A proposito del delitto
dei due giovani che, senza ragione, a Roma, hanno ucciso un loro coetaneo, mi
sono chiesto: come è possibile che Dio non abbia posto limiti alla possibilità
di compiere il male? Si può trucidare un bambino, sterminare una famiglia,
strangolare giovani donne, sterminare un popolo, si può fare ciò che è stato
fatto a Roma, e non succede nulla. Possibile, Signore, che quegli assassini col
vuoto dentro, quegli assassini che hanno torturato per il gusto di torturare,
ucciso per il gusto di uccidere, possibile siano usciti dalle tue mani? Al
profeta Geremia dicesti: “Prima che ti formassi nel seno di tua madre, io ti ho
conosciuto, e prima che tu uscissi dal grembo materno ti ho santificato”. Eri
distratto quando i due assassini erano ancora nel grembo materno? Renato Pierri renatopierri@tiscali.it
Tante volte, se lasciassimo fuori Dio
dalle vicende umane, riusciremmo a capire qualcosa di più. Lei si chiede:
“Perché c’è il male?”. Perché appartiene alla natura umana, al punto che
potremmo dire che se non ci fosse, non capiremmo neppure che cos’è il bene. E
allora atteniamoci alla natura umana senza coinvolgere Dio, della cui esistenza
tra l’altro non tutti sono persuasi. Gli animali uccidono perché hanno fame,
quindi per un bisogno biologico, gli uomini invece, come ci ricorda Hegel,
uccidono per ottenere un riconoscimento della loro forza e del loro potere,
quindi non per un bisogno biologico, ma per un bisogno culturale. E allora, più
che a Dio, è alla nostra cultura che dobbiamo rivolgere la nostra attenzione. I
fatti di Roma, dove si uccide un ragazzo “per vedere l’effetto che fa”, quindi
senza ragione e senza perché, già segnala la prima deviazione del percorso
compiuto dall’umanità che per difendersi dall’angoscia dell’imprevedibile, è
andata alla ricerca del principio di causalità per trovare la causa, la
ragione, il motivo di ogni gesto, di ogni fatto e di ogni evento. (..). Kent
diceva che potremmo anche non definire
la differenza tra bene e il male perché ciascuno la “sente” (e usa il
verbo sentire – Fuhlen) naturalmente
da sé. Oggi non è più così. I fatti di Roma non sono un caso eccezionale o
isolato, ma la punta di un iceberg che segnala una diffusa sensibilità poco
reattiva alla risonanza emotiva che i nostri gesti e i nostri atti dovrebbero
produrre in noi.(..). Che poi ci si meravigli che delitti del genere possano
essere compiuti anche da giovani di “buona famiglia”, dipende dal fatto che
l’attenzione sociologica e mediatica è stata posta solo sulle generazioni del
pugno chiuso, sugli squatter di non lontana memoria, sui ragazzi dello stadio,
e mai sulla generazione degli indifferenti a basso quoziente emotivo,
indecifrabili come una “X” ignota, caratterizzati da un’indifferenza
egocentrica abbinata al concetto di destino (“sono fatto così”). (..). E
l’affettività genitoriale è delegata a un esercito di baby-sitter, per poi fare
la sua comparsa nell’adolescenza sotto forma di una sovrabbondanza di regali
che stanno al posto di una comunicazione mancata. Quando il desiderio è
azzerato perché non ha mai avuto l’occasione di desiderare, essendo stato
saturato prima ancora che cominciasse a sognare, subentra quella noia mortale
che induce a vivere come virtuosi dell’irresponsabilità, senza alcun riguardo
per la propria storia personale, senza temere le eventuali conseguenze del
proprio agire e senza sfuggire al vuoto di significati da fine della storia che
si esprime in quell’ottimismo egocentrico dove il motto è, come scrive il
sociologo tedesco Falko Blask: “Meglio esagitati ma attivi che sprofondati in
un mare di tristezza meditativa, perché se la vita è solo uno stupido
scherzo,dovremmo almeno poterci ridere sopra”.
umbertogalimberti@repubblica.it
– Donna di Repubblica - 9 aprile -2016-
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