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lunedì 30 maggio 2016

Lo Sapevate Che: Pesca, plastiche, riscaldamento, e ora nessuno vede più i delfini....



Il delfino comune (delphinus delphis), un tempo molto diffuso nel Mediterraneo, si sta estinguendo. E’ senza appello il verdetto dei ricercatori provenienti da 14 Paesi che il mese scorso si sono riuniti a Ischia per un convegno dedicato proprio a questo cetaceo. Parente della ben più diffusa stenella, per i pescatori campani il delfino comune era una guida sulle tracce della costardella (un pesce simile all’aguglia), sua preda privilegiata. Ma oggi non si fa più vedere. “Già nel 2003 l’Unione internazionale per la conservazione della natura aveva classificato il delfino comune come specie minacciata” ricorda Daniela Silvia Pace, biologa catanese specializzata nello studio dei mammiferi marini che presiede l’associazione OceanomareDelphis Onlus. “La comunità scientifica aveva infatti rilevato un declino della popolazione del 50 per cento nelle ultime tre generazioni. Da allora, nulla è stato fatto per invertire la tendenza e ormai si stima che il calo abbia raggiunto il 70 per cento”. Proprio da Ischia, dove gli avvistamenti erano piuttosto frequenti fino a una decina di anni fa, giungono segnali allarmanti. “Non vediamo più delfini comuni dal 2013” dice Pace, che con la sua associazione effettua ogni anno campagne di monitoraggio sui cetacei nel canyon di Cuma, una depressione marina che si estende da Ischia fino a Ventotene dove vive una popolazione di delfini, ma anche altri cetacei minacciati come capodogli, balenottere, tursiopi, globicefali e stenelle. “E anche nell’Adriatico il delfino comune è sostanzialmente scomparso”. Resoconti analoghi sono stati fatti a Ischia dai ricercatori , greci, israeliani, tunisini, egiziani, algerini, libici, spagnoli. Ovunque gli incontri con i delfini – nuotatori portentosi e campioni di immersioni subacquee, capaci di scendere fino a 300 metri di profondità e di restare sott’acqua per più di otto minuti – sono diventati una rarità. Le cause? Inquinamento da plastiche e policlorobifenili (Pcb), riduzione di pesce azzurro, totani e calamari, provocata dalla pesca industriale;  catture accidentali nelle spadare, vietate dal 2002, ma in realtà ancora utilizzate; collisioni con le imbarcazioni e innalzamento della temperatura del mare. Perciò i ricercatori al convegno hanno preso un impegno: il Patto di Ischia. Un coordinamento internazionale dovrà sensibilizzare tutti  sui rischi della pesca intensiva e dell’inquinamento e monitorare i delfini comuni del canyon di Cuma, facendo leva, per difenderli, anche sugli interessi commerciali e turistici.
Fabrizio Geremicca – Scienze – Animali – Il Venerdì di Repubblica -  13 maggio 2016

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