Carl Denham, regista di documentari, parte
alla volta dell'isola del Teschio (il nome è tutto un programma!) per girare un
film. Come attrice ha scelto Ann Darrow, una ragazza povera che ha sorpreso a
rubare, affamata, in un mercato. Durante il viaggio, la giovane assapora la
gioia del benessere e scopre l'amore accettando il corteggiamento di Driscoll,
un aitante marinaio; ma quando la nave getta l'ancora in prossimità della costa
misteriosa, un gruppo di indigeni la rapisce con l'intenzione di offrirla in
sacrificio al dio Kong che essi adorano e temono, un enorme scimmione che vive
nell'interno dell'isola, al di là di una enorme palizzata. Denham, Driscoll ed
altri marinai si mettono sulle tracce di Ann e del mostro che l'ha presa con sé
e si inoltrano attraverso un paesaggio meraviglioso popolato da spaventose
creature preistoriche. King Kong difende la sua preda dai mostri e dagli
uomini, ma alla fine, viene circondato e stordito con il gas soporifero. Denham
lo trasporta a New York, progettando di esibirlo al pubblico come
"l'ottava meraviglia del mondo". Ma King Kong riprende ben presto le
forze e la sera dell'inaugurazione dello spettacolo, riconosciuta la
"sua" ragazza, spezza le catene che lo tengono prigioniero, devasta
il locale e scatena il panico nel pubblico. Il gigantesco animale fugge per le
strade di New York a caccia di Ann e quando la raggiunge, la trasporta sulla
cima dell'Empire State Building. Si tratta, ormai, dell'ultima fuga. Dall'alto
della giungla degli edifici della città, King Kong è in balìa degli aeroplani
che gli ronzano intorno: dopo averne abbattuti alcuni a forza di zampate, la
creatura lascia che la ragazza si metta in salvo e, quasi rassegnato, attende
l'inevitabile fine. "Quando Merian C. Cooper - raccontò Fay Wray - mi
disse che come protagonista maschile del film avrei avrei avuto l'attore più
alto e più scuro che ci fosse mai stato ad Hollywood, pensai che si riferisse a
Cary Grant... Ma poi cominciò ad illustrarmi l'idea di King Kong..." King
Kong è una delle poche produzioni che possano vantare come protagonista
assoluto uno scimmione meccanico. O'Brien, insieme con i fratelli Delgado, lo
costruì utilizzando un modello di 45 centimetri di altezza dotato di scheletro
snodabile di acciaio e ricoperto di lattice e pelle di coniglio. Per le riprese
in primo piano costruì anche una mano, un piede ed una testa del mostro in
grandezza naturale ricoperta da 40 pelli d'orso e manovrata da quattro (ma
altre fonti dicono sei) uomini all'interno, due busti di mezzo metro ciascuno
ed uno anch'esso di grandezza naturale. Per ottenere il ruggito del mostro si
registrò quello di un leone abbassandolo poi di un'ottava. La tecnica della
sovraimpressione, l'uso del "trasparente" e l'"effetto
Dunning" (sovraimpressione tra positivo e negativo) resero molto
realistiche le scene di interazione tra attori e modellini. Alla sceneggiatura
parteciparono il romanziere Edgard Wallace, che morì durante la lavorazione (da
qui la polemica sull'effettivo suo contributo), James Creelman e Ruth Rose,
moglie di Schoedsack. Shoedsack stesso e il produttore Merian C. Cooper si
ritagliarono una partecipazione nel film impersonando, rispettivamente, il
mitragliere e il pilota dell'aereo che abbatte King Kong. La suggestiva
scenografia che sembra spesso ispirarsi alle fantastiche tavole di Doré è opera
di Carrol Clark, Alfred Herman, Marco Larringa e Byron L. Crabbe. La palizzata
che separa il villaggio indigeno dal regno preistorico di King Kong venne data
alle fiamme durante la lavorazione di Via col Vento, per simulare il colossale
incendio di Atlanta (... e, restando in tema di Via col Vento, l'attrice di
colore Hattie McDaniels interprete di Mamie, governante di Rossella O'Hara, in
King Kong fa una breve comparsata). Jean Bouellet non ha esitato a considerare
King Kong il più grande film della storia del cinema mondiale, ed anche se il
giudizio dello studioso francese può apparire azzardato o animato da intenti
provocatori, bisogna riconoscere che King Kong è senza dubbio uno di quei film
che hanno fatto storia. A riguardarlo, ancora oggi si resta favorevolmente
colpiti dalla qualità del montaggio, della scenografia, degli effetti speciali,
e dalle possibili letture che suggerisce. King Kong è un emozionante film di
avventure; ma anche un film su un amore impossibile (buon esempio di
trasposizione cinematografica della favola della bella e della bestia); una
lezione di erotismo (indimenticabili le scene in cui il gigante strapazza con
l'unghia il vestito della bella biondina e quella in cui la osserva fuori da
una finestra); ed un film "politico", per la tematica del
"diverso" e per la denuncia (probabilmente inconsapevole da parte
degli sceneggiatori) del sistema capitalistico americano che tutto
spettacolarizza e consuma... Quando, verso la fine degli anni '60, King Kong tornò
a circolare sugli schermi dei cinema d'essay di Roma, spesso, in platea, si
assisteva ad uno strano fenomeno di coinvolgimento: ogni volta che il povero
scimmione abbatteva un aereo con una zampata, i giovani spettatori
(contestatori come lo si era in quegli anni) prorompevano in applausi
fragorosi... Il soggetto ha ispirato il remake King Kong del 1976, seguito, a
sua volta, da King Kong 2 del 1986.
Nel corso degli anni il
cinema ha avuto modo di perfezionare sempre più i suoi roboanti effetti speciali,
attrazione imprescindibile per tutti quegli spettatori disimpegnati, pronti a
lasciarsi ammaliare dalla semplice forza spettacolare della Settima Arte. Basti
pensare a pellicole del calibro di Guerre Stellari, Alien, Lo Squalo, Blade
Runner, e il gioco è fatto. Il cinema di finzione, infatti, non può esimersi
dall’inventare nuovi mondi prima sconosciuti ai nostri occhi, troppo spesso
pigri di ricreare immaginari alternativi alla realtà di tutti i giorni. Ecco
perche, a distanza di ben 73 anni,
rivedere un capolavoro del passato, come il King Kong di Merian Cooper ed
Ernest Schoedsack, classe 1933, non può non fare un certo effetto. Almeno per
gli amanti del cinema a tutto tondo! Uno dei tanti esempi di cinema nel cinema,
occasione imperdibile per i registi dell’epoca di intrattenere per qualche ora
il proprio pubblico, senza mancare di riflettere sull’essenza stessa dell’arte
cinematografica. Come non accorgersene dinanzi alla storia di Carl Denham
(Robert Armstrong), avventuroso produttore di documentari in cerca di una
giovane attrice per la sua prossima impresa, alla volta dell’isola tropicale di
Skull Island, abitata dal gigantesco gorilla King Kong? Ed è qui che s’innesca
la trovata “universale” del film, alla ricerca “visiva” di quell’eterna lotta impari
tra l’uomo e Dio, tra il paesaggio urbano e la natura; è qui che ha luogo la
conversione da un mondo a immagine e somiglianza del Creatore, ad un mondo a
immagine e somiglianza dell’uomo. Le ultime, visionarie, sequenze con il
gorilla asserragliato sulla cima dell’Empire State Building di New York, in
compagnia dell’amata Ann Darrow (per la serie, anche le bestie hanno dei
sentimenti), ci da il senso contraddittorio del nostro tempo, anche a distanza
di decenni. Non più l’uomo al servizio della natura, bensì la natura al
servizio dell’uomo, con tutti gli squilibri che questa deriva comporta. Un film
d’amore, un film d’avventura, un film di terrore, ma ancor di più un film sul
nostro “vecchio pazzo mondo”- King Kong
di Paolo Massa .
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