La prima volta che Lauren comperò il
biglietto, un’onda di rimorso la travolse. A trentasei anni, con tre figli fra
i due e gli otto anni a casa, oltre al marito, aveva deciso di scappare. Dopo
nove anni vissuti interamente per loro, dal momento in cui il test di
gravidanza aveva segnalato l’arrivo del primo, aveva deciso di averne avuto
abbastanza. Non c’erano improvvise passioni d’amore, delusioni o radicali
scelte di vite. Più semplicemente, Lauren aveva deciso che anche le stay at home mom come lei, le madri
che hanno scelto di lavorare in casa e per la famiglia, hanno diritto a quello
che ogni altro lavoratore – dal carpentiere alla segretaria, dalla manager al
chirurgo – ha: una vacanza. (..). Alla notizia che la mamma sarebbe andata via
da sola, lasciandoli senza di lei, i suoi tre padroncini, i tre bambini,
inscenarono una manifestazione di viva e vibrante protesta. Se il più grande,
quello di 8 anni, riusciva a capire che quattro giorni – e dunque quattro notti
– non erano un addio, le bambine più piccole, con la scarsa nozione del tempo
che si ha a quell’età, vedevano in quella partenza un distacco terrificante,
poco attenuato dal pensiero che il padre e una baby sitter sarebbero rimasti a
occuparsi di loro. I piccoli sono un po’ come i cani, disperati quando sono
lasciati soli e incapaci di distinguere fra il breve abbandono necessario per
uscire a prendere il giornale e una lunga separazione. Ma Lauren rimane ferma
nella sua decisione. E, come avrebbe scoperto dopo aver raccontato la
propria esperienza in un blog, restano
ferme nella propria decisione le migliaia di madri, che stanno formando, tra
libri, memorie, club, rubriche sulla carta stampata, una sorta di movimento per
la “vacanza della casalinga”, per il diritto al riposo e al distacco dalla
famiglia per qualche giorno ogni anno da dedicare esclusivamente a loro stesse.
(..). “non potrei mai farlo”. “Sarei tormentata dal senso di colpa”. “Passerei
le giornate di vacanza attaccata allo smarthphone per parlare con loro e per
vederli”. “Dall’essere madre non si va mai in vacanza”. “Così hanno risposto
altre donne molto scettiche sulla possibilità di staccare da un lavoro che è
molto più di un lavoro. “Si è madri per sempre”, le ha scritto un’altra, “fino
al giorno in cui si muore, anche se i tuoi figli hanno sessant’anni”. E Laurem
Apfel, insieme con le autrici di studi e saggi usciti in questi mesi che
invocano “ferie per le mamme”, non lo negano. La loro risposta però è che un
breve distacco annuale dai figli ancora piccoli e dalla famiglia, ben spiegato
e raccontato, non fa bene soltanto al corpo e all’anima della madre, ma
soprattutto ai bambini, che sperimentano per qualche giorno che cosa significhi
vivere senza la costante presenza di un’ala protettrice e ingombrante sopra di
loro e li prepari al tempo della inevitabile indipendenza. E forse, come
insinua Katrin Schuman nel suo libro
Time-out per una mamma, aiuta a scoprire che noi genitori, mentre
proclamiamo di fare tutto per i figli, abbiamo il terrore che loro possano fare
a meno di noi. Anche se per quattro giorni appena.
Vittorio Zucconi – Donna di Repubblica – 16 gennaio 2016
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