Secondo La Nasa circa 500 mila detriti spaziali orbitano intorno al nostro pianeta: resti di navicelle, satelliti a fine carriera, stadi di lanciatori, ma anche piccole parti metalliche che alla velocità di 28 mila chilometri orari rappresentano una minaccia per i satelliti in attività e le altre attività umane in cielo. Basti pensare alla Stazione Spaziale Internazionale (Iss) che almeno due volte l’anno è costretta a manovre per evitare collisioni: l’ultima nel luglio scorso. Per questo le agenzie spaziali di cinque paesi europei, tra cui l’Italia, hanno firmato un accordo per la costituzione di un consorzio europeo con l’obiettivo di realizzare una rete di sorveglianza sovranazionale: si chiama Space Survelliance and Tracking (Sst), una sorta di Grande Fratello spaziale che dovrebbe, a partire da luglio, individuare i frammenti e allertare le strutture orbitanti nei paraggi. La minaccia dei “debris”, cioè della spazzatura orbitante, è concreta: solo nel 2014 gli americani dell’Air Force’s Joint Space Operations Center hanno calcolato 671 mila notifiche di possibili collisioni orbitali. Dal 1991 al 2008 si sono verificati almeno 8 eventi gravi, che hanno generato a loro volta un incremento significativo del numero di oggetti in orbita. M con l’aumentare del traffico la situazione si fa sempre più critica: da quando lo Spazio si è aperto anche alle attività commerciali, le orbite sono sempre più affollate. Il problema è che prevedere la traiettoria di questi piccoli e pericolosi frammenti (almeno 300 mila hanno un diametro inferiore ai dieci centimetri) e i loro possibili impatti non è facile. Gli Stati Uniti hanno un sistema di monitoraggio a base di radar e telescopi ottici, lo Speace Surveillance Network (Ssn), il uso è però riservato a Canada, Nuova Zelanda e Inghilterra, paesi con i quali gli Usa hanno scelto di condividere informazioni “sensibili” anche dal punto di vista militare, come sono quelle legate alla presenza di oggetti orbitanti. E il Dipartimento della Difesa americano ha recentemente annunciato un investimento da 6 miliardi di dollari entro il 2020 per monitorare l’ambiente spaziale. Così anche l’Europa ha deciso di investire in un proprio sistema di tracciamento della spazzatura orbitante, l’Sst appunto. Il consorzio riunisce Italia, Francia, Germania, Spagna e Regno Unito, e si sosterrà con fondi e del programma europeo per la ricerca e l’innovazione Horizon 2020, e dei programmi Galileo e Copernicus, per un totale iniziale di circa 70 milioni di euro dal 2015 al 2020, destinati alla predisposizione del servizio iniziale. Sst non sarà un sistema analogo a quello americano ma un network di strutture già esistenti dislocate nei paesi partecipanti. A cominciare, per quanto riguarda l’Italia, dal radiotelescopio di Medicina a 30 chilometri da Bologna , passando per il telescopio del centro spaziale di Matera, il Sardinia Radiotelescope vicino a Cagliari, i sensori dell’aeronautica militare dislocati tra Pratica di Mare (nel Lazio) e il Poligono del Salto di Quirra, in Sardegna, ai quali si aggiungono potenzialmente i radar per la Difesa Aerea (che potrebbero essere modificati allo scopo) e il telescopio di Vigna di Valle, sul lago di Bracciano, a due passi da Roma.
Elisa Manacorda – Spazzatura orbitante – L’Espresso 5 maggio
2016 -
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