Il delfino comune (delphinus delphis), un tempo molto
diffuso nel Mediterraneo, si sta estinguendo. E’ senza appello il verdetto dei
ricercatori provenienti da 14 Paesi che il mese scorso si sono riuniti a Ischia
per un convegno dedicato proprio a questo cetaceo. Parente della ben più
diffusa stenella, per i pescatori campani il delfino comune era una guida sulle
tracce della costardella (un pesce simile all’aguglia), sua preda privilegiata.
Ma oggi non si fa più vedere. “Già nel 2003 l’Unione internazionale per la
conservazione della natura aveva classificato il delfino comune come specie
minacciata” ricorda Daniela Silvia Pace, biologa catanese specializzata nello
studio dei mammiferi marini che presiede l’associazione OceanomareDelphis
Onlus. “La comunità scientifica aveva infatti rilevato un declino della
popolazione del 50 per cento nelle ultime tre generazioni. Da allora, nulla è
stato fatto per invertire la tendenza e ormai si stima che il calo abbia
raggiunto il 70 per cento”. Proprio da Ischia, dove gli avvistamenti erano
piuttosto frequenti fino a una decina di anni fa, giungono segnali allarmanti.
“Non vediamo più delfini comuni dal 2013” dice Pace, che con la sua
associazione effettua ogni anno campagne di monitoraggio sui cetacei nel canyon
di Cuma, una depressione marina che si estende da Ischia fino a Ventotene dove
vive una popolazione di delfini, ma anche altri cetacei minacciati come
capodogli, balenottere, tursiopi, globicefali e stenelle. “E anche
nell’Adriatico il delfino comune è sostanzialmente scomparso”. Resoconti
analoghi sono stati fatti a Ischia dai ricercatori , greci, israeliani,
tunisini, egiziani, algerini, libici, spagnoli. Ovunque gli incontri con i
delfini – nuotatori portentosi e campioni di immersioni subacquee, capaci di
scendere fino a 300 metri di profondità e di restare sott’acqua per più di otto
minuti – sono diventati una rarità. Le cause? Inquinamento da plastiche e
policlorobifenili (Pcb), riduzione di pesce azzurro, totani e calamari,
provocata dalla pesca industriale;
catture accidentali nelle spadare, vietate dal 2002, ma in realtà ancora
utilizzate; collisioni con le imbarcazioni e innalzamento della temperatura del
mare. Perciò i ricercatori al convegno hanno preso un impegno: il Patto di
Ischia. Un coordinamento internazionale dovrà sensibilizzare tutti sui rischi della pesca intensiva e
dell’inquinamento e monitorare i delfini comuni del canyon di Cuma, facendo
leva, per difenderli, anche sugli interessi commerciali e turistici.
Fabrizio Geremicca – Scienze – Animali – Il Venerdì di
Repubblica - 13 maggio 2016
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