Non Sono Poche, né di poco conto, le riforme timbrate
da questa maggioranza di governo. I
critici puntano il dito sulla loro qualità degli interventi: viaggiano
dal lavoro al fisco, dalla Costituzione alla legge elettorale, dai diritti
civili alla pubblica amministrazione. Eppure rimane una lacuna – anzi una
triplice lacuna – che investe il ruolo dei gruppi associativi più importanti
nella vita economica e politica. Questo vuoto resiste ormai da settant’anni, da
quando la Carta repubblicana ha emesso i suoi vagiti. Sarà il caso di metterci
rimedio. Primo: La legge sui partiti. Sarebbe “consona a tutto lo spirito
della Costituzione”, disse Mortati in Assemblea costituente. Dove peraltro
risuonò a lungo la domanda di Calamandrei, come può respirare una democrazia.
se i suoi principali attori non sono a loro volta democratici? Dopo di che
l’articolo 49 non ne menziona espressamente l’esigenza. Però la manifesta in
controluce, e infatti il primo progetto di legge sui partiti venne presentato
da don Sturzo nella 1° legislatura. Niente da fare, allora come adesso. Le
nuove norme inoculate nel corpaccione dei partiti riguardano il finanziamento
pubblico, a partire dalla legge Piccoli del 1974. (..). Nel frattempo vige
un’anarchia che da un lato disorienta gli elettori (sulle primarie, per esempio,
ciascun partito fa un po’ come gli pare), dall’altro lato favorisce il
malaffare (a Napoli primarie al veleno
nel 2016, annullate per brogli nel 2011). Da qui un’accelerazione ai lavori
della Camera:il resto dovrebbe andare in aula entro fine mese. Già, ma quale
testo?(..). Come sempre, oscilliamo fra il nulla e il troppo. Fra un vuoto, a
differenza della Germania, del Regno Unito, della Spagna, di tutti quei Paesi
che una legge sui partiti ce l’hanno da decenni. E un eccesso di
regolamentazione, che oltretutto incorre in un abbaglio storico, perché presume
la forma novecentesca dei partiti. Secondo: la legge sui sindacati. Questa
volta la Costituzione è chiara: il legislatore deve garantire che “sanciscano
un ordinamento interno a base democratica”, dice l’articolo 39. a il
legislatore italiano non se n’è mai curato, anche per l’opposizione delle
stesse associazioni sindacali, recalcitranti a denunciarsi di fronte allo sguardo
occhiuto dello Stato. Tuttavia settant’anni possono bastare. E’ tempo
d’interventi, per ragioni analoghe a quelle che impongono di dettare una legge
sui partiti. Tanto più che la riforma Boschi sopprime il Cnel, l’unica stanza
di collegamento fra lo Stato e i sindacati. Non possiamo lasciarli nel Far
West. Terzo: la legge sulle lobby. Negli Stati Uniti il Lobbying Act risale al
1946, e viene aggiornato di continuo (in ultimo da Obama, nel 2009). In Europa
la prima nazione a istituire un registro dei lobbisti è stata la Germania, nel
1951. L’Unione europea regola le lobby dal 1996; e dagli anni Duemila norme
specifiche sono state approvate in Lituania, Polonia, Ungheria, Macedonia,
Francia, Slovenia, Austria, Olanda, Regno Unito, Irlanda. Noi, viceversa, siamo
sempre fermi al palo. Nonostante decine di progetti di legge via via depositati
in Parlamento (16 in questa legislatura). (..) E’ un delitto democratico, qui
come nel caso dei sindacati. Perché non c’è democrazia senza controllo
popolare, e non c’è alcun controllo senza trasparenza. Come diceva Bobbio, “la
democrazia è il potere del pubblico in pubblico”.
Michele Ainis – Legge e libertà www.lespresso.it – L’Espresso – 28 aprile
2016-
Nessun commento:
Posta un commento