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giovedì 25 febbraio 2016

Lo Sapevate Che: La didascalia offende: Via "Negro" o "Nano" dai titoli dei quadri



Si può usare la parola “negro”? E “nano”? O meglio, lo si può lasciare scritto nei titoli e nelle descrizioni dei quadri esposti nei musei? Oppure si deve correggere con espressioni  politicamente corrette? Il dibattito ferve sui media occidentali da qualche settimana, da quando cioè il Rijksmuseum di Amsterdam – che grazie alla sua collezione di Rembrandt e Vermeer è il più importante del Paese con i suoi quasi 2,5 milioni di visitatori l’anno – ha annunciato che appunto sta modificando i termini oggi ritenuti offensivi dalle sue opere, tra cui anche “indiani” riferito ai nativi americani. “Noi olandesi veniamo chiamati Kaas Kops”, “teste di formaggio”, e non ci piacerebbe trovarlo scritto nella descrizione di un quadro”, ha dichiarato Martine Gosselink, a capo di questo progetto. In questa polemica internazionale, il britannico Guardian ha ricordato che “pochissimi sono gli artisti che hanno dato alle loro opere dei titoli, che invece sono di solito poi attribuiti da storici e musei”, mentre lo spagnolo El Pais ha messo in guardia dagli eccessi del politicamente corretto, citando anche il “masochismo occidentale” teorizzato dal filosofo francese Pascal Bruckner in La tirannia della penitenza.  Non è comunque un problema che riguarda tutti i musei d’arte moderna. Dalla Pinacoteca di Brera, a Milano, ci spiegano per esempio che per loro il dilemma non si pone: “La maggior parte dei nostri dipinti è di soggetto sacro. Non abbiamo titoli “scorretti”. E che cosa ne pensa il neodirettore degli Uffizi, il tedesco Eike Schmidt? “Laddove “esistono titoli ormai storicizzati, per noi restano quelli”, ci spiega da Firenze: “Mi viene in mente il famoso ritratto “double face” che abbiamo nella Sala del Bronzino. E’ dedicato l Nano Morgante, personaggio noto della corte di Cosimo I de’ Medici, considerato quasi di famiglia”. Conservare quelle espressioni può essere a suo modo persino educativo, per Schmidt: “Proprio la volontà di esporre le opere con i nomi storici, non abbelliti sotto il segno del politically correct, ricorda a tutti l’inferiorità e la sofferenza di queste persone nei secoli passati, inducendoci a una riflessione e a portare avanti la necessità dell’integrazione di ogni individuo, con le proprie abilità e disabilità, nella società”.
Daniele Castellani Perelli – Cultura – Il Venerdì d Repubblica – 19 febbraio 2016 -

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