Eduardo De Filippo traspose
in questa commedia un affresco della sua città. Scritta durante la guerra, fu
portata in scena per la prima volta al Teatro San Carlo.
In un “basso” napoletano sono narrate le vicende di una famiglia attraversata dal secondo conflitto mondiale e dalle difficoltà che due persone, un uomo e una donna, hanno rapportandosi e crescendo per tenere “insieme” una famiglia.
Donna Amalia e suo marito Gennaro, che di cognome fanno Jovine, sono poveri e vivono nel basso con i loro tre figli, Amedeo, Maria Rosaria e la piccola Rituccia.
Rituccia nell’opera ha il ruolo di simboleggiare l'Italia, tanto a rischio, sia per la povertà che per la guerra. Attorno a Rituccia, cioè alla nostra nazione, accadono le vicende familiari modulate dagli eventi piccoli e grandi del momento.
Nel corso degli anni di matrimonio, Amalia ha preso a disistimare Gennaro, lo giudica un buono a niente, che filosofeggia al posto di cercare di guadagnare denaro per sfamare la famiglia. Amalia, donna forte e pratica, si è assunta quest’onere e, pian piano, con la complicità di Enrico “Settebellizze”, giovane senza scrupoli, è diventata una pedina della borsa-nera.
I figli più grandi osservano questi mutamenti, e condividendo il disprezzo materno per Gennaro, iniziano a vedere i comportamenti illegali della madre come tollerabili, fino al punto di deragliare anche loro in questo senso.
Si dipanano cosi i primi due atti, densi di singole scene memorabili che mettono in evidenza l’enorme talento di scrittore teatrale di Eduardo; al termine del secondo atto Gennaro, tornato a casa stordito dopo gli sbandamenti dello sbarco alleato, trova il “basso” rimesso a nuovo, Amalia elegantemente vestita e Settebellizze, camorrista, che entra ed esce dalla casa come se fosse la sua, facendo avances audaci ad Amalia, anche a rischio di essere visto.
Il terzo atto si apre su di una scena livida e cupa: Rituccia che: “Tene a freva forte” è malata, e potrebbe morire, se non si trova il farmaco giusto.
Amalia e Gennaro si ritovano soli dinnanzi al tavolo, i vicini, gli amici e i conoscenti vanno e vengono, portando notizie sconsolate sul reperimento del medicinale, o portando altri farmaci del tutto inadeguati, facendo infuriare il dottore che è molto preoccupato.
Amalia e Gennaro non parlano tra di loro, si guardano e tentano, con gli sguardi, di colmare la distanza che si è frapposta tra loro negli anni.
Una scena drammatica, che vede Amalia spietata ed egoista, permette di avere il sospirato medicinale. Somministratolo alla piccola ammalata, il medico va via: “Ha da passà a nuttata” dice, tornerà di buon mattino per vedere il decorso della malattia.
Gennaro e Amalia, ancora guardandosi freddamente, convengono sulla frase del medico. Quella “nuttata ha da passà” per Rituccia e per l’Italia intera, dopo la malattia della guerra.
Il messaggio è di cauta speranza, non di ottimismo, ma è rivolto ai timori di tutti gli italiani in dolorosa attesa. Emanuela Catalano –
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