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domenica 25 settembre 2016

Lo Sapevate Che: Domanda giusta risposta sbagliata...



Eppure Ha Preso Piede l’idea, sospinta forse dal generoso tentativo di Bernie Sanders e da quei ragazzi che l’applaudivano nel corso della campagna presidenziale americana, che ci sia anche un “populismo” buono”, insomma che si possa provare a fare politica “dalla parte del popolo” E “contro le élite”. Perché? Ed è proprio così? Proviamo? Ed è proprio così? Proviamo a rispondere. Ma prima, come nei romanzi di una volta, facciamo un passo indietro. Di populismo moderno si parla in realtà da quasi trent’anni: si cominciò con Le Pen padre (primo exploit, 14 per cento dei voti alle presidenziali del 1988) e si continuò con Silvio Berlusconi (1994, discesa in campo) pensando a Juan Domingo Peròn e dunque rafforzandosi nella convinzione che il nuovo virus populista, nonostante gli antichi lombi socialisteggianti, potesse attecchire solo a destra. E ce s’è visto che sono germogliate piante anche a sinistra Podemos in Spagna o Syriza in Grecia. Nel tempo, però, le cose si sono fatte più complicate perché parole d’ordine tradizionalmente di destra o di sinistra si sono fuse e mescolate – esemplare il caso Cinque Stelle – e il vento populista è soffiato trasversalmente, anche fuori dell’Europa matrigna, della moneta unica e della flessibilità negata: in quella che fu l’Austria felix è esploso Norbert Hofer, xenofobo e antieuropeo; movimenti simili al suo sono sorti in Svizzera o in Norvegia, che non aderiscono all’Ue; perfino la Gran Bretagna, patria del liberismo e del parlamentarismo, s’è inchinata al populismo fino a concepire la Brexit. (..) Se E’ Questa La Miscela che alimenta i populismi, le forze politiche tradizionali hanno risposto finora nel peggiore dei modi:demonizzandoli, denunciandone limiti, incompetenze e irrazionalità (innegabili) o magari scimmiottandone le parole d’ordine più facili attingendo al lungo catalogo degli sprechi, dei privilegi, della casta. Ma sui problemi di fondo, e sulle conseguenze sociali e politiche che ne derivano, nessuno riflette davvero: sono dieci anni che si parla invano di crisi economica, altrettanti di convivenza con un’inarrestabile ondata migratoria, più di quindici da quando Osama bin Laden ordinò di abbattere le Twin Towers. Crisi e globalizzazione hanno reso più ricchi i ricchi e più poveri i poveri acuendo differenze economiche e sociali, e ogni tentativo dei partiti storici di formare una classe dirigente più vicina alle esigenze dei giovani e capace di ridurre divari crescenti è miseramente fallita. Perché poi la reazione rabbiosa a tali sconfitte, alimentata da paure e incertezze, sia quella di finire nelle braccia di Salvini o di Grillo, di Trump o della famiglia Le Pen, bè, ciò appartiene all’insondabile, e anche all’irrazionale perché i nuovi populisti sono stati rispetto a coloro che finora non sono stati capaci di trovare soluzioni e hanno brillato invece per malgoverno, privilegi, corruzione diffusa. Alla fine, resta la considerazione che all’esercito dei populisti, si possono riservare lazzi e reprimende, meritati, ma le esigenze che disordinatamente e demagogicamente rappresentano – domande giuste, risposte sbagliate – quelle andrebbero prese maledettamente sul serio. Nell’interesse di tutti. Se non altro perché il tempo passa e, nonostante gli inevitabili scivoloni (valga per tutti il misero esordio di Virginia Raggi), non è affatto detto che i consensi persi tornino poi lì da dove sono venuti. A meno che le forze politiche non dimostrino di aver capito la lezione, si rinnovino davvero e comincino a cercare risposte convincenti.
Bruno Manfellotto – Questa settimanawww.lespresso.it @bmanfellotto – 18 settembre 2016

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