture, che non è riuscito a penetrare, ma il proprio pensiero, vale a dire non ciò che ha trovato nelle Scritture, ma ciò che ha trovato in se stesso, come se fosse in esse» (Epistula 143, n. 7; PL 33, col 588). Un secolo fa, il Papa Leone XIII faceva eco a questo pensiero nella sua enciclica Providentissimus Deus: «Poiché il vero non può in alcun modo contraddire il vero, si può esser certi che un errore si è insinuato o nell'interpretazione delle parole sacre o in un altro luogo della discussione» (Leonis XIII Pont. Max. Acta, vol. XIII, 1894).
Il Cardinal Poupard ci ha ugualmente ricordato come la sentenza del 1633 non fosse irreformabile e come il dibattito, che non aveva cessato di evolvere, sia stato chiuso nel 1820 con l'imprimatur concesso all'opera del canonico Settele (cf. Pontificia Academia Scientiarum, Copernico, Galilei e la Chiesa. Fine della controversia (1820). Gli atti del Sant'Ufficio, a cura di W. Brandmuller e E. J. Greipl, Firenze, Olschki, 1992).

A partire dal secolo dei Lumi fino ai nostri giorni, il caso Galileo ha costituito una sorta di mito, nel quale l'immagine degli avvenimenti che ci si era costruita era abbastanza lontana dalla realtà. In tale prospettiva il caso Galileo era il simbolo del preteso rifiuto, da parte della Chiesa, del progresso scientifico, oppure dell'oscurantismo «dogmatico» opposto alla libera ricerca della verità. Questo mito ha giocato un ruolo culturale considerevole; esso ha contribuito ad ancorare parecchi uomini di scienza in buona fede all'idea che ci fosse incompatibilità tra lo spirito della scienza e la sua etica di ricerca, da un lato, e la fede cristiana, dall'altro. Una tragica reciproca incomprensione è stata interpretata come il riflesso di una opposizione costitutiva tra scienza e fede. Le chiarificazioni apportate dai recenti studi storici ci permettono di affermare che tale doloroso malinteso appartiene ormai al passato.

Dal caso Galileo si può trarre un insegnamento che resta d'attualità in rapporto ad analoghe situazioni che si presentano oggi e possono presentarsi in futuro. Al tempo di Galileo, era inconcepibile rappresentarsi un mondo che fosse sprovvisto di un punto di riferimento fisico assoluto. E siccome il cosmo allora conosciuto era, per così dire, contenuto nel solo sistema solare non si poteva situare questo punto di riferimento che sulla terra o sul sole. Oggi, dopo Einstein e nella prospettiva della cosmologia contemporanea, nessuno di questi due punti di riferimento riveste l'importanza che aveva allora. Questa osservazione, è ovvio, non concerne la validità della posizione di Galileo nel dibattito; intende piuttosto indicare che spesso, al di là di due visioni parziali e contrastanti, esiste una visione più larga che entrambe le include e le supera.

Un altro insegnamento che si trae è il fatto che le diverse discipline del sapere richiedono una diversità di metodi. Galileo, che ha praticamente inventato il metodo sperimentale, aveva compreso, grazie alla sua intuizione di fisico geniale e appoggiandosi a diversi argomenti, perché mai soltanto il sole potesse avere funzione di centro del mondo, così come allora era conosciuto, cioè come sistema planetario. L'errore dei teologi del tempo, nel sostenere la centralità della terra fu quello di pensare che la nostra conoscenza della struttura del mondo fisico fosse, in certo qual modo, imposta dal senso letterale della S. Scrittura. Ma è doveroso ricordare la celebre sentenza attribuita a Baronio: «Spiritui Sancto mentem fuisse nos docere quomodo ad coelum eatur, non quomodo coelum gradiatur». In realtà, la Scrittura non si occupa dei dettagli del mondo fisico, la cui conoscenza è affidata all'esperienza e ai ragionamenti umani. Esistono due campi del sapere, quello che ha la sua fonte nella Rivelazione e quello che la ragione può scoprire con le sole sue forze. A quest'ultimo appartengono le scienze sperimentali e la filosofia. La distinzione tra i due campi del sapere non deve essere intesa come una opposizione. I due settori non sono del tutto estranei l'uno all'altro, ma hanno punti di incontro. Le metodologie proprie di ciascuno permettono di mettere in evidenza aspetti diversi della realtà.”

http://www.matefilia.it/arturnet/numero4/riv_cop/mappa2/galileo_proc/Galileo.htm

 

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