La rubrica sulla Juventus, nella quale
da milanista riconoscevo (con dolore) la superiorità dell’organizzazione
bianconera e l’intelligenza di risollevarsi dallo scandalo Moggi, ha ricevuto
modestamente quasi soltanto commenti negativi, riassumibili in due critiche
sostanziali. Gli juventini hanno negato con forza che la Juventus avesse mai
nella storia rubato uno scudetto, ma neppure una coppetta o una sola partita.
Luciano Moggi era una specie di San Francesco del pallone, finito vittima di un
complotto ordito ai danni della società degli Agnelli dai “poteri forti”
(immagino il Chievo, il Crotone, l’Entella).
Gli anti juventini militanti, al contrario, mi hanno spiegato che la
Juventus ha rubato gli ultimi cinque scudetti, come tutti gli altri del resto,
grazie ai favori arbitrali. Senza questi la Juve, squadra di pippe, da Buffon a
Dybala a Pogba, e in passato Pirlo e Tevez, sarebbe sicuramente finita dietro a
Roma e Inter già stellari e in impreziosite dagli ultimi acquisti di
fuoriclasse del calibro di Dzeko e Kondoghia. Ora, laccenda sarebbe di per sé
divertente se questa mentalità tifosa fosse applicata soltanto al calcio e non alla vita pubblica.
E invece è allo stesso modo fanciullesco che milioni d’italiani reagiscono di
fronte alla corruzione. I corrotti sono sempre gli altri, i nostri sono santi
perseguitati. Per anni i seguaci del Cavaliere hanno spiegato a noi cronisti
che il loro leader era un uomo senza macchia, un imprenditore calvinista,
purtroppo crocefisso da magistrati rossi e da noi giornalisti di m. Ora che il
Pd è al centro di tanti scandali e perfino Renzi ammette una questione morale
nel partito, i supporter più realisti del re imprecano contro le invenzioni di
noi gufi. Gli stessi grillini cominciano a vedere “gomblotti” dappertutto, come
già i seguaci di Di Pietro che avevano votato la rivoluzione morale incarnata
da Razzi e Scilipoti. Non c’è verso di parlarci fra noi italiani, oltre le
appartenenze, e di stabilire che questo sistema politico produce corruzione
generalizzata e va combattuto con regole accettate da tutti. Gli italiani non
sono antropologicamente corrotti, ha ragione Raffaele Cantone, ma purtroppo
sono antropologicamente familisti e dunque negano che in famiglia (gruppo,
clan, fazione, partito) vi siano mele marce. Così ci freghiamo con le nostre
stesse mani, rubandoci fra di noi e da fessi la semplice verità. Poi arrivano i
furbi e rubano tutto il resto.
Curzio Maltese – Contromano – Il Venerdì di Repubblica – 20
maggio 2016
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