Fino ai primi di gennaio era emergenza
smog, con relativo “infuocato dibattito” che si trascinava nell’evidente
speranza di prendere tempo fino alle prime piogge. E infatti con le piogge è sparito
sia lo smog che ogni proposta per contenerlo. Ma le conseguenze
dell’inquinamento atmosferico sulla salute non se ne andranno così facilmente.
Lo dimostra una ricerca condotta dall’Istituto di fisiologia clinica del Cnr di
Pisa e dall’Istituto di Biomedicina e Immunologia molecolare del Cnr di
Palermo, che, comparando i dati sulla salute respiratoria di trenta anni fa con
l’attuale, mostra come stiamo già pagando la cambiale inquinamento. “ Abbiamo
comparato i dati sui disturbi respiratori registrati in un campione di tremila
persone nella città e provincia di Pisa nel 1985, con quelli di un analogo
campione nel 2011” spiega lo pneumologo Giovanni Viegi, direttore dell’Ibim di
Palermo “e i risultati sono preoccupanti”. La prevalenza di attacchi d’asma,
per esempio, è passata infatti dal 3,4 al 7,2 per cento, il raffreddore
allergico dal 16,2 al 37,4 per cento e la bronco pneumopatia cronica ostruttiva
(Bpco), l’ostruzione progressiva delle vie respiratorie, è addirittura
triplicata: dal 2,1 al 6,8 per cento. Incrociando i dati sanitari con quelli
sulle abitudini di vita, i ricercatori hanno individuato tre principali fattori
di rischio: fumo di sigaretta, condizioni di lavoro e abitare in città, cioè
l’esposizione al suddetto smog. La cosa strana, però, è che per tutti e tre questi
fattori la situazione dal 1985 ad oggi dovrebbe essere migliorata: si fuma
meno, la salute sul lavoro è più tutelata e ci sono più controlli e limiti
sull0inquinamento aereo. “La popolazione testata oggi, oltre ad essere in media
più anziana e quindi più fragile, sta in realtà scontando l’aver passato parte
della sua vita esposta a fattori che danneggiano bronchi e polmoni. Per
esempio, è vero che il fumo è un’abitudine in calo, ma i danni che ha fatto
sono ancora presenti: nel 1985 i fumatori erano il 26 per cento e gli ex
fumatori il 19,4, nel 2011 erano rispettivamente il 20 e il 32,9 per cento,
quindi in totale sono di più oggi quelli danneggiati dal fumo. Chi ha smesso di
fumare ha sì bloccato il danno, ma non ha eliminato quello pregresso, che ora si
fa sentire”. Il caso dell’inquinamento aereo è invece più complesso. “Nel 1985
non c’erano i controlli attuali e non si possono fare confronti precisi.
Sappiamo però che alcuni inquinanti come lo zolfo, da allora si sono
decisamente ridotti. Ma visto che chi risiede in città oggi si ammala più di
allora, per esempio + 54 per cento di Bpco sul 1985, è evidente che qualcosa
nell’aria delle città è peggiorato”. Viegi sospetta che quel qualcosa siano le
polveri sottili, ma in una recente ricerca Michael Jarret dell’Università della
California ha trovato che per ogni 10 parti per miliardo in più di ozono
nell’aria delle città, si ha un 12 per cento in più di malattie polmonari. E
l’ozono si forma a causa di ossidi di azoto emessi soprattutto dai motori
diesel (quelli al centro dello scandalo Volkswagen), che negli ultimi anni sono
diventati più diffusi in Europa. Dove si possono emettere alla grande: se
un’auto americana non può rilasciarne più di 0,04 grammi per chilometro, un
diesel europeo può arrivare a 0,18. “Permettiamo anche 50 microgrammi di
polveri sottili Pm10 per metro cubo di aria, contro i 20 consigliati dall’Oms”
conclude Viegi. Il risultato? 60mila morti premature ogni anno in Italia, dice
l’Agenzia Europea dell’Ambiente.
Alex Saragosa – Scienze – Il Venerdì di Repubblica – 29
gennaio 2016 -
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