Il 25
novembre 1915, Albert Einstein svela la scoperta dell'equazione di campo alla
base della teoria della relatività generale, che rivoluzionerà la fisica
moderna
“La più sorprendente combinazione di penetrazione filosofica, intuizione fisica e abilità matematica”. Niente, meglio delle parole di Max Born (non
esattamente un signor nessuno) riassume la straordinaria portata
scientifica della teoria della relatività generale. Una
rivoluzione che spegne, oggi, cento candeline. Esattamente un secolo fa, infatti, l’allora direttore dell’Istituto
di fisica all’Università di Berlino, il
trentasettenne Albert Einstein, presentava all’Accademia prussiana delle
scienze una bizzarra equazione di campo che legava tra loro, in modo del
tutto inusitato, geometria dello spazio-tempo, velocità
della luce e forza gravitazionale.
Pochi mesi più tardi, il 20 marzo 1916, Einstein pubblicò i
dettagli sulla rivista Annalen der Physik, in un articolo
intitolato Die
Grundlage der allgemeinen Relativitätstheorie (La base della teoria della
relatività generale, per l’appunto). Cinquantaquattro pagine che avrebbero
cambiato completamente i connotati della fisica. E che proviamo a raccontarvi
in 5 punti.
1. I problemi da risolvere
comprendere il significato e la portata scientifica della
teoria della relatività generale è necessario fare un passo indietro. E tornare
all’epoca pre-einsteiniana, quella della cosiddetta fisica
classica, in cui il tempo era una grandezza
assoluta, cioè indipendenti dal sistema di
riferimento in cui si trova l’osservatore.
Nella fisica classica, tra le altre cose, valeva la legge di composizione
delle velocità, derivante dai principi di relatività di Galileo,
secondo la quale la velocità di un corpo varia a seconda del sistema di
riferimento in cui la si misura: pensate al passeggero di un treno in
movimento, che lancia una pallina con una certa velocità nella direzione di
marcia del treno; l’osservatore fermo nella stazione misurerà per la pallina
una velocità più alta, dato che velocità della pallina e del treno si sommano.
Una legge che funzionò egregiamente per diverso tempo, finché non
arrivò Maxwell con le sue equazioni dell’elettromagnetismo.
Dalle equazioni di Maxwell veniva fuori, ahinoi, che la velocità
della luce si propaga nel vuoto a velocità finita e,
soprattutto, costante, un fenomeno inconciliabile con la
relatività galileiana.
Nel 1905, il primo intervento di Einstein: lo scienziato,
per mettere ordine, formula la teoria della
relatività ristretta, che estende i principi di relatività galileiana
e toglie al tempo lo status di grandezza
assoluta, risolvendo così la contraddizione Maxwell-Galileo. Dalla relatività
ristretta, però, emerge anche qualcos’altro: l’insuperabilità della velocità
della luce. Che, a sua volta, è in contraddizione con la teoria
della gravitazione universale di Newton, secondo la quale le masse
esercitano un’azione istantanea le une sulle altre.
In altre
parole: se scomparisse improvvisamente il Sole, la Terra – secondo la teoria
della gravitazione di Newton – cesserebbe istantaneamente di
sentirne l’attrazione gravitazionale. Non è possibile, perché la relatività
ristretta prevede che nessuna informazione possa trasmettersi istantaneamente
(o meglio, più velocemente della luce) - ttps://www.wired.it/scienza/energia/2015/11/25/secolo-relativita-teoria-einstein/?gclid=CjwKCAjwsMzzBRACEiwAx4lLG1KKckwsDyKQpZm_R
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