Popolo E Elite, mai così distanti. Nell’Europa in
cerca d’identità il solco scavato tra governati e governanti non ha precedenti
dagli anni della fine della Seconda guerra mondiale. Un contagio politico senza
confini, dalla Francia all’Italia, dalla Spagna alla Grecia, dall’Est ex
comunista fino alla Germania sempre più al centro di una mappa geografica
slabbrata. I partiti storici della ricostruzione post-bellica, i cattolici
popolari e i socialisti democratici, si stanno rivelando culturalmente
disarmati nel fronteggiare una complessità di processi sociali impressionante::
la recessione perdurante, l’impoverimento dei ceti medi, l’immigrazione
disperata, le tensioni etniche, la paura del fanatismo islamico. Una
concentrazione di fattori critici che di fatto chiude un’epoca durata
settant’anni durante i quali le sorti magnifiche e progressive del Vecchio
Continente ci hanno assicurato sviluppo ì, benessere, welfare e cooperazione,
almeno per noi nati al dì qua della cortina di ferro. La Generazione dei baby
boeme- la mia generazione – è scrsciuta con la convinzione che democrazia e
pace fossero valori acquisiti per sempre in Europa, ancor più con il
consolidarsi delle istituzioni comunitarie e l’introduzione della valuta sovranazionale.
Amara illusione. La casa comune si sta sgretolando sotto il peso della
leggerezza delle risposte fornite ai drammi di questi mesi, di questi anni sia
dai singoli Sati che dall’insieme dell’Unione europea. (..). In uno scenario
europeo di incertezze e difficoltà “ il vento dell’antipolitica soffia sempre
più forte. Le masse per secoli sottomesse al potere delle élite, poi
faticosamente integrate attraverso i partiti, oggi – scrive il politologo Mauro
Calise nel suo “La democrazia del leader” – si ribellano a un sistema da cui si
sentono sempre meno rappresentate e protette. In bilico tra le antiche identità
nazionali e le paure delle sfide globali. Chiedono al leader di turno molto più
di quanto potrà fare”. (..). Zygmunt Bauman, nell’intervista del nostro
Alessandro Gilioli (..), esprime preoccupazione per possibili risposte
autoritarie. Salvare l’Europa dunque per salvare le nostre fragili istituzioni
democratiche. Ma come? E’ il cuore del problema, ma nessuno dei leader
nazionali sembra avere la forza di intraprendere un’iniziativa politica capace
di riavvicinare governanti e governati. Il nostro Matteo Renzi ha ipotizzato
primarie su scala continentale per selezionare il prossimo presidente della
Commissione europea, carica oggi ricoperta dal Lussemburghese Jean Claude
Juncker. Proposta caduta nel vuoto. (..). A Roma Martedì 9
Febbraio si sono
riuniti i ministri degli Esteri dei sei paesi fondatori (Francia, Germania,
Italia, Belgio, Olanda e Lussemburgo). C’è poco tempo da perdere. Occorrono
politiche fiscali comuni (al tema dell’evasione, non solo cole male italiano,
(..). Ma solo dando risposte adeguate ai problemi del nostro tempo le élite
Europee si confermeranno classe dirigente legittimata dal consenso. In
alternativa ci sono oligarchie autoritarie o populismi sfrenati.
Luigi Vicinanza – www.lespresso.it
@vicinanzal – L’Espresso – 18 febbraio 2016 -
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