E’ la mia migliore amica in Cina. Per
cinque anni abbiamo lavorato insieme, nello stesso ufficio. Mi ha aiutato con
professionalità e dedizione nel mio mestiere di corrispondente. Ne è nato un
rapporto di stima reciproca, e ha cominciato a presentarmi suo marito, i suoi
genitori. Quando ho lasciato Pechino per trasferirmi a New York, sette anni fa,
lei è rimasta il mio più solido legame con quel paese. Il suo aiuto mi è
indispensabile per seguire le carriere scolastiche dei miei tre figli adottivi.
Riesco a rivederla di persona solo una volta all’anno, di solito approfittando
di un viaggio ufficiale di Obama in Cina. Adesso che ci separano quindici ore
di volo, e dodici di fuso orario, un velo di diffidenza turba il nostro
rapporto. Non è sfiducia tra noi due, ma un sospetto sulla censura cinese. Lo
vedo chiaramente, se per caso una sua email indirizzata a me o a mia moglie,
non riceve da parte nostra una risposta immediata. (..)..la mia amica sollecita
una reazione, teme che la sua email precedente sia stata, per qualche ragione
misteriosa, “intercettata” e bloccata dai filtri del governo. Ci affrettiamo a
chiarire di no, che è tutto a posto, siamo solo un po’ affannati per ragioni
nostre, ci scusiamo della lentezza. Con il passare del tempo le nostre
corrispondenze diventano più prudenti, blande, generiche. Stiamo attenti a non
includere argomenti che potrebbero essere tabù. Della situazione politica o
economica cinese ormai evitiamo di parlare.
Lo stesso accade quando usiamo la popolare app cinese per la messaggeria
dello smartphone (,,). Anche lì le conversazioni diventano molto banali, per
non farle correre rischi. La mia amica non è una dissidente. Ama il suo paese,
è fiera di essere cinese. (..). A quarant’anni, lei è un campione
rappresentativo di una generazione di cinesi istruiti, relativamente benestanti
, aperti al resto del mondo. Quando lavoravamo insieme, riuscivamo ad avere
discussioni appassionate sulle differenze tra “noi” e “voi”, su ciò che separa
Occidente da Oriente (Estremo). (..). Era quando le dicevo che, con l’arrivo
del capitalismo, i cinesi hanno finalmente potuto scegliere. Al supermercato
non c’è più un solo prodotto di una sola marca. Se un prodotto li delude, la
volta successiva non lo comprano più. Perché non estendere questa scelta anche
ai leader di governo? Le piaceva l’idea. (..). Da quando al potere c’è Xi
Jinping le strade divergono. Questo presidente è ancora più autoritario dei due
predecessori, sta concentrando su di sé un potere enorme. Usa la campagna
anticorruzione per eliminare avversari interni al partito comunista. La censura
è diventata molto più severa, la maggior parte dei siti d’informazione straneri
sono inaccessibili. Chi vuole veramente aggirare la censura può usare strumenti
come i Vpn (i virtual private network),
ma di fatto solo una minuscola minoranza è in grado di farlo, la quasi totalità
dei cinesi assorbe un’informazione di regime intrisa di propaganda
nazionalista. Il governo è sempre più duro verso i dissidenti, gli abusi contro
i diritti umani si moltiplicano, la sorte di minoranze etniche come i tibetani
è peggiorata ancora. (..).Tra me e la mia amica il prezzo della svolta
autoritaria è quest’inquietudine che avvolge i nostri discorsi. Per salvarci dalla
noia, io la butto in politica. Quella americana, s’intende. Le racconto di
Trump e ci ridiamo sopra, a distanza. La trovo informatissima. Ogni sera i tg
cinesi sono generosi d’informazioni su “The Donald”. I nostri difetti, li
conosciamo alla perfezione.
Federico Rampini -
Donna di Repubblica – 14 maggio 2016
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