“Populisti In Politica sono sempre gli Zygmunt Baumann, e
questo è vero ovunque ma ancora di più nella liquidissima politica italiana.
Dove tratti di populismo sono trasversalmente attribuibili a politici di ogni
parte: non solo Beppe Grillo e Matteo Salvini – i due più frequentemente accostati
al termine – ma anche Silvio Berlusconi (“meno tasse per tutti”, “abolirò il
bollo auto” fino al mitico “sconfiggeremo il cancro entro tre anni”) e Matteo
Renzi (“La mia scorta sarà la gente”, “venderò le auto blu su eBay”, fino al
classicissimo “ rottamiamo la vecchia politica”): Questione scivolosa, quindi,
il populismo in Italia, almeno se come tale s’intende un approccio comunicativo
verso il popolo con il quale i leader politici vanno in cerca di consenso
facile ed emotivo, solleticando la pancia dei cittadini-elettori e dicendo alla
“gente” ciò che questa vuole sentirsi dire, a dispetto dei fatti.(..). In
Italia invece il dissenso di massa verso il sistema è canalizzato in modo
preponderante dal Movimento 5 Stelle, che si autodefinisce “né di destra né di
sinistra” e ha esponenti da entrambe le parti, così come da entrambe le parti
arrivano i consensi nelle urne. Questa ambivalenza tutta italiana dei M5S viene
variamente interpretata:secondo Grillo, se non ci fosse il Movimento avremmo
“anche qui i fascisti e i nazisti al 30 per cento”; secondo Wu Ming, al
contrario, in questo modo il M5S finisce per fare “da tappo” a una autentica
conflittualità sociale e “occupa uno spazio vuoto per mantenerlo vuoto”.
Entrambi le tesi mancano di controprova, finché i Cinque Stelle esistono e
costituiscono il primo o il secondo partito: non si sa cioè dove si
canalizzerebbe, in loro assenza, la contrapposizione di massa verso l’establishment.
Gli aspiranti non mancano, s’intende: a destra (soprattutto Salvini, come
ovvio) così come a sinistra (il sindaco di Napoli Luigi de Magistris, che
lavora sotto traccia per un nuovo movimento insieme alla “rete delle città
ribelli” e all’ex ministro greco Yanis Varoufakis). Ma si tratta, almeno per
ora, di pretendenti con l’handicap: Salvini sconta il peccato originale di
esistere solo in quella Padania di cui la Lega è stata vessillifera, De
Magistris paga l’autoreferenzialità della sinistra radicale nostrana e la sua
tendenza a rinchiudersi in una nicchia litigiosa fuori dal mondo. In Italia
resta quindi soprattutto il M5S a interpretare il “dissenso populista” verso
l’establishment, quel fenomeno che l’ex president Napolitano definisce
sprezzantemente “furia iconoclasta” e che tuttavia ha teorici d’indubbia
statura intellettuale (da Ernesto Laclau a Chantal Mouffe, ma qualcuno ne
ritrovale radici perfino in Gramsci. Per paradosso, tuttavia, quella che sul
breve è la forza del M5S (cioè l’ambivalenza destra-sinistra e il suo pescare
in entrambi gli elettorati) sul lungo potrebbe costituire la sua maggiore
difficoltà, anche rispetto agli altri “movimenti anti-sistema” europei. Sul
lungo, cioè a mano a mano che il Movimento stesso si fa governo ed è quindi
costretto a compiere scelte che lo definiscono politicamente , culturalmente ed
economicamente, oltre la facile contrapposizione all’establishment. Sarà
quella, se verrà, la vera prova del fuoco dei Cinque Stelle, assai più
complessa e delicata di un assessorato a Roma.
Alessandro Gilioli – Prima pagina La tempesta perfetta –
L’Espresso – 18 settembre 2016 -
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