“Ciao Francesco!” urlo al Papa fermo
nella sua vettura in attesa di uscire dall’aeroporto di Mitilene, Lesbo, Grecia. “Ciao, Fabrizio”,
urla un italiano al mio fianco. “Ma come Fabrizio?”, gli faccio pensando sia
impossibile sbagliare il nome del Papa. “Conosco l’autista”, mi risponde quello
lasciandomi senza parole. Lì davanti al Papa, con la telecamera in mano ci
siamo solo io e il mio sodale Pierfrancesco. Dietro di noi, i tecnici del
Ducato Fiat che salutano l’autista dando corpo alla gag dell’anno. Nel resto
dell’isola, Tsipras, qualche centinaio di giornalisti e qualche migliaio di
immigrati, per lo più di religione musulmana, stanno aspettando Francesco (e Fabrizio). Il Papa comincia la visita del
posto intorno al quale ogni questione legata ai flussi migratori sembra girare.
Per mesi principale approdo per i migranti in arrivo, Lesbo è l’Isola da cui
sono iniziate le prime “deportazioni” figlie dell’accordo del 20 marzo tra Ue e
la Turchia. Migliaia di persone sono bloccate qui, senza sapere nulla del
proprio destino. Detenute nel centro di Moria o braccate su una spiaggia
occupata da attivisti, sono anime in pena consegnate alle incognite di un
casting d’accesso basato sulle nazionalità e non sui casting d’accesso basato
sulle nazionalità e non sui drammi dai quali scappano. Fahad, 17 anni,è
arrivato qui da solo, un mese e mezzo fa. La sua famiglia è stata sterminata,
ma è pakistano, e il cv non è quello
giusto per ottenere l’asilo in Grecia. Tre giorni fa dormiva in una tenda sulla
spiaggia insieme ad altri trecento ragazzi come lui. Poi quella spiaggia è
stata sgombrata dalla polizia, chi stava lì è stato riportato nel centro di
Moria, dove senza il cv giusto, si rischia di essere rispediti indietro. Ma il tempo ci abitua a tutto, L’enormità di
storie come questa sembra annacquarsi nel fastidio di pensare Fahad diretto a
casa nostra. Vedere uomini, donne, anziani e bambini passare mesi dietro a un
filo spinato intrecciato da noi per difenderci dai loro sguardi,è diventato
normale. Che questa gente abbia rischiato la vita, a molti sembra il minimo che
potesse fare ambire a stare tra noi che siamo nati di qua. E andrebbe tutto
bene per le coscienze di tanti se non fosse che tra i pochi leader politici
ancora sensibili e impressionabili non figurasse proprio il Papa. Ad un animo
laico e agnostico come il mio, risulta insopportabilmente evidente e
imbarazzante la distanza tra gesti, parole e messaggi del Papa e gesti, parole
e messaggi dei più cattolici tra i politici. Di questo passo, per difendere le
statuine del presepe del prossimo Natale, metteranno del filo spinato nei loro
salotti.
Diego Bianchi – Il Sogno di Zoro – Il Venerdì di Repubblica –
29 aprile 2016 -
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