Si può
diventare amici di un robot o addirittura innamorarsene? E’ una domanda che
l’anno scorso era ancora fantascienza (con il film Ex machina di Alex Garlandi) ma che oggi, con la presenza di interfacce
come Cortana di Windows o giocattoli parlanti come Hello Barbie, inquieta gli
studiosi di scienze sociali per la sua attualità: “I colossi tecnologici, in
particolare quelli della Silicon Valley, vogliono convincerci che il nostro
bisogno di comunicare e socializzare possa essere soddisfatto indifferentemente
da un altro essere umano, da un robot o da un programma di intelligenza
artificiale”dice Kathleen Richardson, antropologa e docente di robo-etica
all’Università di Leicester. La Richardson è tra i protagonisti di Trieste Next
2016 (da oggi al 25 settembre), Hermesse di scienza e tecnologia promossa dal
Comune di Trieste insieme a Università, Regione e Sissa (Scuola internazionale
superiore di studi avanzati dedicata quest’anno al tema Umano post umano.”Il post –umano è, in sostanza, un prodotto. Il
messaggio di chi realizza robot o personaggi in realtà virtuale da compagnia è:
“Non hai intimità con altri essere umani, né amicizie? Tranquillo: noi
costruiremo macchine che interpreteranno questi ruoli per te”. In questo modo,
però, ciò che si afferma è una visione strumentale degli altri. Perché il
robot, in fondo, è uno schiavo: del resto Aristotele definiva gli schiavi
proprio “strumenti animati”. L’antropologa è anche la mente della Campagna contro
i robot sessuali (campaignagainstsexrobots.org) con cui si chiede la messa al
banda degli androidi-concubini che aziende come RealDolls annunciano per il
2017. “La diffusione dei robot sessuali, ancor più della pornografia,
rafforzerà l’idea che il sesso è solo questione di usare altri corpi come
strumenti”. Il rischio che la frequentazione coi robot possa peggiorare le
relazioni umane è uno dei temi del nuovo saggio di Sherry Turkle, docente di Sociologia della scienza al Mit: La conversazione necessaria: la forza del
dialogo nell’era digitale (..). “Oggi abbiamo giocattoli a cui
l’intelligenza artificiale dà la parola. Ma facendosi coinvolgere in queste
conversazioni con loro, i bambini sperimentano un’empatia fittizia come se
fosse vera empatia” dice Turkle. E se iniziamo a trattare i robot come fossero
umani, potremmo finire per trattare gli uomini da robot: “Quando un bambino
parla di “amicizia” con un compagno di giochi sintetico, si abitua a
considerare una categoria specificatamente umana come se avesse equivalenza
artificiale. Ma così si scambia per empatia, un sentimento che richiede sforzo
e dedizione, l’innaturale disponibilità del giocattolo. E si rischia di
sopravvalutare le macchine e sminuire le persone”.
Giuliano Aluffi – Scienze – Il
Venerdì di Repubblica – 23 settembre 2016
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