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venerdì 23 settembre 2016

Lo Sapevate Che: Quando abbiamo smesso di pensarci come aquile, sirene, e fulmini del cielo...



Sto leggendo Il cacciatore celeste di Roberto Calasso, dove si dice: “Al tempo del Grande Corvo, anche l’invisibile era visibile. E continuamente si trasformava. Gli animali, allora, non erano necessariamente animali. Poteva darsi il caso che fossero animali, ma anche uomini, dei, signori di una specie, demoni, antenati. E così gli uomini non erano necessariamente uomini, ma potevano anche essere la forma transitoria di qualcos’altro”. Questa riflessione è riferita, penso, all’alba della storia dell’umanità e dà l’immagine di tutto il lungo processo di razionalizzazione per raggiungere l’attuale equilibrio (?) psicologico dell’umanità. Ricordo un adolescente che nei momenti di crisi vedeva la “vecchia” o il “diavolo” o qualche altra figura immaginaria, da cui poi si liberava con fatica, con l’aiuto di farmaci. Mi chiedo: la malattia psichica è una patologia “recente”, venuta fuori con la “civilizzazione” dell’umanità, con la conquista della logica razionale che imbriglia quanto esula dall’equilibrio dato dall’educazione?  Gaetano Rasola gaetano@aliceposta.it
Bei Tempi, Quando Il Principio di tutte le cose non era Dio, ma la Natura che, come ci ricorda Eraclito, era concepita come “quello sfondo immutabile che nessun dio e nessun uomo fece”. E perciò conteneva uomini e dèi, animali e piante, nubi minacciose e onde inquietanti, in una metamorfosi continua. Proprio come è tutt’ota nel sottosuolo della nostra anima, e come ogni notte si annuncia nei sogni che, prima di essere interpretati, vanno goduti come si gode quando si incontra l’altra parte di noi stessi, non appena si apre il sipario sul teatro della follia che ci abita. Solo per il terrore di incontrarla, o per il terrore che ne ha la società, riduciamo a “malattia”. E così facendo, come diceva Basaglia, la razionalizziamo. Non solo i sogni notturni, ma anche i sogni a occhi aperti sono pieni di metamorfosi e di trasformazioni, quando appunto si sogna di non essere quello che si è, quando immaginiamo una seconda vita, una seconda identità, oppure di perderci tra le nuvole o negli abissi del mare, per riapparire tra gli uomini come volatili del cielo o sirene marine. Sogni diurni che, come le antiche storie raccontate dai miti, sono piene di passioni, di sesso, di violenza, di sangue persino di morte. Tutta roba da non liquidare con la scusa che sono solo immaginazioni o fantasticherie: in realtà sono i percorsi segreti della nostra anima, che si annunciano in questa forma metaforica per non spaventarci, per evitarci di aver paura di noi stessi. Quelli davvero siamo noi.(..) Sarà per questa superiorità che ci sentiamo autorizzati a trattare la terra come se altro non fosse che semplice materia prima, per cui posiamo inquinare l’aria e l’acqua, disboscare le foreste, estinguere le specie animali, o allevarle in condizioni spaventose che preferiamo ignorare quando ne consumiamo le carni. Non abbiamo ancora inventato una morale che si faccia carico degli enti di natura, perché lr uniche morali che abbiamo ideato sono quelle che tendono a ridurre la conflittualità tra gli umani. E siccome una morale funziona quando, interiorizzata , diventa psiche collettiva il fatto che non ci sia una morale a salvaguardia degli enti di natura dice quanto la nostra psiche dalla natura si allontana. All’anima resta solo il buio della notte con il suo corredo di sogni, per connettersi con la natura, che un giorno era la sua casa, popolata da animali che talvolta diventavano uomini e talvolta dèi, e da dèi che diventavano fulmini, tuoni, animali marini, e aquile del cielo. Chi pensava queste cose non era un pazzo, come sarebbe ritenuto oggi, perché la cultura che le accoglieva non era ancora tanto impoverita da saper solo, come ci ricorda Heidegger, “far di conto (Denken als rechnen)” Fuori quel recinto, tutto è infantile, stravagante, folle, pazzo. E questo sarebbe il progresso della civiltà.
umbertogalimberti@repubblica.it  Donna di Repubblica – 17 settembre 2016

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