“Ce l’hai fatta Paola, sei fuori”
urlano trenta persone circa che a Rio, frazione di Amatrice, dopo circa due ore
di delicate operazioni di soccorso e a 9 ore dalla scossa che ha distrutto
tutto, riescono a tirare fuori viva una signora che ha sconfitto la morte
protetta dalla vasca da bagno di casa sua. Case crollate, vie interrotte, gente
in pigiama per strada che cerca di prendere coscienza della vita che cambia per
sempre, della morte che ti circonda all’improvviso senza preavviso,
dell’infinito mistero della fede di chi impreca e di chi prega, col sole
d’agosto che picchia e la polvere in gola, negli occhi, nel cuore. Quattro ore
dopo, scalando le macerie del centro storico di Amatrice, assisto al
salvataggio di Vinicio, che dalla barella riesce a rispondere agli applausi
facendo la “V” di vittoria con le dita. Alcuni fotografi e videomaker
contendono spazi d’azione ai vigili del
fuoco oltre ogni buon senso. Ma la fortuna di vedere solo recuperi con esito
positivo mi abbandona presto. Le richieste di silenzio per agevolare il lavoro
dei cani alla ricerca di tracce di vita e dei soccorritori all’ascolto di
auspicati lamenti, si fanno sempre più rare. In maniera inversamente proporzionale
aumenta il bisogno di lenzuola per coprire le vittime ancora da estrarre e
proteggerle dall’esterno che li aspetta. Si improvvisano mappe di case che non
si conoscono, si prova a capire dove cercare i corpi, si chiedono notizie su
quelli ritrovati, ci si consegna al dovere del riconoscimento, in fila,
piangendo con compostezza sempre e comunque perché intorno a te c’è sicuramente
chi sta peggio. C’è chi di parenti non ne ha persi uno ma due, tre, quattro,
cinque e immaginare di sopravvivere a tanto dolore è esercizio inutile, destino
atroce. Il palazzo dello sport si riempie di generi di prima necessità, le
strade sono percorse da mezzi di soccorso di ogni tipo, da divise di tutti i
corpi militari e civili, dal circo mediatico italiano e straniero, da chi
vorrebbe fare qualcosa ma non sa cosa. Arriva il freddo della notte, continuano
le scosse. Si cerca di dare conforto a chi inizierà la giornata successiva
dando a un carabiniere il telefonino con la foto di un bambino da accostare ad
un volto da identificare. Era già successo è successo di nuovo. Nelle prime ore
del mattino del 24 agosto ho incontrato quasi solo aquilani. Si muovono da
esperti, freddi davanti allo scempio, forti di un “bagaglio tecnico” di dolore
e memoria che sanno di dover presto condividere con chi dovrà sopportare il
presente, ma soprattutto il futuro.
Diego Bianchi – Il Sogno di Zoro – Il Venerdì di Repubblica
-2 settembre 2016 -
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