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sabato 24 settembre 2016

Lo Sapevate Che: Contro le èlite, il caso italiano...



“Populisti In Politica sono sempre gli Zygmunt Baumann, e questo è vero ovunque ma ancora di più nella liquidissima politica italiana. Dove tratti di populismo sono trasversalmente attribuibili a politici di ogni parte: non solo Beppe Grillo e Matteo Salvini – i due più frequentemente accostati al termine – ma anche Silvio Berlusconi (“meno tasse per tutti”, “abolirò il bollo auto” fino al mitico “sconfiggeremo il cancro entro tre anni”) e Matteo Renzi (“La mia scorta sarà la gente”, “venderò le auto blu su eBay”, fino al classicissimo “ rottamiamo la vecchia politica”): Questione scivolosa, quindi, il populismo in Italia, almeno se come tale s’intende un approccio comunicativo verso il popolo con il quale i leader politici vanno in cerca di consenso facile ed emotivo, solleticando la pancia dei cittadini-elettori e dicendo alla “gente” ciò che questa vuole sentirsi dire, a dispetto dei fatti.(..). In Italia invece il dissenso di massa verso il sistema è canalizzato in modo preponderante dal Movimento 5 Stelle, che si autodefinisce “né di destra né di sinistra” e ha esponenti da entrambe le parti, così come da entrambe le parti arrivano i consensi nelle urne. Questa ambivalenza tutta italiana dei M5S viene variamente interpretata:secondo Grillo, se non ci fosse il Movimento avremmo “anche qui i fascisti e i nazisti al 30 per cento”; secondo Wu Ming, al contrario, in questo modo il M5S finisce per fare “da tappo” a una autentica conflittualità sociale e “occupa uno spazio vuoto per mantenerlo vuoto”. Entrambi le tesi mancano di controprova, finché i Cinque Stelle esistono e costituiscono il primo o il secondo partito: non si sa cioè dove si canalizzerebbe, in loro assenza, la contrapposizione di massa verso l’establishment. Gli aspiranti non mancano, s’intende: a destra (soprattutto Salvini, come ovvio) così come a sinistra (il sindaco di Napoli Luigi de Magistris, che lavora sotto traccia per un nuovo movimento insieme alla “rete delle città ribelli” e all’ex ministro greco Yanis Varoufakis). Ma si tratta, almeno per ora, di pretendenti con l’handicap: Salvini sconta il peccato originale di esistere solo in quella Padania di cui la Lega è stata vessillifera, De Magistris paga l’autoreferenzialità della sinistra radicale nostrana e la sua tendenza a rinchiudersi in una nicchia litigiosa fuori dal mondo. In Italia resta quindi soprattutto il M5S a interpretare il “dissenso populista” verso l’establishment, quel fenomeno che l’ex president Napolitano definisce sprezzantemente “furia iconoclasta” e che tuttavia ha teorici d’indubbia statura intellettuale (da Ernesto Laclau a Chantal Mouffe, ma qualcuno ne ritrovale radici perfino in Gramsci. Per paradosso, tuttavia, quella che sul breve è la forza del M5S (cioè l’ambivalenza destra-sinistra e il suo pescare in entrambi gli elettorati) sul lungo potrebbe costituire la sua maggiore difficoltà, anche rispetto agli altri “movimenti anti-sistema” europei. Sul lungo, cioè a mano a mano che il Movimento stesso si fa governo ed è quindi costretto a compiere scelte che lo definiscono politicamente , culturalmente ed economicamente, oltre la facile contrapposizione all’establishment. Sarà quella, se verrà, la vera prova del fuoco dei Cinque Stelle, assai più complessa e delicata di un assessorato a Roma.
Alessandro Gilioli – Prima pagina La tempesta perfetta – L’Espresso – 18 settembre 2016 -

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