L’Immagine più vicina che ho nella memoria dei luoghi
devastati dal terremoto è quella di Arquata del Tronto, dove chiese, monumenti
e castelli sono stati gravemente lesi se non distrutti. La chiesa parrocchiale
ha una facciata semplice e un importante portale in arenaria. Nel semplice
interno con altari lignei, sicuramente sopravvissuti, vi è un crocifisso
policromo ritenuto la statua più antica delle Marche. Alto è il suo valore
simbolico perché viene dalla chiesa di
San Salvatore di sotto ad Ascoli ed è stata al centro di una disputa con gli
arquetani che la portarono nella loro chiesa nel 1680. Si tratta di un opera
notevole, nonostante il dubbio restauro, perché è in relazione con la
tradizione spoletina del XII e XIII secolo. E perché se ne conoscono gli
autori, i due frati benedettini, Ranieri e Bernardo. Un altro edificio notevole
per ragioni di culto e di straordinaria suggestione, immediatamente fuori del
paese, nella frazione di borgo di Arquata, è la chiesa di San Francesco, che
conserva una riproduzione fedele della Sindone. Anche nel caso di San Francesco
la situazione non appare disperata. All’interno della chiesa molti altari lignei
di teatrale evidenza. Lo spazio è diviso in due navate, con colonne a base quadrata,
su conci di pietra. Il soffitto è a cassettoni quadrangolari, la cantoria
lignea è in dialogo con il pulpito, su colonne tortili, e con il notevole coro
del Quattrocento. Sulla parete di sinistra, dopo l’altare della Madonna del
Rosario, vi è un affresco datato 1527, in relazione con la scuola di Coca
dell’Amatrice. Pregevole anche la statua lignea di Sant’Antonio. Molto più
grave è la situazione di Amatrice, a circa 18 km da Arquata, lungo un percorso
che tocca Accumuli, da cui giungono notizie assai poco rassicuranti. Tra le
cose preziose di questo paese, un tempo integro e pittoresco, la più eminente
probabilmente è (o era) la torre civica, del XII secolo, storico simbolo delle
libertà comunali, unica in tutta la valle del Tronto. Alla sinistra della torre
civica vi è (o era) il palazzo del podestà a blocchi di arenaria squadrati e
lisci con due grandi arcate a piano terra. Assai significativi erano i palazzi,
certamente lesi, Marini, Cappello e Organtini. Il Cappello era un edificio a
cinque piani, costruito nel punto più alto di Accumuli, in prossimità della
Rocca. Si trattava di un notevole palinsesto costruito di parti edificate in
tempi distinti: la più antica, cinquecentesca, è in pietra a vista squadrata,
con finestre monumentali; i diversi piani erano collegati da una scala
elicoidale con gradini in arenaria incastrati nel muro, di elaborazione assai
rara. (..). Infine la bella Amatrice,città delle torri, città decapitata. Penso
subito al destino delle opere del grande pittore che porta la sua città nel
nome, Cola dell’Amatrice, amico di Raffaello:
due tavole con Giovanni Evangelista e Maddalena e con i santi Pietro e
Paolo, a quanto ricordo depositate nel circolo culturale Nicola Filotesio.
(..). Nel centro storico resiste la chiesa di sant’Agostino, con un mirabile
portale gotico e importanti affreschi sono nella chiesa di Sant’Emidio, e
ancora nella chiesa di San Francesco. La facciata di quest’ultima, di impianto
abruzzese, ha un rosone e un portale gotico di marmo. L’impresa più difficile
sarà una ricostruzione fedele alla memoria e rispettosa delle pietre. Come non
è avvenuto in molti borghi intorno all’Aquila. Ma Arquata, Accumuli e Amatrice
sono centri essenziali per l’arte italiana. Per il medioevo e il rinascimento.
E non dovranno restare rovine abbandonate.
Vittorio Sgarbi – La Scossa – Non abbandoniamo mai la bellezza distrutta – L’Espresso – 28 agosto 2016
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