A Ogni Repubblica il suo terremoto. Ogni sisma è
specchio e rivelazione dei governanti chiamati ad affrontarlo. Furono il Belice
(1968), il Friuli (1976) e l’Irpinia (1980) a scandire lo sprofondare di una
classe politica. La valle del Belice, diventata una metafora della Nazione. “
Caro On. Andreotti, sono una bambina di Santa Ninfa, le ho scritto per Natale
ma lei non mi ha risposto, è una cosa ingiusta. Voi abitate in case comode e
non capite come viviamo noi baraccati…”, scriveva Giovanna Bellafiore, era già
il 1976. E la risposta del Divo Giulio: “Cara bambina, ho ricevuto la tua
letterina. La vicenda del Belice è legata a una dolorosa, e purtroppo non
facilmente spiegabile, procedura amministrativa. I fondi per la ricostruzione
furono stanziati rapidamente… Ti invio una bambola. I miei figli sono grandi,
comprare un giocattolo mi ha fatto tornare indietro negli anni” “I nuovi fondi
per il Belice portino sviluppo”, auspicava il presidente del Senato Renato Schifani.
10 milioni di euro nella legge di
stabilità 2013, 45 anni dopo il sisma. Giovanna Belfiore era cresciuta. Il
Friuli, l’eccezione virtuosa, con il governo di Aldo Moro che nomina
commissario Giuseppe Zambelerletti e delega la gestione dei fondi alla regione.
E sarà il volano del miracolo friulano. L’Irpinia, il buco nero che inghiotte
la Prima Repubblica: i soccorsi inesistenti, la camorra, il Pci rompe con la
Dc, il ministro dell’Interno si dimette, Sandro Pertini denuncia in tv: “Mai
dimenticherò quel che ho visto. Non si ripeta il Belice”. Il capo dello Stato
accusa lo Stato. L’Aquila 2009 è il terremoto della Seconda Repubblica. Lo show
di Silvio Berlusconi (e di Guido Bertolaso), la new town, i grandi del mondo in
Abruzzo, la privatizzazione della ricostruzione con inchieste, processi, intercettazioni (“ Io
stamattina alle tre e mezzo di notte ridevo…”). Il 25 aprile di Onna con il
Cavaliere con il fazzoletto tricolore al collo è l’apice del berlusconismo
compassionevole e spettacolare, il giorno dopo arriva la festa di compleanno di
Casoria e dell’Aquila Silvio non parlerà più. Quello di Amatrice, Accumuli,
Arquata, è il primo sisma della nuova fase, della Repubblica che si vorrebbe
riformare. Al termine di un’estate drammatica, comincia per gli italiani in
vacanza con l’incidente dei treni in Puglia. L’irruzione della tragedia
imprevedibile. La fragilità che spezza l’Italia di mezzo simbolo di pace,
bellezza, buon vivere. Prima c’è il dolore, poi ci sono le scelte della
politica. Matteo Renzi lo sa bene: ogni terremoto per la classe dirigente è la
sfida più dura. E cratere di ambizioni e di vanità.
Marco Damilano – La Scossa – Quella voragine aperta anche nella politica – L’Espresso-28 agosto 2016
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