Era appena terminata la strage dei proci, tutti trucidati da Ulisse; la prova che fosse tornato ad Itaca l’aveva già data: con la forza e vigoria che Atena gli aveva donato, seppe tendere magnificamente l’arco e la freccia scoccata attraversò gli anelli di dodici scuri.
Con Telemaco e l’aiuto dei suoi mandriani fedeli,
Eumeo e Filezio, incominciò la mattanza ed i proci che avevano
infestato la sua casa, occupandola senza titolo ogni sera con ricche libagioni
allestite con vino buono e carni saporite, furono
ammazzati tutti.
Nella sala centrale della reggia erano
seduti l’uno di fronte all’ altro: non si guardavano, abbassavano lo sguardo.
Ulisse era soddisfatto per aver liberato la sua casa
da usurpatori: si sentiva nuovamente Re,orgoglioso della sua forza ed il suo
indomito coraggio.
Penelope, invece, che si era ritirata nelle sue stanze
e non aveva visto l’eccidio, era adirata, perché il sogno che aveva fatto la
sera prima si era tutto avverato.
Aveva sognato che le sue oche, che stavano pizzicando
grano, fossero aggredite da un’aquila dal becco adunco che, rapace, le aveva
sgozzate tutte, allo stesso modo di Ulisse che aveva accoppato i Proci.
“Discese dalle stanze di sopra: nel
cuore era incerta, se interrogare da lontano il marito
O accostatasi, prendere e baciargli il
capo e le mani.
Entrò e varcò la soglia di pietra,
poi sedette di fronte ad Odisseo, nel
raggio del fuoco all’altra parete: egli, guardando in basso, sedeva
appoggiato ad un’alta colonna,
aspettando se gli avrebbe parlato la nobile sposa, dopo averlo veduto con gli
occhi.
Lei sedeva a lungo in silenzio, lo
stupore invadeva il suo cuore:
ora, cogli occhi, lo ravvisava nel viso,
ora, per le sue misere vesti, non lo riconosceva.”
(L’Odissea- Omero libro XXIII versi 85-95 traduzione
di Aurelio Privitera).
Telemaco, figlio di Ulisse, rimprovera sdegnosamente
la mamma; dice che ha un cuore duro, come una pietra, perché non abbraccia il
suo nobile e valoroso sposo che, dopo vent’anni di guerra, orribile, rovinosa
ed un periglioso viaggio per mare contro il Dio Poseidone, è tornato nella sua
Itaca e la sua sposa superba, altera e cattiva nel cuore non l’ha voluto
riconoscere.
“Nessuna altra donna starebbe così, con cuore
ostinato, lontana dal proprio marito, che sofferti molto dolori tornasse nella
terra dei padri, ma il tuo cuore è sempre più duro di un sasso”(versi
100-105).
Luigi Malerba, finissimo scrittore nel suo bellissimo libro “Itaca
per sempre” così immagina la reazione stupefatta di Ulisse: anima mia le ho
detto, per venti anni ho sognato questo giorno.
A te pensavo sotto le mura di Troia quando il buio
scendeva sull’esercito acheo e di te ho sempre parlato con i miei compagni di
guerra e un ricordo amoroso ti rivolgevo ogni volta che partivo per una impresa
rischiosa.
A te correva il mio pensiero, quando la tempesta
faceva ondeggiare la mia nave sui flutti ostili. O quando il feroce Polifemo ci
ha imprigionati nella sua spelonca e mi ha privato dei miei compagni migliori.
E adesso che ho sgombrato la casa da tutti i
pretendenti, tu mi guardi come un estraneo. Ho ascoltato per anni la tua voce
dentro una lucida conchiglia che un’onda violenta mi ha strappato dalle mani
durante un naufragio, ma ora insieme alla conchiglia ho perduto anche la mia
sposa?
Ma Penelope nonostante che Euriclea gli abbia detto
che quel mendicante fosse Ulisse,perché nel lavarlo aveva scoperto e rivisto la
cicatrice della ferita che il cinghiale gli aveva inferto nella caccia da
giovane condotta sul monte Parnaso, vuole un segno comune solo a Lei
ed al Suo amato sposo.
“Figlio mio, nel petto il mio animo è attonito
e non posso parlare né fare domanda
o guardare diritto il suo volto.
Se veramente è Odisseo e a casa è
tornato, certo noi due
abbiamo dei segni, che noi soli
sappiamo, nascosti agli estranei”(versi
105-110).
Pietro Boitani, finissimo studioso del mito di Ulisse, sostiene che
nell’incontro tra Odisseo e Penelope si concreta il più suggestivo riconoscimento della
letteratura di tutti i tempi.
Il riconoscimento, l’agnizione dei latini, l’anagnorisis dei
greci è un elemento centrale della narrazione complessa, della tragedia, perché
mette in scena l’affiorare della conoscenza, non in un processo teorico
astratto, ma nella carne stessa, nei sentimenti, nell’intelligenza degli esseri
umani.
Come è scritto nell’Elena di Euripide riconoscere
è un Dio.
Quando si incontrano è per mezzo dei segni che
si riconoscono Ulisse e Penelope: qui si concreta il riconoscimento del Dio
Amore.
Il segno lo pretende Penelope perché è
intimo, segreto, non conosciuto da nessuno, è un fatto che riguarda solo lei ed
il suo sposo (Piero Boitani, Riconoscere è un Dio-Scene e temi del
riconoscimento nella letteratura Einaudi).
Ma prima del riconoscimento Ulisse deve ritornare
bello e forte, come aveva lasciato Itaca venti anni prima: si
compie il ringiovanimento per mezzo dell’astuta Atena.
“la dispensiera Eurinome intanto lavo’ il magnanimo
Odisseo, nella sua casa e l’unse con l’olio, gli gettò un bel manto ed una
tunica indosso, mentre Atena gli sparse dal capo molta bellezza: d’aspetto più
grande e robusto e dal capo gli fece scendere riccioli a fiori di giacinto.
Come quando intorno all’argento versa dell’oro un artefice, che Efesto e
Pallade Atena istruirono sui segreti dell’arte e crea opere piene di
grazia, così gli infuse la grazia sul capo e sugli omeri.Egli uscì dalla vasca
simile agli immortali nel corpo; di nuovo sedette sul trono da cui si era
alzato”(versi 155-165).
Era bellissimo, ma Penelope non si fidava.
“Orsù, Euriclea stendigli il solito letto fuori del
talamo, ben costruito che fece lui stesso; portate fuori il solido letto e
gettatevi sopra il giaciglio pelli e coltri e coperte lucenti.
Disse così per provare il marito ed
Odisseo sdegnato disse alla moglie solerte:”donna è assai doloroso quello che
hai detto .Chi mise altrove il mio letto? …Nessun uomo vivo o mortale, neppure
giovane e forte lo smuoverebbe con facilità, perché vi è un gran segreto nel
letto lavorato con arte; lo costruii io stesso non altri”(175-180).
Infatti Ulisse ha costruito la casa attorno alla
quercia di ulivo, nel cui incavo ha ricavato il letto ed il talamo nuziale. Non
può pertanto essere trasportabile, il letto è irremovibile, immobile.
Si direbbe che comprenda perfettamente il linguaggio
della moglie e lo approvi: immaginiamo che, fra poco, ci parlerà di uno di
questi segni.
Il marito e la moglie sono soli: la prova definitiva,
dalla quale uscirà il riconoscimento o la perdita, deve avvenire senza il
figlio.
Penelope continua a tacere: non
riconosce (non vuole riconoscere) il marito, sebbene sia ritornato come nella
giovinezza.
Per la prima volta, Ulisse si rivolge direttamente
alla moglie: ormai nessun rapporto obliquo è possibile. Le dice: donna
incomprensibile: non capisce perché, ora, non lo riconosca. Non capisce che
Penelope desidera il segno. Così accusa il suo cuore di ferro: con
una specie di complicità e di ammirazione, perché sa di avere anche lui un
cuore ostinato e di ferro; e ordina a Euriclea di preparargli il letto, dove
dormirà solo.
Con una perfetta corrispondenza, Penelope rivolge ad
Ulisse la stessa parola che lui le aveva rivolto, uomo incomprensibile. Non
capisce come Ulisse non abbia capito ciò che desiderava da lui: un segno
segreto.
Nel mendico trasformato dalla grazia divina, ritrova
il marito, che aveva lasciato Itaca vent’anni prima con le navi dai lunghi remi
e per la prima volta gli dà del tu.
Ma la prova degli occhi non le basta: gli occhi
possono ingannare, lo straniero può essere un dio. Vuole un segno:
il suo segno. E, siccome Ulisse non porta prove, decide di
procurarsele con l’astuzia. Si rivolge a Euriclea, che assiste in silenzio alla
scena e le dice di portare all’aperto il letto coniugale, dove da
vent’anni non dorme.
Quando Penelope rivolge ad Euriclea queste parole
pacate, Ulisse è sconvolto. Quel letto compatto, solidamente fissato nel suolo,
con le radici profondamente immerse nella terra, immobile, irremovibile,
sottratto a qualsiasi mutamento e cambiamento, è il centro della sua vita .Il
letto racchiude tutti gli aspetti dell’esistenza di Ulisse: il rapporto
religioso con Atena, perché egli l’ha lavorato nell’ulivo: l’identità,
l’ostinata irremovibilità del carattere: ricorda il matrimonio con Penelope, la
fecondità della moglie, la casa cresciutagli attorno, il suo potere di re;
fonda natura e cultura, le radici ancora vive e l’opera delle sue mani
artigiane. Il letto è il grande segno segreto, che soltanto
lui, Penelope e un’ancella conoscono. Forse è sfuggito persino agli dèi
mascherati, che spiano le sue vicende.
Appena Ulisse rivela il grande segno, le
ginocchia e il cuore di Penelope si sciolgono, come accade nell’amore, nel
sonno e nella morte. Il letto costruito nell’ulivo è il segno sicuro,
del quale può fidarsi. Piange, getta le braccia al collo di Ulisse, lo bacia e
gli dice:
“Odisseo, non essere irato con me… … :ci diedero
pene gli dèi, che a noi negarono di vivere insieme e insieme goderci la
giovinezza e toccare la soglia della vecchiaia. Non essere, ora, adirato, non
essere offeso se non t’ho detto, appena ti vidi, il mio affetto”(versi
210-215).
Mentre i due si abbracciano si inserisce Omero con una
delle più belle similitudini e metafore della letteratura di tutti i tempi:
”come appare gradita la terra a coloro che nuotano
e di cui Posidone spezzò la solida nave, sul mare, stretta dal vento e dal duro
maroso: e pochi sfuggirono all’acqua canuta nuotando alla riva, e la salsedine
s’è incrostata copiosa sul corpo, e toccano terra con gioia, scampati al
pericolo, così le era caro lo sposo, guardandolo”(versi 235-240).
Non gli staccava più le candide braccia dal collo. Il
paragone concentra la vicenda di Ulisse: l’ Odissea è la storia di un sempre
ripetuto naufragio, che solo ora si conclude a Itaca, accanto al letto d’ulivo.
Atena trattiene l’aurora e prolunga la notte. Così
l’incontro finale tra i due naufraghi avviene fuori dal tempo, che
finora ha soggiogato il corso dell’ Odissea . Alla luce delle fiaccole,
Eurinome e Euriclea preparano il letto d’ulivo: Euriclea va a dormire; Eurinome
guida Ulisse e Penelope fino alla stanza. I due fanno l’amore. Poi hanno
un’altra gioia: il racconto.
Fuori dal tempo, entrambi guardano
indietro nel tempo; e quanto era stato sofferenza e dolore
diventa, per entrambi, la gioia della narrazione. Poi si addormentano. Atena,
che aveva fermato il tempo, lo fa scorrere di nuovo e riporta la luce.
Il letto di Ulisse rappresenta nella civiltà
occidentale il talamo dell’unione matrimoniale, la fedeltà come segno
ineludibile dell’amore tra gli sposi, l’unico vero e grande amore che non
conosce surrettizie sostituzioni. Si riunisce in quel letto ed in quell’amore
il dolore, la morte, la felicità, la disgrazia, il presente, il passato ed il
futuro, la fine e l’inizio della nostra vita sulla terra, la memoria, il dubbio,
la certezza, la pena ed il segno della famiglia, tramandato ed accolto anche
dalla religione cristiana.
Ulisse ha rifiutato l’immortalitá, congiunta alla
giovinezza che gli ha offerto Calipso, per tornare ad Itaca e soffrire la
vecchiaia con Penelope. Questa scelta lo fa amare da tutta l’umanità, perché
sfida il tempo con la sua terribile e devastante consunzione, quel tempo che
porta disgrazia e morte, ma anche quel tempo che fa godere la vita, viverla
intensamente, in un frammento di felicità, quando la donano, sia pure per poco
gli dei che offrono solo lutti e morte.
Scrive Recalcati che la fedeltà
rifiuta il sacrificio di sé, non è il nascondimento di una pulsione fedifraga
non è la manifestazione di una mortificazione repressiva della vita, ma riguarda
l’esposizione all’amore come atto nel quale si gioca tutto l’essere. Nessuna
possibilità di riserva:l’amore come esposizione assoluta al desiderio
dell’Altro mette in rilievo l’insostituibilità dell’esistenza particolare
dell’amato. Non ci stanchiamo mai di vedere il volto dell’amato, anche quando
si consuma per la legge del tempo, anche quando presenta irrimediabili rughe,
la finitezza irriducibile dell’essere, anche quando soffre, le pene sue e
quelle tue o dei tuoi figli.Li è l’amore non altrove( Massimo Recaltati Non è
più come prima. Elogio del perdono nella vita amorosa- Raffaello Cortina
Editore).
Nel letto nunziale la nostra dignità
appare nuda, incondizionata, permanente, insostituibile: attende l’altra, per
diventare una cosa sola, sino alla fine del tempo.
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