Non Dobbiamo Cadere preda della paura sbagliata: di
Donald Trump non preoccupa il fatto che possa conquistare l’investitura
repubblicana, perché sarebbe molto improbabile per lui riuscire a insediarsi
alla Casa Bianca. Negli Stati Uniti gli elettori “indipendenti” – quelli
decisivi di centro – non voteranno per lui,perché sono tutto salvo che
estremisti. La frangia moderata dei repubblicani, molto più ampia di quanto si
creda, gli preferisce quell’Hillary Clinton che la destra americana però
detesta. Molti astensionisti, infine, usciranno dalla loro indifferenza per non
fargli prendere le redini del Paese. “The Donald” suscita un rigetto così
maggioritario che proprio per non regalare questa elezione presidenziale ai
democratici l’apparato repubblicano sta facendo tutto ciò che è possibile per
sbarrargli la strada. E quindi, perché temerlo?(..) In questi tempi,gli
scioperi erano frequenti e i si partecipava in massa perché un’astensione dal
lavoro era sufficiente a piegare i consigli di amministrazione che avevano
difficoltà a reperire dipendenti. I salari aumentavano, le tutele sociali pure.
Quel momento sembrava irreversibile anche perché la paura del comunismo
spronava a un’effettiva condivisione dei benefici. Ma, dalla metà degli anni
Settanta in poi, la fine della ricostruzione e l’aumento del prezzo delle
materie prime hanno inferto la prima battuta d’arresto ai “trent’anni Gloriosi”
del dopoguerra. Da Allora è ricomparsa la disoccupazione, che ha riportato in
vantaggio il capitalismo. Da allora gli scioperi non sono più stati sempre
vincenti, e dopo il 1989 sono diventati tanto rari quanto inutili perché nulla
ha più obbligato il capitale a negoziare compromessi. Non Solo Non C’E’ Più una minaccia comunista, ma la conversazione all’economia di mercato
di Paesi prima chiusi e dirigisti ha permesso al capitale di andare a cercare
ovunque i migliori tassi di rendimento, di de localizzare la produzione, di
spingere al rialzo la disoccupazione in Occidente. E di ottenere un ribaltamento
del rapporto di forze. Ai salariati non resta che scegliere tra il persistere
di elevati tassi di disoccupazione e l’accettazione di un’ininterrotta erosione
dei diritti acquisiti. Questa scelta si impone anche ai partiti di governo che
hanno tutti optato per quella che con eufemismo si chiama “flessibilità”. Sulle
due sponde dell’Atlantico si è venuta a creare un’enorme angoscia sociale,
terreno fertile per Trump e le estreme destre europee. Tra Donald e Marine Le
Pen o i loro analoghi le similitudini sono sconcertanti. Tutti propongono di
tornare al protezionismo. Tutti vedono nei Paesi emergenti il nemico. Tutti
sono ostili verso l’immigrazione. Tutti, in sintesi, provano nostalgia per i
tempi in cui l’Occidente era formato di Stati forti, che non soffrivano la
concorrenza di Paesi dalle tutele sociali inesistenti. Questa nostalgia oggi fa
ancora più presa sugli elettorati perché all’angoscia sociale si è aggiunta
l’angoscia per la sicurezza, una volta diventato palese che nemmeno gli Usa
sono onnipotenti, che New York, Parigi o Bruxelles non possono più considerarsi
al riparo dai problemi del Medio Oriente, e che insieme ai Trent’anni Gloriosi
sono giunti al termine anche cinque secoli di supremazia occidentale. Questa è
la seconda motivazione che spiega il successo di Donald Trump e delle
estreme-destre europee, portatori di un fascismo del XXI secolo: quel mix di
nazionalismo, di desiderio di poteri forti, di difesa dei più deboli col quale
fece il suo esordio il fascismo italiano. Per il fascismo, alimentato dal
terrore islamista, in Occidente si prospetta un roseo futuro. Il fascismo del
Vladimir Putin esercita su Donald Trump e Marine Le Pen è una conferma. Trump
non ha più probabilità di diventare presidente nel 2016 di quante ne avrà Marine
Le Pen nel 2017. Ma il rintocco della campanella d’allarme è ogni giorno più
forte. Traduzione di
Anna Bissanti –
Bernard Guetta – Senza frontiere www.lespresso.it – bguetta@wanadoo.fr - 28 aprile 2016
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