Per raggiungere il supermercato con i
suoi tre bambini, Susan – il nome è finto e vedremo il perché – doveva
attraversare un parco pubblico. Seduto su una panchina, un uomo le gridò Da
lontano: “Ehi! Ehi! Lady, vieni qua che ti devo parlare”. Violando ogni
consiglio, ogni raccomandazione, ogni precauzione udita fin da quando era
bambina, Susanna si avvicinò a lui. “Sono sordo, vieni più vicina”. Susanna si
curvò su di lui e quando fu a pochi centimetri lo sconosciuto l’afferrò per la
camicetta, e mentre la teneva ferma, le puntò un coltello alla gola. “Adesso ti
ammazzo”, le disse, mentre i bambini guardavano, impietriti e senza capire, da
lontano. “ Se vuoi, ammazzami”, rispose
Susanna. “Cretina, non hai capito, io ti ammazzo!”. le urlò l’uomo stringendola
più forte. “E tu ammazzami”. Restarono così, immobili per lunghi secondi fino a
quando, l’imprevedibile accadde. L’uomo scosse la testa, rilasciò la camicetta,
si alzò e se ne andò rimettendosi in tasca il pugnale. Susanna si sistemò
l’abbigliamento, tornò dai figli e andò a fare la spesa. La classica regola del
giornalismo spiega che questa è una notizia, nell’inversione dello scenario
criminale che sarebbe stato normale attendersi, ma nella storia di Susan e del
Pugnalatore c’è molto più di un lieto fine per lei e per i suoi bambini. Ci
sarebbe, a prima vista, il coraggio di una donna che risponde con freddezza e
con aggressività verbale alla minaccia, un atteggiamento raccomandabile che a
volte scoraggia e dissuade gli aggressori più di urla d’aiuto o di vani
tentativi di divincolarsi. Ma Susanna non è una donna coraggiosa, perché non sa
che cosa sia il coraggio. E’ una dei 400 esseri umani nel mondo colpiti da una
malattia detta di Urbach-Wieth dal nome degli scopritori. Una calcificazione
dell’amigdala, quella zona del nostro cervello a forma di mandorla, che regola,
fra l’altro, il meccanismo della paura. Susanna non è capace di avere paura.
Quando finalmente, ora che ha passatoi 40 anni, ha accettato di farsi
intervistare dalla televisione pubblica americana Pbs, con il volto in ombra e
accompagnata da uno degli psichiatri che la seguono di università in
università, Susanna ha narrato, e il medico che l’accompagnava ha confermato,
che nessuno degli stimoli, congeniti o appresi che scatenano in noi ansia e
paura la smuovono. E’ stata chiusa in
stanze con serpenti a sonagli (ai quali prima dell’esperimento era stato
prelevato il veleno) e lei è rimasta serenamente seduta. Le hanno distribuito
insetti, ragni enormi, sul tavolo, mostrato immagini raccapriccianti di delitti
misurandone le reazioni fisiologiche (..). E lei niente. (..). Come i pazienti
che non hanno sensibilità al dolore, così Susanna è in continuo pericolo di
vita. I gesti più elementari di prudenza come attraversare la strada
o evitare animali che diano segni di aggressività devono essere
elaborati da lei razionalmente, non istintivamente. Se attraversa con il verde
è perché sa che così si deve fare, non perché sa che così si deve fare, non
perché abbia paura per sé o per i figli. “Non ho paura di morire”. Non riesce
neppure a descrivere che cosa possa essere la paura. “Fosse per me, tutta
l’industria dei film horror sarebbe fallita”. Ma una vita senza paura può essere anche una vita senza gioia? “Sono
sposata da 18 anni, ho tre figli, amo mio marito, ha risposto con un rarissimo
sorriso.”E non ho paura di perderlo”.
Vittorio Zucconi – Donna di Repubblica – 30 aprile 2016 -
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