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martedì 3 maggio 2016

Lo Sapevate Che: Psicopatologia dell'indifferenza quotidiana...



A proposito del delitto dei due giovani che, senza ragione, a Roma, hanno ucciso un loro coetaneo, mi sono chiesto: come è possibile che Dio non abbia posto limiti alla possibilità di compiere il male? Si può trucidare un bambino, sterminare una famiglia, strangolare giovani donne, sterminare un popolo, si può fare ciò che è stato fatto a Roma, e non succede nulla. Possibile, Signore, che quegli assassini col vuoto dentro, quegli assassini che hanno torturato per il gusto di torturare, ucciso per il gusto di uccidere, possibile siano usciti dalle tue mani? Al profeta Geremia dicesti: “Prima che ti formassi nel seno di tua madre, io ti ho conosciuto, e prima che tu uscissi dal grembo materno ti ho santificato”. Eri distratto quando i due assassini erano ancora nel grembo materno?   Renato Pierri  renatopierri@tiscali.it

Tante volte, se lasciassimo fuori Dio dalle vicende umane, riusciremmo a capire qualcosa di più. Lei si chiede: “Perché c’è il male?”. Perché appartiene alla natura umana, al punto che potremmo dire che se non ci fosse, non capiremmo neppure che cos’è il bene. E allora atteniamoci alla natura umana senza coinvolgere Dio, della cui esistenza tra l’altro non tutti sono persuasi. Gli animali uccidono perché hanno fame, quindi per un bisogno biologico, gli uomini invece, come ci ricorda Hegel, uccidono per ottenere un riconoscimento della loro forza e del loro potere, quindi non per un bisogno biologico, ma per un bisogno culturale. E allora, più che a Dio, è alla nostra cultura che dobbiamo rivolgere la nostra attenzione. I fatti di Roma, dove si uccide un ragazzo “per vedere l’effetto che fa”, quindi senza ragione e senza perché, già segnala la prima deviazione del percorso compiuto dall’umanità che per difendersi dall’angoscia dell’imprevedibile, è andata alla ricerca del principio di causalità per trovare la causa, la ragione, il motivo di ogni gesto, di ogni fatto e di ogni evento. (..). Kent diceva che potremmo anche non definire  la differenza tra bene e il male perché ciascuno la “sente” (e usa il verbo sentire – Fuhlen) naturalmente da sé. Oggi non è più così. I fatti di Roma non sono un caso eccezionale o isolato, ma la punta di un iceberg che segnala una diffusa sensibilità poco reattiva alla risonanza emotiva che i nostri gesti e i nostri atti dovrebbero produrre in noi.(..). Che poi ci si meravigli che delitti del genere possano essere compiuti anche da giovani di “buona famiglia”, dipende dal fatto che l’attenzione sociologica e mediatica è stata posta solo sulle generazioni del pugno chiuso, sugli squatter di non lontana memoria, sui ragazzi dello stadio, e mai sulla generazione degli indifferenti a basso quoziente emotivo, indecifrabili come una “X” ignota, caratterizzati da un’indifferenza egocentrica abbinata al concetto di destino (“sono fatto così”). (..). E l’affettività genitoriale è delegata a un esercito di baby-sitter, per poi fare la sua comparsa nell’adolescenza sotto forma di una sovrabbondanza di regali che stanno al posto di una comunicazione mancata. Quando il desiderio è azzerato perché non ha mai avuto l’occasione di desiderare, essendo stato saturato prima ancora che cominciasse a sognare, subentra quella noia mortale che induce a vivere come virtuosi dell’irresponsabilità, senza alcun riguardo per la propria storia personale, senza temere le eventuali conseguenze del proprio agire e senza sfuggire al vuoto di significati da fine della storia che si esprime in quell’ottimismo egocentrico dove il motto è, come scrive il sociologo tedesco Falko Blask: “Meglio esagitati ma attivi che sprofondati in un mare di tristezza meditativa, perché se la vita è solo uno stupido scherzo,dovremmo almeno poterci ridere sopra”.
umbertogalimberti@repubblica.it – Donna di Repubblica  - 9 aprile -2016-

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