Diceva Un Saggio: “nomine civiles non nascuntur, sed
fiunt”, la civitas è un grande
artificio, un’opera, forse la più
complessa delle opere, prodotta dal convergere e configgere di intelligenze,
volontà, interessi e visioni del mondo. Se in uno Stato son commessi più
crimini che in un altro, significa che l’”artificio” non funziona, non che la
natura l’ha dotato di uomini “naturalmente” meno civili; significa che la sua
classe dirigente combina occasionali pasticci, invece di considerarlo come un sistema e di operare conseguentemente.
Non si eliminano i ladri, almeno in politicis, se si ignorano le cause che li
producono, così come non si eliminavano i tiranni, e così come mai si riformerà
seriamente la nostra democrazia ignorando le ragioni storiche irreversibili
della crisi del “parlamentarismo”. Ma questi ultimi sono ragionamenti troppo
complessi, per essere qui affrontati. Vediamo Quello più semplice della “questione
morale”. Che “morale” non è – già quando con Berlinguer si sollevò, lo scorso
millennio, essa appariva indissolubilmente congiunta al tema delle “riforme di
struttura”. Espressione vaghissima, ma che indicava il problema. Oggi invece
tutto si riduce allo scandalo, alla denuncia, alla caccia al ladro, alla
speculazione su ogni atto giudiziario, su ogni intercettazione. Un colossale
calderone in cui si perde ogni misura e tutto vi si confonde: il comportamento
più grave e penalmente rilevabile col puro gossip, l’avviso di garanzia (che
dovrebbe valere a tutela degli interessi dell’indagato) con l’arresto, il puro
sospetto col furto conclamato. Ed è fisiologico che così avvenga: ignorando le
cause che conducono al crimine, non rimane che il suo “fenomeno”; non sapendo
guarire i vizi dello Stato, non rimane che la caccia ai viziosi.(..). La Conseguenza
è che nella conclamata impotenza da parte del Politico di formare classi
dirigenti adeguate, capaci di metter mano sistematicamente ai guasti
dell’amministrazione e delle istituzioni, la stessa selezione della classe
politica e le sue fortune sono destinate a dipendere sempre più dalle
iniziative della magistratura. Ciò è del tutto logico; nessuna intenzione e
nessun “complotto” da parte di questa funzione dello Stato, la cui autonomia è
essenziale elemento della vita democratica. La magistratura indaga e colpisce
il reato, non fa le leggi e tantomeno le grandi riforme che si impongono in
momenti di crisi. Neppure può decidere da sé del proprio ordinamento. Se la
giustizia non funziona o funziona lentamente e male è vizio dello Sato ben prima che, eventualmente, dei suoi
custodi.(..). Se si Moltiplicano le denunce per abusi di potere,
turbative d’asta e via cantando, forse spesso la causa di tali reati non andrà
cercata nell’auri sacra fames di
qualche malcapitato sindaco, ma piuttosto nella illeggibilità delle leggi nelle
materie più delicate per un’amministrazione locale, nelle indescrivibili corse
a ostacoli che esse scrupolosamente prevedono per ogni iniziativa,
moltiplicando tempi e oneri (proprio con la pretesa di volerli ridurre).
Qualcuno sperava che un rottamatore venuto da tali esperienze (ma forse vissute
con ben più alte mire) rottamasse le cause di tali disfunzioni, così da rendere
i malfattori e i mascalzoni che sempre ci sono stati e ci saranno innocui o
quasi. E disperare è impossibile, diceva un altro saggio. Continuiamo dunque a
sperare. E nel frattempo avanti con Tangentopoli.
Massimo Cacciari – Parole nel vuoto www.lespresso.it – L’Espresso – 26 maggio
2016
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