“Sono stato in dormiveglia, ma va bene,
quello che mi interessa è la giornata di oggi”. Aldo, operaio di 53 anni, 27
dei quali passati a lavorare nell’Ilva di Genova, non sembra troppo provato
dalla seconda notte passata a dormire nella mensa della fabbrica occupata.
L’ipotesi che circola di tafferugli con le forze dell’ordine a margine del
corteo che è appena partito lo preoccupa decisamente di più. Aldo e i suoi colleghi sono al terzo giorno
di sciopero. Dopo aver bloccato per due giorni il traffico cittadino, oggi è il
giorno della manifestazione, della visibilità, del risultato politico.
L’iniziativa non è sindacalmente unitaria, la Fiom guida la protesta,
organizzando il corteo verso la Prefettura con l’unico dichiarato obiettivo di
avere un rappresentante del governo seduto al tavolo “romano” del prossimo 4
febbraio. Apre il piccolo corteo uno striscione in latino, (Pacta servanda sunt, i patti vanno
rispettati) lingua desueta, neutra, classica, rigorosa, usata per non concedere
fraintendimenti a chi di decreto, di commissariamento in commissariamento,
lascia centinaia di lavoratori nell’incertezza da troppi anni. Chiudono il
corteo i mezzi pesanti, le pale meccaniche, giganti buoni da rispettare e
accudire, rumorosi, simbolici e fidati compagni di lavoro e di lotta. “Senza
lavoro c’è agitazione”, cantano sulle note di Tanto pe’ canta mentre chilometro dopo petardo si uniscono al
corteo studenti e operai di altre fabbriche genovesi. Poi, improvviso, il
blocco delle forze dell’ordine. Caschi, maschere antigas, manganelli,
lacrimogeni a vista, blindati e camionette. Tutto quello che serve da
deterrente al cammino è schierato, la prima risposta ufficiale di giornata è
preoccupante. Operai e poliziotti faccia a faccia, caschetto a casco. Gli
operai chiedono ai poliziotti di unirsi a loro o comunque di togliersi i
caschi, cosa che avviene a patto che gli operai indietreggino qualche metro.
Una poliziotta va oltre: stringe la mano di un operaio. E’ la foto di giornata.
Qualcuno attribuirà a questo gesto virtuoso lo sblocco della situazione. Molto,
giusto clamore per lei, nessuno per lui, l’operaio che ha comunque dato la mano
a una persona che lo ha aspettato con il casco in testa e tutto l’armamentario
precedentemente descritto. Per entrare dentro Genova però, sarà necessario
lasciare qui i mezzi pesanti. Che diventano
lo strumento politico di giornata. Grazie a loro, che si fermano qui, il
corteo andrà avanti fino all’obiettivo.
Diego Bianchi – Il Sogno di Zoro – Il Venerdì di Repubblica
- 5 febbraio 2016 -
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