La vacanza è un vuoto tra due sospiri.
Uno di desiderio, l’altro di sollievo, il primo precede le ferie, che
sospiratissime lo sono per definizione. Il secondo segna l’uscita dal tunnel
agostano, in cui abbiamo improvvisamente troppo tempo a disposizione, ma non
sappiamo cosa farne. Soprattutto se abbiamo scelto mare o montagna, e fa brutto
tempo. Perché, nel loro piccolo, le ferie ci mettono di fronte all’esperienza
metafisica dell’infinità del tempo, di cui cogliamo improvvisamente il vuoto
incommensurabile. Perché privo del solito tran tran, degli obblighi, degli
orari. Che lo rendono tiranno. Ma al tempo stesso misurabile, recriminabile, ma
anche affrontabile. Finché ci muoviamo tra le lancette dell’orologio che
incalza. Finchè seguiamo i sui ritmi, duri e stressanti, ma che rendono
“contate” le nostre ore, ci sentiamo a casa, sia pure in una casa che ci sta
stretta e dalla quale sogniamo di evadere. Il tempo libero invece ci fa uscire da
questa quotidianità coatta e ci getta in una vacanza nel senso letterale del
termine, che deriva dal termine latino
vacans e significa vuoto, mancante. E in una società come la nostra, che
affida al lavoro scopo e senso della vita, è quasi naturale che questa
sospensione di attività, questo improvviso vacuo dell’esistenza, venga
letteralmente zippato, a immagine e somiglianza di quello lavorativo. Sagre,
apericena, party, trekking, zumba, spinning, escursioni, corsi di erboristeria,
fitoimmunologia, cucina, panificazione, saponificazione naturale e paracadute
ascensionale. Stage, tirocini e tutorial per tenere in attività una folla di
sbandati in cerca di occupazione. Come dire che il dovere delle vacanze è il
lato B del diritto alle ferie.
Marino Niola – Miti d’oggi – Il Venerdì di Repubblica – 26
agosto 2016 -
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