“Le religiose! Patrizia! Le suore!”,
urla il maestro di cerimonia a Patrizia, colei che per qualche forma di moderna
penitenza si trova al microfono nel momento più delicato, quello dell’avvio
della processione. “Le suore comincino a prepararsi” dice Patrizia, ma il
principale la interrompe. “No preparasi, devono venire qui subito!”. Si
spostano le transenne, le suore lasciano i segnaposto con scritto “suore”,
appunto, e avanzano alla testa del corteo. “Comincino a prepararsi i legionari
di Cristo e i ministranti”, accenna Patrizia. Ma non è giornata. Scuotendo il
capello e accentuando l’accento padano, lo spazientito mossiere urla rivolto al
microfono: “Nooo, i cappuccini prima! Cappuccini, seminaristi, clero!”.
L’errore di Patrizia o di chi le ha passato la velina sbagliata deve essere
grave assai. E qui, a Roma, nel giorno in cui le salme imbalsamate di Padre Pio
e San Leopoldo in trasferta dai loro rispettivi santuari, stanno per essere
portate in processione da San Salvatore in Lauro al Vaticano, sbagliare è
peccato. L’ordine di partenza, laddove l’estetica e la liturgia sono sostanza del tutto, è ben più della metà
dell’opera che si riconosce a chi ben comincia. Processioni, palio di Siena,
Formula 1, Olimpiadi, che sia per fede, disciplina o merito, l’anarchia non è
prevista. Quando esce la bara di vetro contenente Leopoldo gli si tributa
l’entusiasmo che si concede ai gruppi spalla chiamati a precedere le rockstar.
Eppure pare che Leopoldo, nella pratica della confessione (l’eccellenza per la
quale i due sono stati fatti santi), fosse molto più comprensivo e pacato
dell’iroso Pio. Patrizia, ormai, ha la voce che trema. “Dodici novizi
cappuccini urgentemente al palco”, implora al microfono, e la sensazione è che
ci si sia dimenticati che Padre Pio, da solo, non può uscire. Nell’attesa,
Leopoldo si gode un extra time di visibilità. Un volontario prende dai fedeli
alcuni oggetti personali (foto, fazzoletti) e tocca con questi la sua bara.
Poi, finalmente, Padre Pio esce, l’eccitazione aumenta, i canti crescono, i
fazzoletti sventolano, la processione ha inizio. Impressionanti come solo un
corpo imbalsamato può essere, Leopoldo e Pio avanzano nelle loro teche di
vetro. In questo stao, anni fa, avevo visto solo Lenin, sulla Piazza Rossa di
Mosca. Due salme imbalsamate che vanno in processione nel centro bloccato di
Roma, seguite da gente che canta, prega, fotografa e si fotografa. Se una scema
del genere l’avessimo vista in un documentario su qualche sperduto villaggio
dell’Africa o dell’Asia, difficilmente l’avremmo considerata contemporanea, o
vicino ai nostri “stili di vita”. Ma siamo a Roma, febbraio 2016.
Diego Bianchi – Il Sogno di Zoro – Il Venerdì di Repubblica –
19 febbraio 2016 -
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