Il primo amore, diceva la vecchia
canzone, non si scorda mai. Non si scorda mai neanche il primo articolo, il
primo nella vita di chi fa questo mestiere. E il mio risale, come potete immaginare,
a qualche tempo fa: all’estate del 1945, quando avevo vent’anni, andavo
all’università, ed ero stato assunto dalla Gazzetta
del Popolo, glorioso quotidiano di Torino, non per scrivere articoli, ero
un novizio, ma per “passare” (è il termine tecnico) le notizie di provincia, la
casalinga derubata, il ciclista investito. Mi era capitato tuttavia fra le mani
un libretto, un Penguin, Mission to Moscow, scritto dall’ambasciatore
americano nell’ambasciatore americano nella capitale sovietica. Il libro mi parve interessante, proposi a
Massimo Caputo, il direttore della Gazzetta, di recensirlo: Caputo mi disse di
provarci, e dopo aver letto la mia recensione mi diede la notizia splendida: Lo
avrebbe pubblicato. Momento magi: non l’ho scordato mai. La storia del
giornalismo è costellata di begli articoli (adesso non parlo più dei miei). A
cominciare da quello con cui Torelli Viollier, napoletano risalito a Milano,
presentava al lettore la sua nuova creatura, il Corriere della Sera, destinato
a conquistare e mantenere il primato in Italia fino a quanto Eugenio Scalfari
non è venuto a contestarglielo, cento anni più tardi. Tanti stili diversi,
tante variazioni, fino a Dino Buzzati, grande scrittore, emozionato e
angosciato quando il Corriere lo aveva mandato a Albenga, per descrivere il
funerale dei bambini di una coppia balneare, annegati non so più perché. Indro
Montanelli, altro personaggio della nostra generazione, il più bravo e il più
famoso, teneva moltissimo ai suoi ai suoi articoli, erano l’unica gloria a cui
teneva (ed era anche il più bravo di tutti noi). Ricordo un episodio: avevamo
avuto qualche scontro, ma quando ebbi occasione di dire, in televisione, che
lui era il più bravo di tutti, e che i suoi erano gli articoli più belli, tutte
cose di cui ero convinto, subito mi telefonò, gli scontri furono dimenticati
d’incanto, andammo insieme a colazione. I giornalisti contemporanei scrivono
articoli bellissimi anche loro, si capisce. Il guaio è che si pubblicano male,
si spezzettano, qualche riga in prima pagina, il seguito in un’altra, e quei
magnifici prodotti che del giornalismo sono la gloria a volte diventano carne
da macello, si devono cercare i brandelli nelle pagine interne, si confondono
gli uni con gli altri, spesso si rinuncia a leggere il seguito, e mi chiedo se
anche questa sia una delle cause della nostra crisi.
Piero Ottone – Vizi & Virtù – Il Venerdì di Repubblica –
15 aprile – 2016 -
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