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venerdì 27 maggio 2016

Lo Sapevate Che: Prendi un cucciolo e ad addestrarti bene ci pensa lui...



Avvolto in una nuvola bionda come un piumino per la polvere punteggiata da due occhietti maliziosi, entra nella mia vita un altro cane. Un cucciolo di Golden Retriever chiamato Sammie, con la “ie” finale, guai a dire “Sammy”, i suoi fratelli e sorelle senza coda mi fulminerebbero.  Ci entra dalla porta laterale, perché Sammie non è mio, ma dei miei nipoti e quindi posso guardarlo crescere con l’occhio più distaccato del “nonno del cane”. Grazie a questa situazione di privilegio che mi permette di ammirare il agnolotto senza le scocciature che un cane in casa comporta, assisto finalmente con più obiettività all’evento che si ripete da circa centomila anni, giorno più giorno meno, da quando scattò la relazione fra uomini e cani: l’addestramento. Come padrone, o compagno, o assistente o capobranco o come sia politicamente corretto oggi definire chi ha un cane, ho accolto, cresciuto, tenuto e purtroppo messo a dormire due stupendi pastori tedeschi, fisicamente cloni l’uno dell’altro, ma ai poli opposti del comportamento. Timido e tendente all’autocolpevolizzazione il primo, Vox, che se avesse saputo leggere si sarebbe sentito responsabile anche di eruzioni vulcaniche nelle Filippine e attentati terroristici in Afganistan. Prepotente, possessivo, territoriale il secondo, Max, che considerava l’esistenza di ogni altro cane sul pianeta come un’offesa personale. (..) Giorno dopo giorno, con la inflessibile capacità di osservazione di tutti i discendenti dei lupi, impararono che i loro comportamenti producevano in noi umani alcune risposte e generavano quello che loro volevano da noi, rovesciando il famoso teorema di Pavlov sui riflessi automatici dei cani. Vox e Max sapevano esattamente che cosa fare per costringermi a portarli fuori in ogni periodo e con ogni tempo, avendo capito che farla in casa produceva in me, e nella femmina alfa del branco, la gentile signora, reazioni scomposte e furiose. Vuoi che non la faccia sul tappeto caucasico, sul parquet, sulle piastrelle di cucina? Portami a spasso, cocco bello. Vuoi che mi tolga di mezzo quando passi con l’aspirapolvere? Lanciami una crocchetta, un biscottino, un giocattolo perché mi tolga dai piedi. Vuoi che la smetta di tormentarti mentre guardi ventidue bipedi in mutante rincorrere, come facciamo noi cani, una palla? Carezzami e passa l’osso. Vuoi che rimanga calmo quando incrociamo un altro umano con un cane al guinzaglio? Rimani calmo tu per primo. E ti insegnerò, sera dopo sera, dove io, il cane, voglio andare, non dove tu, uomo, vuoi portarmi. (..). I cani sono abilissimi, più dei nostri parenti geneticamente più vicini, i primati, a capire per esempio dove conserviamo il cibo, semplicemente seguendo lo sguardo della persona che in casa tende a preparare più spesso i pasti. Registrano i nostri movimenti leggendoci come libri aperti, dai segnali inconsci che inviamo. Sanno, senza saperlo, che il successo della nostra specie è dipeso, nel crogiolo dell’evoluzione in un mondo ostile e vorace, da loro quanto la sopravvivenza della loro specie è dipesa da noi. Psicologi e zooantropologi hanno calcolato che nel corso dei millenni le parti del nostro cervello dedicate ad olfatto e udito si sono ridotte, come se, grazie al naso e alle orecchie dei cani, ne avessimo fatto sempre meno uso, affidandoci a loro. Mentre sono cresciute quelle addette al pensiero razionale, lasciando a noi umani la scocciatura del ragionamento. E sarà anche vero, ma quando Sammie (“ie” finale, per favore) mi osserva con la sua testa inclinata e quei suoi occhietti ironici, ho il sospetto che se lui potesse scrivere, scriverebbe meglio di me.
Vittorio Zucconi – Donna di Repubblica – 14 maggio 2016 -

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