La Morte Di Ettore
Scola è stata motivo
di grande tristezza perché con lui abbiamo perso una parte consistente della
nostra anima lieve. Sapere che i padri calpestano ancora questa terra è
rassicurante. Avere la consapevolezza che resta che resta di loro ciò che hanno
fatto – che poi per la stragrande maggioranza delle persone è la cosa più
importante – appesantisce, invece, il passo: non possiamo più fare domande,
tutto resta alla nostra interpretazione e alla nostra capacità di leggere e
attualizzare ciò che non è stato creato ora. Non c’entra direttamente, ma
leggendo sui social le risposte violente ai miei post sullo stato della legge
194 – legge disattesa, prova di un diritto negato – non sono riuscito a
trattenermi dal pensare che le nonne di molti ragazzi contrari all’aborto oggi,
devono essere scese in piazza per manifestare affinché abortire diventasse un
diritto e legale.(..). Non ho potuto fare a meno di immaginare alcune di quelle
nonne nelle sale d’attesa fredde e fatiscenti di ambulatori clandestini per la
necessità (che comunque implica una scelta) di interrompere una gravidanza.
Cosa centra Ettore Scola? L’incapacità di contestualizzare ciò che accade e
quindi l’incapacità di riconoscere cosa per noi è davvero importante
conservare, implica una perdita maggiore della morte stessa. Scola è stato,
come gli attori che con lui hanno lavorato e come moltissimi suoi colleghi, la parte più divertente della
tragedia, quella malinconica e irrinunciabile. O magari potremmo dire la parte
più italiana. Ennio Flaiano, lo stesso che diceva che la situazione era grave
ma non seria, scrisse sul “Corriere della Sera”; L’italiano, nella sua qualità
di personaggio comico è un tentativo della natura di smitizzare se stessa”. Quindi
ecco che anche quando lo struggimento è il sentimento più adatto a descrivere
ciò che si muove dentro, anche in quel momento la comicità è lì che strizza
l’occhio, mai discreta. (..). Una comicità che il secolo scorso ha vissuto in
ogni sua gradazione ( da Totò a “Drive In” passando per Scola e Sordi),
abbandonandosi senza sentimenti: una comicità che noi oggi proviamo sempre a
riempire d’altro per giustificare il tempo speso a goderne. (..). “Questi Stracci E Questi Cessi” ci diffamano di fronte al mondo”, sono parole che porto con
me da sempre, da quando so che scrivere vuol dire occuparsi di stracci e di
cessi. Ricordate in “C’eravamo tanto amati” la scena della proiezione di “Ladri
di biciclette”? Siamo ancora tutti lì, in quel
cineforum di Nocera Inferiore, dove il professor Caprigno, disgustato
dopo aver visto il film di De Sica, si alza e dichiara: “Opere siffatte
offendono la grazia, la poesia, il bello. Questi stracci e questi cessi ci
diffamano di fronte al mondo. Di questi filmacci bene ha detto un giovane
cattolico di grande avvenire, vicino a De Gasperi (ovvero Andreotti): i panni
sporchi si lavano in famiglia” (..). E Penso A Flaiano che sempre sul “Corriere” scriveva:
“Quando due italiani si incontrano per caso all’estero la loro reazione è un
gran ridere”. E rivedo quelle pacche sulle spalle e quelle strette di mano dei
nostri politici all’estero raramente seri in volto, ma sempre abbastanza
giullari, perché il sorriso porta consenso e il consenso si tramuta in voti.
Ettore Scola ci ha lasciati, eppure noi siamo ancora tutti lì, dentro quel
piccolo cinema di paese, rafforzati nell’idea che si vuol scrivere non si può
prescindere da “questi stracci e questi cessi”. E se la nostra cifra è
l’ironia, non facciamola diventare un ghigno.
Roberto Saviano – L’antitaliano www.lespresso.it – L’Espresso – 4 febbraio
2016 -
Nessun commento:
Posta un commento