In Principio Furono I
Nani e le ballerine.
Ma almeno si limitavano a riempire salotti e kermesse di di partito, non Camera
e Senato. Poi sbarcò in Parlamento l’allegra Compagnia del Cavaliere, con
annessi di cappio e mortadella e digressioni notturne genere bunga-bunga. Dopo
ancora toccò agli impresentabili (copyright Rosy Bindi) – indagati imputati
condannati – e molti ce l’hanno pure fatta in barba a codici etici, dignità e
buon gusto. E ora, come titola “l’Espresso”, siamo al Gran Circo degli
improvvisati, dei faccendieri, dei senza arte né parte che affollano le liste
delle prossime amministrative. Fenomeno nel quale, ancora una volta, spicca la
Capitale. Al di là degli schieramenti, è come se partiti e movimenti avessero
rinunciato a selezionare classe dirigente, cioè i loro testimoni, o non ne
abbiano più le capacità, o non ci siano donne
e uomini all’altezza disposti a rischiare e a tentare l’avventura.
Perché? Proviamo a rispondere, anche con l’aiuto di Emanuele Macaluso, un
politico di lunghissimo corso che ne ha ciste di tutti i colori. Il Vecchio Leader, )2 anni ancora brillanti e combattivi, ieri migliorista del Pci e oggi
senza tessera i ìn tasca, non lascia passare giorno senza annotare, scrivere e
quindi riflettere su ciò che vede intorno a sé, fedele anche in questo
all’insegnamento togliattiano, Non avendo più un giornale che ospiti i suoi
corsivi “posta” le sue riflessioni su una pagina facebook. (..). Travolti Da Tangentopoli e poi dalla Grande-Crisi, i partiti si sono alleggeriti, se
non sciolti come neve al sole delle inchieste giudiziarie e dell’incapacità di
trovare nuovi linguaggi. Il risultato scrive Mancaluso, è un sistema
spappolato, devitalizzato, sul quale l’antipolitica si è avventata con successo
dispiegando demagogia a piene mani. Con l’aggravante che, trovando campo
libero, mafie e criminalità si sono infilate pure negli ingranaggi della
macchina pubblica. I partiti, troppo deboli e balbettanti per arginare
l’ondata, hanno rinunciato a scegliere con cura i propri rappresentanti,
limitandosi a dialogare con un fedele e ristretto cerchio magico, e troppo
spesso delegando di fatto parte del potere di nomina a potentati, lobby,
interessi locali – ai “santuari”, come li chiama Macaluso – lasciando che a
vincere sia il populismo o l’affarismo modello Tempa Rossa. (..). Nostalgia?
Rimpianto per un mondo che non c’è più? Forse. E se ne comprendono bene i
perché. Ma illustri studiosi ci dicono addirittura che non ci sia più niente da
fare, che indietro non si torna, e che la forma partito assomiglierà sempre
più, ed esclusivamente, a macchina del consenso, a un comitato elettorale al
servizio del leader. Resta però un problema che va al di là della scelta tra
partecipazione diffusa e filosofia dell’uomo solo al comando: la lettura e la
comprensione di fenomeni complessi, e soprattutto di ciò che in proposito
l’elettorato sente e chiede. Bisogna essere in trincea, sì, ma anche
interrogarsi con mente libera sui populismi e su ciò che li genera, cioè disagio
economico, abissali divari sociali e paure sull’immigrazione. Che si chiamino
partiti o no, nessuno sembra oggi in grado di capire fino in fondo. E di
trovare risposte.
Bruno Manfellotto – Questa Settimana – www.lespresso.it - @bmanfellotto – 19 maggio
2016
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