Mi Capita Ogni volta che inciampo in tracce di un
passato che non c’è èiù ma che è stato anche mio. Quando rivedo fotografie
delle signorine buonasera della Rai, quando mangio le caramelle dimenticate
della mia infanzia, quando guardo certi film che raccontano un’Italia aliena,
in apparenza meno contorta di quella odierna, quando incontro un telefono Sip a
disco, quando entro in una latteria, quando qualcuno dice “vattelappesca” o
“satanasso”. Sono colta da un improvviso struggimento. Non sono nostalgica e
non penso affatto che la linea del tempo sia un piano inclinato, in progressiva
discesa verso la la rovina. Tuttavia la
trasformazione del mondo intorno a noi, delle parole che adoperiamo, scava
solchi incolmabili e impietosi tra noi che viviamo il presente e chi pur vicino
a noi, non lo vive più. Mio padre era un uomo curioso. Quando apparvero i primi
personal computer lui comprò un Commodor64 e imparò rapidamente a usarlo con un
entusiasmo e una passione che – perfidamente non mi stancavo di rimproverargli - non aveva mai mostrato per noi figli.(..).Si
era iscritto a Facebook quando ancora per molti era una landa infida popolata
da corsari. “Devo capire”, diceva. Faceva buffi esperimenti su Twitter per
prendere le misure del nuovo. Con l’inquietudine dei pionieri, aveva pensieri
vivaci e inafferrabili. Sembrava impossibile che potesse invecchiare. Infatti
si è fermato prima. Il suo mondo è
finito nel 2012. Quello di tutti noi che siamo rimasti è andato avanti. Mi sono
in qualche modo conciliata con la sua assenza, ho imboccato una via del dolore
che fa meno male, l’ho trasformato in una presenza che mi porto dentro con
responsabilità e orgoglio. Ma con l’idea che lui sia rimasto, in un tempo che
diventerà remoto e in un mondo che resterà intrappolato nelle vecchie
fotografie, non riesco proprio a fare pace. Tra qualche anno abiteremo una
terra che non sarà più la sua e questa progressiva e inevitabile estraneità
dell’ambiente rispetto a chi non c’è più, mi annichilisce. (..). “Cosa stai
facendo?” “Guardo un video di Moira”. “Moira Orfei?”. “Eh?” “Stai guardando una
signora in un circo?” “Ma no! Moira è una You Tuber che fa videogiochi”. Mio
figlio di mezzo, se lasciato libero, seguirebbe per ore una tizia senza volto che
gioca e, nel frattempo, si filma a uso e consumo di nerd in erba, “”Siediti qui
vicino a ne, mamma”, m’invita facendomi spazio sul divano. “ “Guarda, sono nati
tre gemelli!” “A Moira?” “No, alla famiglia del suo videogioco”. Mio figlio
seienne ha una playlist di musica tutta sua. Dentro ci sono canzoni marziane
cantate da un divo anfibio e digitale che si chiama Crazy Frog. Il primogenito
adolescente comunica esclusivamente a grugniti e recriminazione, eppure su
WhtsApp riesce a scrivermi pensieri bellissimi. E’ possibile tenere insieme il
volto rassicurante serata di Nicoletta Orsomando che annunciava i programmi per
la serata, la carta carbone, i romanz Urania, le canzoni di Gaber cantante da
mio papà mentre si faceva la barba,il primo messaggio di posta elettronica, la
scoperta di Facebook, Moira e i selfie buffi di mio figlio inviati via
whatsApp, senza perdere l’identità e l’equilibrio? Senza tradire né padri né
figli? E’ possibile e doveroso credo. Per chi è venuto prima, per chi è
arrivato dopo, per le responsabilità che abbiamo verso di loro e verso la vita.
Claudia de Lillo – Opinioni – Elasti – Donna di Repubblica –
24 settembre 2016
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