Gli ultimi anni del XVIII secolo segnarono il definitivo tramonto della Serenissima
Repubblica di Venezia: dopo sette secoli di storia il governo oligarchico,
retto dal nuovo doge Ludovico Manin, sembrava del tutto inerme di fronte alla
spinta riformatrice che proveniva dalla Francia rivoluzionaria e alle richieste
di Napoleone. Ciò si rifletteva anche nella vita cittadina, dilaniata da
scontri tra diverse fazioni.
In questo scenario si inserì la proposta di costruire un nuovo teatro da parte
della Nobile Società dei palchettisti, estromessa dalla gestione
del Teatro San Benedetto. Questa decisione aveva portato la suddetta Società a
rifarsi del torto subito, con la costruzione di un nuovo edificio, più grande
di quello perduto e che avrebbe preso il nome di Fenice, per sottolineare
la rinascita della società dalle proprie vicissitudini.
Il bando di concorso pubblicato il 1° novembre 1789 preannunciava l'intenzione
di dare con quest'opera un volto nuovo alla città, in contrapposizione alla
parte più conservatrice. Per questo tra i ventotto concorrenti in gara, venne
premiato l'architetto Giannantonio Selva, presentatosi con un
progetto improntato a una visione più "repubblicana" (vicina agli
ideali della rivoluzione francese) del teatro, dove insieme all'uguaglianza dei
palchi (senza spazi privilegiati) si perseguiva l'austerità degli ornamenti.
Una linea in totale antitesi con quella rappresentata dal Checchia, più
conservatrice e sostenuta da buona parte dell'oligarchia veneziana. Iniziati i
lavori ad aprile del 1790 sotto la supervisione di Antonio Solari, le polemiche
non si arrestarono nemmeno dopo il rapido completamento dell'opera, inaugurata
ufficialmente il 16 maggio di due anni dopo, con i "I Giuochi
d’Agrigento" del conte Alessandro Pepoli. I detrattori puntarono
il dito sui costi lievitati eccessivamente rispetto alle previsioni di
partenza.
Ciononostante, la Fenice entrò subito nel novero dei palcoscenici più
prestigiosi dell'Europa ottocentesca, ospitando le "prime" di opere
immortali della lirica italiana. Ad iniziare da quelle di Gioacchino
Rossini, che qui mise in scena Tancredi, Sigismondo e Semiramide.
Dopo il Belisario di Gaetano Donizetti, accadde
l'irreparabile: la notte del 13 dicembre 1836 da una stufa austriaca si propagò
un incendio di vaste proporzioni che, secondo le cronache dell'epoca, durò tre
giorni e tre notti.
Ricostruito a somiglianza dell'originale dagli architetti Tommaso e
Giambattista Meduna, La Fenice si riprese subito il suo ruolo nel panorama
lirico internazionale, ospitando altre celebri prime, tra cui quelle del Rigoletto e
de La Traviata (rispettivamente nel 1851 e 1853) di Giuseppe
Verdi. Nel XX secolo, si avvicendarono qui compositori del calibro di
Pietro Mascagni, Igor Stravinskij e Sergej Prokof'ev.
A 160 anni di distanza una seconda catastrofe si abbatté sul "massimo
teatro" lagunare, stavolta con effetti più distruttivi. Il 29 gennaio
1996, la follia criminale di due elettricisti, intenzionati a coprire i loro
ritardi nei lavori, li spinse ad appiccare un incendio che in una notte rase al
suolo l'antico edificio.
Otto anni dopo, grazie alla perseveranza dei veneziani e al sostegno
dell'opinione pubblica nazionale, la Fenice tornò in vita, presentandosi nella
sua veste storica. L'evento fu celebrato il 14 dicembre 2003 da un concerto
diretto da Riccardo Muti.
http://www.mondi.it/almanacco/voce/822001
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