Lo sbarco in Normandia, compiuto
dagli alleati ad ovest, e l'Operazione Bagration, condotta con successo
a est dall'Unione Sovietica, avevano costretto le truppe tedesche a ripiegare
sempre più entro i confini nazionali. In particolare da questo secondo versante
sembrava profilarsi la minaccia più grave e più temuta per via della
proverbiale ferocia dell'Armata Rossa. Fino all'ultimo, infatti, Adolf
Hitler e i suoi generali sperarono che fossero gli Alleati ad entrare
per primi a Berlino.
Purtroppo per loro gli Angloamericani non ne
avevano la minima intenzione e avevano già messo in conto che alla fine della
guerra quell'area sarebbe finita sotto il controllo dei Russi. Questi ultimi a
loro volta, attraverso lo stesso Josif Stalin, non avevano fatto
mistero delle loro mire sulla capitale tedesca, sia dal punto di vista della
conquista geografica, sia pensando al prezioso materiale del programma atomico
tedesco. Pertanto, una volta conquistate Ungheria, Romania, Bulgaria e Polonia
si videro la strada spianata verso il cuore del Terzo Reich.
Giunta con un'avanzata senza sosta a 60
chilometri da Berlino, lungo il fiume Oder, l'Armata Rossa si posizionò in
attesa del momento propizio. Nel frattempo, al sicuro nel suo bunker, Hitler
farneticava ancora su una possibile vittoria ordinando ai suoi generali di
combattere fino all'ultima goccia di sangue. In molti tra loro sapevano che si
trattava di una battaglia persa, per via dei sempre più scarsi mezzi militari a
disposizione e per le pesanti perdite umane e materiali subite con i bombardamenti
alleati.
In veste di primo ministro, Joseph
Goebbels ricorse a tutta la retorica delirante della propaganda
nazista, per convincere i berlinesi che si poteva resistere e spingere anche i
più anziani e i giovanissimi a dare il proprio contributo, arruolandosi
nella milizia popolare del Volkssturm. Schierati al fianco di unità
sparse di esercito, aviazione e marina, andarono a formare un corpo di 94mila
uomini che, armato alla men peggio, avrebbe dovuto tenere testa a una corazzata
di 464mila soldati, 1.500 carri armati e 12.700 cannoni.
La disparità delle forze in campo non evitò ai
Sovietici di incontrare una tenace resistenza nella fase iniziale dell'attacco,
che partì ufficialmente all'alba del 16 aprile 1945. Quattro giorni dopo
iniziarono a bombardare Berlino, mandando ko la rete elettrica e del gas e
gettando nel terrore i cittadini, al cui orecchio cominciavano a giungere i
racconti dei primi profughi tedeschi sugli stupri e le atrocità commessi dai
soldati russi a discapito dei civili.
Il 30 aprile, in concomitanza con l'avanzata
sovietica verso il centro della capitale, Hitler ed Eva Braun si tolsero la
vita, dopo essersi sposati. Due giorni dopo, alle 7 di mattina del 2 maggio, il
Generale Weidling dichiarò il cessate il fuoco. Berlino era sotto il controllo
dell'Armata Rossa, sancito dall'occupazione del Reichstag (sede del parlamento)
e dalla bandiera rossa issata sulla Porta di Brandeburgo.
La Battaglia di Berlino pose
fine alla Seconda guerra mondiale nel contesto europeo, mentre restava ancora
aperto il fronte del Pacifico che vedeva contrapposti Stati Uniti e Giappone.
Il destino della capitale tedesca, già pianificato con la conferenza di
Jalta (febbraio 1945), si delineò nell'estate dello stesso anno con la
suddivisione in quattro settori controllati dalle nazioni vincitrici (Unione
Sovietica, Stati Uniti d'America, Regno Unito), più la Francia.
L'inasprirsi dei rapporti tra i due blocchi,
occidentale e sovietico, portò alla sciagurata decisione dei russi di
innalzare, nella notte tra il 12 e il 13 agosto del 1961, un muro destinato
a dividere per 28 anni la Germania dell'Est da quella dell'Ovest e a diventare
triste simbolo di un mondo diviso dalla guerra fredda.
http://www.mondi.it/almanacco/voce/712002
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