Approdato in uno dei
licei classici più rinomati di Roma, ho dovuto prendere atto che anche qui alla
mentalità immediatamente applicativo-produttiva che pervade ormai la nostra
società non si fa resistenza. Anche il liceo classico ha ammainato il suo
vessillo e ha fatto suo il nuovo grido di bataglia pedagogico della cosiddetta
“alternanza scuola-lavoro”. Scriveva Hegel: “Un popolo senza metafisica è come
una chiesa senza il suo altare”. Metafisica ovvero visione; momento teoretico
che va al di là del momento applicativo-produttivo, fosse anche solo per
guidarlo. Bene, credo che se c’è qualcosa che il mondo occidentale debba
temere, questa sia la sua incapacità a stringersi intorno all’altare della
visione, di quella visione che, da Socrate all’Illuminismo, l’Occidente aveva
coltivato.
Giuseppe Cappello giuseppecapello69@hotmail.com
Penso come lei che tutte le scuole
secondarie superiori debbano essere scuole di formazione, il cui obiettivo non
è quello di addestrare al lavoro ma di formare l’uomo, con l’attenzione ricolta
alla sua intelligenza per addestrarla al senso critico e al suo sentimento, per
renderlo idoneo ad avvertire, anche senza mediazioni intellettuali, la
differenza tra il bene e il male, tra ciò che è giusto e ciò che è ingiusto.
Quando un giovane è formato, è anche idoneo ad apprendere qualsiasi attività
lavorativa, a partire dalle sue scelte universitarie che lo addestrano a
competenze specifiche. Capisco che oggi parlare di formazione significa parlare
di qualcosa che non interessa ai genitori, che pensano unicamente all’attività
futura che il figlio potrà intraprendere. Questo spiega per esempio perché
assistiamo a un’iscrizione in massa al liceo scientifico, rispetto al liceo
classico, nell’ingenua supposizione che quest’ordine di studi addestri meglio
la mente al mondo della scienza e della tecnica, che è diventato per noi oggi
l’unico mondo, a scapito del modo della vita. (..). “Con la cultura non si
mangia”, diceva un nostro ministro dell’economia. Non è vero, ma anche se lo
fosse, crediamo sul serio che un popolo possa migliorare e crescere, anche
economicamente, senza cultura? I paesi più avanzati non sono anche quelli in
cui la cultura è più diffusa? Eppure queste considerazioni, tanto ovvie da
vergognarsi persino a ricordarle, collassano di fronte all’atmosfera del nostro
tempo, che conosce come unico generatore simbolico di tutti i valori il denaro.(..).
Così il degrado viene alimentato e il fiume dell’ignoranza collettiva
s’ingrossa, perché a suo tempo la scuola non ha generato una curiosità e una
fascinazione per la cultura, dato che la sua preoccupazione è addestrare al
futuro mondo del lavoro.(..). A questo punto diventano inutili il greco e il
latino giudicate lingue morte, anche se senza quelle noi occidentali non
avremmo avuto accesso all’etica, alla politica, alla democrazie, alla medicina,
al teatro comico e tragico. Alle discipline da eliminare si aggiunge la
filosofia , che si ritiene egregiamente sostituita dalla scienza, anche se
questa non dà risposte alle problematiche più profonde che spesso si agitano
tra i pensieri e i sentimenti dell’uomo. Parlando di “alternativa
scuola-lavoro”, oggi si pensa che le due cose siano alternative e, dovendo
scegliere, si preferisce sacrificare l’aspetto formativo a quello che addestra
in cista della produttività e della spendibilità immediata del proprio sapere,
posto che nel frattempo lo si sia acquisito.
umbertogaliberti@repubblica.it
– Donna di Repubblica – 13 febbraio 2016 -
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