Sta Assumendo Toni
Surreali la
discussione sulla libertà di pensiero politico dei magistrati italiani. O, per
essere più precisi sulla libertà (leggi opportunità) di aderire ai comitati
contrari alla riforma costituzionale fortissimamente voluta da Matteo Renzi.
Pietra dello scandalo l’incauta conversazione
con “il Foglio” – poi trasformata in intervista (smentita) – del membro
del Csm, il togato Piergiorgio Morosini. Il confine del surreale è stato
superato dallo stesso Morosini. Infatti se il giudice, espressione di una
corrente di sinistra della magistratura, si fosse limitato a critiche
tecnico-giuridiche, la sua opinione sarebbe stata assorbita alla stregua di
tante altre. Invece, mal fidandosi, ha straparlato dando fuoco alle polveri del
mai sopito conflitto tra politica e giustizia. Cn tutta l’ipocrisia nostrana si
è fatto finta di scoprire ciò che è evidente da almeno un quarto di secolo: il
peso nella vita politica italiana dei magistrati, sia presi singolarmente sia
con le loro strutture organizzative. Da Tangentopoli in poi Parlamento, Regioni
e Comuni hanno reclutato magistrati in posizioni di comando nella speranza,
spesso infausta, di sanare i partiti e le istituzioni democratiche dalla
corruzione e dal discredito reputazionale. (..). Mentre una toga in pensione ricopre la seconda
carica dello Stato: Pietro Grasso, il presidente che ha traghettato l’attuale
Senato verso la sua estinzione. E Renzi avrebbe voluto come ministro della
Giustizia il procuratore Nicola Gratteri; nomina sconsigliata da Napolitano. Insomma Di Che Cosa
stiamo
parlando? E’ stato più volte ricordato
in questo giorni quando i magistrati italiani si schierarono nel referendum del
2006 contro la Costituzione “firmata” da Berlusconi. Leader e partiti del
centrosinistra applaudirono. Nell’ultimo sgangherato ventennio, infatti, la
questione giustizia – che esiste, eccome – è stata vissuta totalmente in chiave
di contrapposizione: di qua i berluscones garantisti pelosi, di là i nemici del
Cav. manettari di complemento. In mezzo un sistema giudiziario lento,
farraginoso, inefficace. (..). In questo schema di gioco i partiti della
sinistra, deboli nell’ideazione politica fino alla “non vittoria” nelle
elezioni 2013, hanno sempre accordato credito alla magistratura oltre ogni
ragionevole dubbio. L’ascesa di Renzi a Palazzo Chigi ha scompaginato tutto. I
primi due anni di governo sono trascorsi indenni grazie al fine lavoro di
tessitura svolto dal ministro Orlando e dal vicepresidente del Csm Legnini.
Dall’inchiesta di Potenza però il clima si è arroventato. E poi l’arresto del
presidente del Pd in Campania e a Lodi del sindaco hanno fatto il resto.(..).
Se, Di Fronte All’Evidenza, Renzi è disposto ad ammettere l’esistenza di una
“questione morale” all’interno del suo partito, non intende però rinunciare al
ruolo di riformatore che si è attribuito. (..). Ammettendo dunque la questione
morale Renzi è stato coraggioso e malizioso al tempo stesso; prova a
depotenziare così l’argomento polemico preferito dai nemici. E si concentra sul
referendum di ottobre. Fino a provare a silenziare quei magistrati critici
della riforma. (..). Saranno mesi di
scontri duri, ancor più se le elezioni amministrative dovessero punire i
candidati del Pd. Tuttavia con il referendum Renzi non farla rivoluzione
d’ottobre. Ma neppure la marcia su Roma.
Luigi Vicinanza – Editoriale
www.lespresso.it – L’Espresso – 19 maggio
2016 -
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