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domenica 29 settembre 2019

Lo Sapevate Che: Cultura - Le foreste sono l’anima della nostra civiltà?

Perderle non significa "soltanto" la crisi di ecosistemi e biodiversità, ma anche negare se stessi

 Le foreste sono anche un patrimonio culturale, psicologico. Gli alberi sono preziosi non solo perché producono ossigeno (poco più che anidride carbonica, ma il bilancio è positivo), ma soprattutto perché alle radici dei boschi è saldamente ancorato tutto il pensiero dell' Occidente, in un rapporto fitto di negazioni e riconoscimenti, così profondo da non poter essere impunemente violato. La civiltà occidentale si è fatta spazio nel cuore delle foreste, in opposizione alle foreste. Per Socrate la città rappresentava il trionfo della radura, del luogo in cui la luce della ragione dissipava le ombre della minaccia dionisiaca, del feroce Dioniso, che come insegnano le Baccanti di Euripide è il dio dell'istinto, dell'estasi, dell'annullamento, del "fuori-di-sé", ovvero della morte, l’unica condizione non negoziabile della nostra esistenza.

Non siamo solo razionalità, siamo mistero, come lo è la natura, che viene prima degli uomini e prima delle loro leggi. Chiamiamola Madre Terra, Terra madre, Creato, ma rispettiamola. Rispettiamo il nostro istinto vitale. Perdere le foreste non significa "soltanto" la perdita degli ecosistemi, della biodiversità, di una fabbrica immensa di medicinali (certo, se le foreste restano intatte e non bruciano non sale la temperatura globale), significa anche negare se stessi, ferire profondamente il nostro lato più istintivo e irrazionale, l'immaginario e il mistero che conteniamo.

Roma, paradossalmente, diventa impero cancellando le foreste delle sue origini (Romolo e Remo, la lupa, i lupercali), la condanna di Roma sarà pronunciata nelle foreste del Nord, a cominciare da Teutoburgo. Dobbiamo entrare nel bosco interiore senza paura, nell’”ombra della civiltà” come scrive Pogue Harrison (Foreste. L'ombra della civiltà, Garzanti) e così incontreremo l'"ombra", come diceva Jung. Ognuno di noi ne ha una e non va rifiutata ma conosciuta, per quanto è possibile. Dobbiamo incontrare le nostre contraddizioni e i nostri limiti. Là sono visionari, poeti e mistici, come Thoreau e Walt Whitman... e Dioniso, che abita quel buio.
Città e foresta, ragione e istinto hanno leggi diverse, entrambe legittime. Ma la più antica è quella della foresta. Distruggere la selva, scacciare Dioniso sostituendolo con il mito del progresso indefinito non servirà a nulla, perché la doppiezza della nostra natura resterà, e se non la accettiamo andremo alla perdizione: "Chi può costringere la foresta a prestar servizio come soldato arruolato? » si chiede Macbeth, il nemico della legge naturale. La foresta che gli muove contro è la risposta, la vendetta della natura. Dobbiamo abitare con la natura, non contro la natura.
La penombra, lo sfumato, la "vaghezza" e le risonanze sono per Leopardi e Baudelaire vitali dal punto di vista artistico ed esistenziale... E lo sono ancora oggi per un'"ecologia della mente" contro il troppo esibito, lo spocchioso, il narcisistico dominante, contro la deprivazione sensoriale e i mondi vituali, gli schermi che ci inghiottono. Contro il consumismo degli oggetti, la mercificazione, la "roba" del Verga. Leopardi parla di queste risonanze, nel suo "Infinito" il "naufragar m'è dolce" cos'è altro, se non una forma di estasi dionisiaca?
Questo dare importanza alle cose e ai luoghi, non più interscambiabili, questa foresta di simboli che illumina le regioni interne della nostra psiche amplifica l'orizzonte della nostra percezione... "Mi si magnifica l'intelletto", direbbe Giordano Bruno. Come il gusto della madeleine proustiano, noi abitiamo la nostra memoria, è lei che definisce la nostra esistenza, non il surfare sulle cose e sugli impulsi. Se perdiamo questa profondità, schiacciati nel presente, perdiamo le nostre radici, andiamo incontro a una morte spirituale. Anche Baudelaire descrive le conseguenze di questa alienazione, l'annientamento della memoria, l'essere separati dall'esperienza profonda. La sua disperazione nel vedere che il mondo perde risonanze, gusto, tatto, "visione" e musica, è lo "Spleen".
Nell'epopea mesopotamica di Gilgamesh, la più antica opera letteraria della storia (che ha ispirato Omero e la Bibbia), l'eroe Gilgamesh esce dalle mura della città, (esce dalla razza, dalla religione, dall'identità, dalla civiltà, dai confini invalicabili della storia, insomma) e sale sulla montagna dei cedri per uccidere il mostro Humbaba, custode del bosco sacro. Ha guardato sopra le mura della Storia e ha visto la trascendenza inesorabile della natura, che tramuta i re e i potenti in cadaveri. Sente "il richiamo della foresta". Gilgamesh e l'amico Enkidu uccidono il custode dei cedri, gli tagliano la testa e lui li maledice, per tale misfatto Enkidu è condannato a morte dagli dei. Gilgamesh cade in uno stato di tristezza mortale, non valgono onori e monumenti, capisce che la morte è invincibile, le nostre mura non servono.
Noi continuiamo a fare come Gilgamesh: non possiamo abbracciare la terra ma possiamo spogliarla. Ci accaniamo contro la natura e gli animali con rabbia, come volessimo vendicarci, con hubris, del nostro essere ostaggio della morte. Ma la natura, la nostra irrazionalità (come Dioniso nelle Baccanti) si vendicano di chi la devasta. Marciano contro di noi: molte commedie di Shakespeare  sono ambientate nelle foreste (A piacer vostro, Sogno di una notte dí mezza estate), ma il Macbeth ci offre la metafora  più potente: la grande foresta di Birnam che muove verso il castello di Macbeth e condanna chi ha violato il diritto naturale. La legge della terra si ritorce contro chi l'ha violata.

È ora di dire: "caro creato, "I care", "Il faut cultiver son jardin"; da Voltaire a Kennedy diciamo "Mi interessa", esattamente il contrario del fascista "Me ne frego". È tempo di abbandonare l'esasperato materialismo e abitare con la natura, non contro la natura. Altrimenti quella stessa luce della fiamma che illumina a giorno la penombra vitale delle foreste e le incendia, distruggerà anche noi.

CARLO GRANDE - CULTURA - 28 Settembre 2019 – https://www.lastampa.it/cultura/2019/09/28/news/le-foreste-sono-l-anima-della-nostra-civilta-1.37541035

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