Perderle non significa "soltanto" la
crisi di ecosistemi e biodiversità, ma anche negare se stessi
Le foreste sono anche un patrimonio culturale,
psicologico. Gli alberi sono preziosi non solo perché producono ossigeno (poco
più che anidride carbonica, ma il bilancio è positivo), ma soprattutto perché
alle radici dei boschi è saldamente ancorato tutto il pensiero dell' Occidente,
in un rapporto fitto di negazioni e riconoscimenti, così profondo da non poter
essere impunemente violato. La civiltà occidentale si è fatta spazio nel cuore
delle foreste, in opposizione alle foreste. Per Socrate la città rappresentava
il trionfo della radura, del luogo in cui la luce della ragione dissipava le
ombre della minaccia dionisiaca, del feroce Dioniso, che come insegnano le
Baccanti di Euripide è il dio dell'istinto, dell'estasi, dell'annullamento, del
"fuori-di-sé", ovvero della morte, l’unica condizione non negoziabile
della nostra esistenza.
Non siamo solo razionalità, siamo mistero, come lo è
la natura, che viene prima degli uomini e prima delle loro leggi. Chiamiamola
Madre Terra, Terra madre, Creato, ma rispettiamola. Rispettiamo il nostro
istinto vitale. Perdere le foreste non significa "soltanto" la
perdita degli ecosistemi, della biodiversità, di una fabbrica immensa di
medicinali (certo, se le foreste restano intatte e non bruciano non sale la temperatura
globale), significa anche negare se stessi, ferire profondamente il nostro lato
più istintivo e irrazionale, l'immaginario e il mistero che conteniamo.
Roma, paradossalmente, diventa impero
cancellando le foreste delle sue origini (Romolo e Remo, la lupa, i lupercali),
la condanna di Roma sarà pronunciata nelle foreste del Nord, a cominciare da
Teutoburgo. Dobbiamo entrare nel bosco interiore senza paura, nell’”ombra della
civiltà” come scrive Pogue Harrison (Foreste. L'ombra della civiltà, Garzanti)
e così incontreremo l'"ombra", come diceva Jung. Ognuno di noi ne ha
una e non va rifiutata ma conosciuta, per quanto è possibile. Dobbiamo
incontrare le nostre contraddizioni e i nostri limiti. Là sono visionari, poeti
e mistici, come Thoreau e Walt Whitman... e Dioniso, che abita quel buio.
Città e foresta, ragione e istinto hanno leggi
diverse, entrambe legittime. Ma la più antica è quella della foresta.
Distruggere la selva, scacciare Dioniso sostituendolo con il mito del progresso
indefinito non servirà a nulla, perché la doppiezza della nostra natura
resterà, e se non la accettiamo andremo alla perdizione: "Chi può
costringere la foresta a prestar servizio come soldato arruolato? » si chiede
Macbeth, il nemico della legge naturale. La foresta che gli muove contro è la
risposta, la vendetta della natura. Dobbiamo abitare con la natura, non contro
la natura.
La penombra, lo sfumato, la "vaghezza" e le
risonanze sono per Leopardi e Baudelaire vitali dal punto di vista artistico ed
esistenziale... E lo sono ancora oggi per un'"ecologia della mente"
contro il troppo esibito, lo spocchioso, il narcisistico dominante, contro la
deprivazione sensoriale e i mondi vituali, gli schermi che ci inghiottono.
Contro il consumismo degli oggetti, la mercificazione, la "roba" del
Verga. Leopardi parla di queste risonanze, nel suo "Infinito" il
"naufragar m'è dolce" cos'è altro, se non una forma di estasi
dionisiaca?
Questo dare importanza alle cose e ai luoghi, non più
interscambiabili, questa foresta di simboli che illumina le regioni interne
della nostra psiche amplifica l'orizzonte della nostra percezione... "Mi
si magnifica l'intelletto", direbbe Giordano Bruno. Come il gusto della
madeleine proustiano, noi abitiamo la nostra memoria, è lei che definisce la
nostra esistenza, non il surfare sulle cose e sugli impulsi. Se perdiamo questa
profondità, schiacciati nel presente, perdiamo le nostre radici, andiamo
incontro a una morte spirituale. Anche Baudelaire descrive le conseguenze di
questa alienazione, l'annientamento della memoria, l'essere separati
dall'esperienza profonda. La sua disperazione nel vedere che il mondo perde
risonanze, gusto, tatto, "visione" e musica, è lo "Spleen".
Nell'epopea mesopotamica di Gilgamesh, la più antica
opera letteraria della storia (che ha ispirato Omero e la Bibbia), l'eroe
Gilgamesh esce dalle mura della città, (esce dalla razza, dalla religione,
dall'identità, dalla civiltà, dai confini invalicabili della storia, insomma) e
sale sulla montagna dei cedri per uccidere il mostro Humbaba, custode del bosco
sacro. Ha guardato sopra le mura della Storia e ha visto la trascendenza
inesorabile della natura, che tramuta i re e i potenti in cadaveri. Sente
"il richiamo della foresta". Gilgamesh e l'amico Enkidu uccidono il
custode dei cedri, gli tagliano la testa e lui li maledice, per tale misfatto
Enkidu è condannato a morte dagli dei. Gilgamesh cade in uno stato di tristezza
mortale, non valgono onori e monumenti, capisce che la morte è invincibile, le
nostre mura non servono.
Noi continuiamo a fare come Gilgamesh: non possiamo abbracciare la terra ma
possiamo spogliarla. Ci accaniamo contro la natura e gli animali con rabbia,
come volessimo vendicarci, con hubris, del nostro essere ostaggio della morte.
Ma la natura, la nostra irrazionalità (come Dioniso nelle Baccanti) si
vendicano di chi la devasta. Marciano contro di noi: molte commedie di Shakespeare
sono ambientate nelle foreste (A piacer vostro, Sogno di una notte dí mezza
estate), ma il Macbeth ci offre la metafora più potente: la grande
foresta di Birnam che muove verso il castello di Macbeth e condanna chi ha
violato il diritto naturale. La legge della terra si ritorce contro chi l'ha
violata.
È ora di dire:
"caro creato, "I care", "Il faut cultiver son jardin";
da Voltaire a Kennedy diciamo "Mi interessa", esattamente il
contrario del fascista "Me ne frego". È tempo di abbandonare l'esasperato
materialismo e abitare con la natura, non contro la natura. Altrimenti quella
stessa luce della fiamma che illumina a giorno la penombra vitale delle foreste
e le incendia, distruggerà anche noi.
CARLO GRANDE - CULTURA - 28 Settembre 2019 – https://www.lastampa.it/cultura/2019/09/28/news/le-foreste-sono-l-anima-della-nostra-civilta-1.37541035
CARLO GRANDE - CULTURA - 28 Settembre 2019 – https://www.lastampa.it/cultura/2019/09/28/news/le-foreste-sono-l-anima-della-nostra-civilta-1.37541035
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