Sulla scia dell'entusiasmo creatosi attorno al successo dell'Apollo 11 (20 luglio 1969) e della celebre camminata sulla Luna di Neil Armstrong, con cui in un solo colpo erano stati offuscati i primati sovietici dello Sputnik e di Gagarin, il governo degli Stati Uniti d'America diede forte impulso al "programma Apollo". Dopo la missione n° 12 (con le prime videoriprese a colori del satellite terrestre), la NASA avviò l'organizzazione di altre due spedizioni.
Per l'Apollo 13 venne designato nel ruolo di comandante James Lovell,
un astronauta di lungo corso, con tre voli spaziali all'attivo (Gemini 7,
Gemini 12 ed Apollo 8). Accanto a lui Ken Mattingly, come pilota
del modulo di comando dell'Apollo (ribattezzato Odyssey), e Fred
Haise, in qualità di pilota del modulo lunare o LEM (rinominato Aquarius).
A pochi giorni dal lancio Mattingly venne sollevato dall'incarico, per un
sospetto contagio da rosolia, e sostituito con John Swigert.
L'ora X scattò alle 14.13 (ora di New York) di sabato 11 aprile, dalla base di
lancio di Cape Canaveral, in Florida. Destinazione l'altopiano di Fra Mauro sulla
Luna. Fatta eccezione per un problema a uno dei cinque motori nella fase
iniziale, tutto sembrava procedere regolarmente. A 55 ore dalla partenza, con
la Luna distante 14.000 km, la voce di Lovell che avvertiva di un problema scosse
i tecnici della NASA.
Dapprima l'onda d'urto di un'esplosione e poi i comandi dell'Apollo
letteralmente impazziti prospettarono un quadro poco confortante. Guardando
dall'oblò, l'equipaggio si rese conto che stava seminando una sostanza gassosa
nello spazio: era l'ossigeno del serbatoio 2, esploso per un
cortocircuito (sul momento si pensò a un meteorite), che aveva finito col
danneggiare anche il serbatoio 1. La riserva a disposizione era insufficiente
per le operazioni di allunaggio, per cui dalla base arrivò l'ordine di «missione
annullata».
L'obiettivo a questo punto diventava uno solo: riportare a casa gli astronauti.
Gli ostacoli da superare erano diversi, a cominciare dal fatto che l'Odyssey,
danneggiato dall'esplosione, sarebbe tornato utile solo per rientrare
nell'atmosfera terrestre, ma non era più vivibile per l'equipaggio.
Quest'ultimo dovette trasferirsi nel LEM, che però era concepito per ospitare
due persone per due giorni, mentre di lì in poi avrebbe dovuto reggere la
presenza di tre persone per quattro giorni di viaggio.
Cominciò così una corsa contro il tempo dei tecnici della NASA, impegnati a
cercare soluzioni ingegnose per limitare il livello di anidride carbonica e
rintracciare l'energia elettrica necessaria per il rientro. Gli astronauti, dal
canto loro, vennero chiamati a una dura prova di resistenza, dovuta all'assenza
di viveri e acqua potabile e alle basse temperature. Ciò non impedì a Lovell di
compiere manualmente una traiettoria mai tentata in precedenza e
di trovare la lucidità giusta per scrivere a mano i calcoli, che consentirono
di impostare il LEM adattandolo a una capsula e utilizzandolo come scialuppa di
salvataggio, prima del definitivo passaggio nel Modulo di Comando (CSM).
Passaggi decisivi che il 13 aprile fecero tornare i tre sulla Terra. Gli ultimi
istanti, per via del lungo silenzio radio, tennero col fiato sospeso milioni di
telespettatori in tutto il mondo. Anche in Italia la RAI seguì l'evento,
attraverso famosi inviati come Ruggero Orlando (presente anche
nell'impresa di Neil Armstrong) e Jas Gawronski. Pochi istanti dopo
l'atterraggio in mare, dal CSM arrivò la voce di Lovell che rassicurò sulle
condizioni di salute dei tre. Mai fallimento fu più celebrato nella storia
degli USA e non solo.
Trasposta nell'omonimo film di Ron Howard del 1995 (premiato
con due Oscar per Miglior montaggio e Miglior sonoro),
la vicenda dell'Apollo 13 salì nuovamente alla ribalta nel 2011, quando vennero
battuti all'asta i libri di bordo utilizzati da Lovell per i preziosi calcoli.
https://www.mondi.it/almanacco/voce/479003
Nessun commento:
Posta un commento