Una mia compagna di
liceo sta studiando a Bruxelles. Sono cinque mesi che sento un piccolo colpo al
cuore ogni volta che controllo i trend di Twitter. Quando Martedì 22 marzo li
ho guardati di sfuggita e i miei occhi sono caduti su PrayforBruxelles, sono
corsa ad accendere la tv e mi è sembrato di vedere un reportage sulla Siria. Il
mondo sta diventando tutto uguale. Per noi millennials che cresciamo insieme, e
all’interconnessione del mondo, il mondo è uno solo. Viaggiamo nella quasi
totale assenza di barriere e dove non possono arrivare i nostri piedi arrivano
i nostri click. Siamo abituati a trovare in ogni parte del mondo gli stessi
segni di identità, dai cibi agli smartphone ai format televisivi. Finché il
mondo non esplode, ricordandoci tutte le sue contraddizioni. Riconoscere negli
attentatori giovani della nostra generazione è forse uno dei dettagli più
spaventosi. Giovani cresciuti nello stesso flusso in cui tutti noi siamo
immersi – o forse no, forse loro se ne sentono esclusi. Sono nati nella cara
vecchia Europa, ma se ne sentono lontani, la vedono come nemica. Non se ne
sentono parte? Ma poi, cosa vuol dire sentirsi parte dell’Europa? L’assenza di
dogane? Una bandiera comune? Viaggiare senza barriere? Viaggiamo tanto, noi
giovani. Siamo nati in un mondo già spalancato, ma sappiamo poco delle miriadi
di culture che hanno camminato lungo le stesse vie che percorriamo noi.
Viaggiano anche gli attentatori, per andare ad addestrarsi, per assorbire un
modo di vivere così diverso da quello nel quale siamo nati sia noi che loro.
Sono tante le paure che gli ultimi mesi hanno risvegliato, ma a volte temo
questo viaggio senza mappe più di molte altre cose, (..). Come possiamo sperare
nell’integrazione in Europa quando non ci siamo dati il tempo di capire cosa
significa essere europei? Gaia zaccagnogaia@gmail.com
L’occidente finirà inghiottito
dall’occidentalizzazione del mondo, perché quando tutto il mondo sarà occidentalizzato
l’Occidente sarà irriconoscibile. Paradossalmente, contro questa
occidentalizzazione globale si muove il terrorismo, praticato da giovani
cresciuti in mezzo a noi e che, al pari dei nostri giovani, si muovono senza
confini: i giovani terroristi per distruggere la cultura dell’Occidente, i
nostri giovani per cercare un luogo dove ancora sia possibile trovarla.
Disperati i primi e carichi di odio, dopo essere nati e cresciuti in un mondo,
quello europeo, dal cui tenore di vita si sentono esclusi e privi di
speranza(..).I nostri giovani, invece, che il nichilismo lo assaporano
quotidianamente a piccole dosi, non trovano nella cultura occidentale, così
come va sviluppandosi ed espandendosi, un orizzonte in cui si possa proiettare
un sogno di vita soddisfacente.(..). Grazie ai mezzi informatici con cui sia i
giovani terroristi sia i nostri giovani sono sempre connessi, lo stesso mondo
appare agli uni come un mondo dove, nonostante non abbia barriere, altro non
s’incontra, come dice la nostra lettrice, che “il medesimo, generale, comune,
global issato modo di vivere”. Odio e noia si dividono il campo, e se dell’odio
qualcosa abbiamo capito e in qualche modo, anche se un po’ goffamente, tentiamo
di difenderci, dalla noia dei nostri giovani, sostenuta dal nichilismo freddo
di chi ha vissuto drasticamente ridotta la possibilità di sperare in un’Europa,
spalancata ai loro viaggi, ma sempre più chiusa al loro futuro, da questa noia
non ancora del tutto rassegnata nasce una richiesta di integrazione, per quel tanto
che i giovani dell’odio hanno in comune con i giovani della noia. E insieme alla richiesta nasce drammatica
anche la domanda della nostra lettrice: “ Come possiamo sperare
nell’integrazione in Europa, quando non ci siamo dati il tempo di capire cosa
significa essere europei?”. E ormai di tempo forse non ce n’è più.
umbertogalimberti@repubblica.it
– Donna di Repubblica – 7 maggio 2016 -
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