In piena pandemia da coronavirus, quel vulnus ancora così sentito dal popolo ucraino, a cominciare da tutti i poveri territori martiri della catastrofe, può suonare pure come una sorta di presagio
Quella catastrofe, 34 anni fa, lacerò indelebilmente le
'magnifiche sorti e progressive' della tecnoscienza novecentesca. Poiché il
"vulcano" esploso a Chernobyl quel 26 aprile 1986, pur
riecheggiando ancora in qualche modo l'immane potenza naturale vesuviana colta
poeticamente nell'Ottocento dal Leopardi, era nient'altro che il reattore
numero 4 di una centrale nucleare sovietica battezzata V.I. Lenin, sul
territorio dell'attuale Ucraina.
In 34 anni, tante inchieste ufficiali e giornalistiche sono
state dedicate alle responsabilità umane e alla tragica dinamica che condussero
alla fusione del nucleo del reattore, così come all'opacità intrattenuta dalle
autorità sovietiche pur in presenza del primo incidente di categoria 7 nella
storia del nucleare civile, poi drammaticamente 'doppiato' nel marzo
2011 dalla catastrofe giapponese di Fukushima. Migliaia le vittime, il cui
numero finale però non è mai stato scritto. Diverse inchieste e rapporti, pure,
sulle immani conseguenze sanitarie e ambientali, ancor oggi tanto attuali. A
livello storico e geopolitico, prosegue invece il dibattito sul peso che una
simile catastrofe ebbe nell'affondare il già incrinato sistema sovietico, dato
lo smacco incancellabile portato ai miti tecno-scientisti accuratamente
innestati per decenni nell'ideologia dell'Urss.
Ma 34 anni dopo, in piena pandemia da coronavirus,
quel vulnus ancora così attuale per il popolo ucraino, a cominciare da tutti i
poveri territori martiri della catastrofe, può suonare pure come una sorta di
presagio. Nel senso che a Chernobyl, pur nel quadro di una tragedia dagli
effetti 'circoscritti' essenzialmente all'Europa, l'umanità tutta si sentì
'spiazzata' di fronte all'imprevisto.
Infatti, le strazianti e immani carneficine delle grandi guerre
mondiali, compresi gli sganci dell'atomica a Hiroshima e Nagasaki, potevano
ancora essere ricondotte e interpretate, politicamente e filosoficamente, come
il risultato di una volontà di potenza deviata dell'umanità. In una prospettiva
storica ancor più ampia, invece, le più mortifere epidemie della storia, dalla
peste che mise più volte in ginocchio la civiltà italiana, fino alla Spagnola
che imperversò fra il 1918 e il 1919 su scala mondiale, potevano essere
spiegate anche dalle profonde lacune nelle conoscenze scientifiche, prima del
grande decollo novecentesco del sapere medico.
A Chernobyl, così come poi a Fukushima e in
questi mesi di fronte al coronavirus, un'umanità ben più sicura (e orgogliosa)
dei propri mezzi tecnoscientifici ha invece vissuto sulla propria pelle
l'esperienza amarissima di veder rapidamente crollare tante certezze. Come un
castello di carta.
In altri termini, Chernobyl fu la prima sonora e dolentissima lezione d'umiltà
ricevuta dall'autoproclamato homo technologicus: ovvero, l'uomo che coi propri
mezzi, lungi ormai solo dallo stupire per i propri prodigiosi successi, ha
provato a rimodellare il mondo, fino a dar nascita di recente a una nuova 'era
geologica' riconosciuta da una parte della comunità scientifica: l'Antropocene,
presunto successore dell'Olocene.
Ma l'ampia portata delle riflessioni che anche in queste settimane Chernobyl
può ispirare, nella scia pure del lavoro di pensatori come Jean-Pierre
Dupuy e Dominique Bourg, non dovrebbe mai far dimenticare le devastazioni sul
campo e le conseguenze sanitarie lasciate dal collasso del reattore numero 4. E
neppure l'abnegazione dimostrata in tutti questi anni dalle Ong internazionali
che cercano d'attenuare il fosco strascico oncologico e di morte nell'Ucraina
divenuta indipendente, peraltro oggi sconvolta, su vasti territori, da un
persistente stato di guerra.
Fra le Ong in prima linea, figura anche la fondazione italiana Soleterre Onlus,
basata a Milano, attiva in Ucraina dal 2004 attraverso il proprio programma
internazionale di oncologia pediatrica che giunge pure in Africa (Marocco,
Costa d'Avorio, Uganda). In 15 anni, in Ucraina, l'Ong ha assistito e
assicurato l'accoglienza di 28.670 bambini, formato 1.602 medici e paramedici,
contribuendo così ad innalzare di quasi il 10% i tassi di sopravvivenza al
cancro infantile in Ucraina: dal 55% al 64%. L'Ong collabora a Kiev con
l'Istituto del cancro e con l'Istituto di neurochirurgia. Analogo impegno pure
al fianco dell'Ospedale regionale a L'viv, la Leopoli già capoluogo della
Galizia austriaca e poi per secoli contesa sanguinosamente fra grandi potenze,
fino all'epilogo spaventoso della Seconda Guerra Mondiale, durante la quale si
visse pure la dolorosissima pagina dell'Armir italiana.
Intanto, resta pure il mistero sul numero di vittime realmente
imputabili al dramma. Tanti esperti continuano a sobbalzare di rabbia di fronte
alle cifre ufficiali, compresa la stima dei morti prevedibili cumulati nel
tempo pubblicata nel 2005 nel rapporto del ‘Forum Chernobyl’, organismo
multi-agenzia dipendente dall’Onu: «Fino a 4mila persone in totale potrebbero
morire a termine delle conseguenze di una radio-esposizione consecutiva
all’incidente». Una stima, hanno additato i critici, ricavata con un metodo
proporzionale a partire da una piccola parte della popolazione realmente
raggiunta dalle radiazioni: solo 600mila persone, ovvero circa 200mila
«liquidatori» (addetti allo spegnimento e alla decontaminazione), 120mila evacuati
e 280mila altri residenti nelle zone più contaminate). Ma chi difende quelle
conclusioni ufficiali rimanda ai profondi dilemmi di metodo, da taluni
giudicati insormontabili, che implica la mortalità nel tempo di ogni caso di
estesa esposizione a radiazioni.
L'ultima ondata di paura proveniente da Chernobyl risale
ai giorni scorsi, dopo lo scoppio a inizio aprile di vasti incendi nelle
foreste vicine all'ex centrale, il cui ultimo reattore in funzione era stato
definitivamente spento solo nel 2000. La combustione di queste foreste
durevolmente radioattive ha liberato colonne di fumo potenzialmente pericolose,
disseminate dai venti anche in direzione dell'Europa occidentale. Ma i primi
rilevamenti, anche nella stessa Ucraina, avrebbero fugato per ora i peggiori
timori.
Di certo, anche attraverso
le diverse evocazioni filmiche del disastro, fino alla miniserie
anglo-americana Chernobyl (2019) che evoca pure il dramma degli addetti che si
sacrificarono per spegnere e poi decontaminare il sito, il simbolo della
catastrofe continuerà a far riflettere le generazioni.
https://www.avvenire.it/mondo/pagine/chernobyl-34-anni-dopo
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