Autunno: perché si chiama così questa stagione dell’anno?
L’origine si fa risalire al participio passato del verbo
latino “augere”. Augere, che significa “aumentare”, “arricchire”,
diventa – con il suo participio passato – “auctus”, a cui è stata associata la
desinenza -mnus. Da qui autumnus, da cui poi tutte le lingue
neolatine hanno tratto il nome della terza stagione dell’anno (Otoño in
spagnolo, Automne in francese, Outono in portoghese, ed anche in inglese si
dice Autumn – mentre negli Stati Uniti è più comune il termine “Fall”).
Autunno: Settembre e i suoi proverbi
L’autunno fa cader le
foglie e la vecchiaia fa passar le voglie
Autunno chiaro e
giocondo, anno fecondo
In settembre l’uva
matura e il fico pende
Di settembre e d’agosto,
bevi il vin vecchio e lascia stare il mosto
Un settembre caldo e
asciutto maturare fa ogni frutto
Da Settembre prima la
bianca, che di pendere è già stanca
L’uva settembrina, è
fragola zuccherina
Di Settembre la notte
col dì contende
Di settembre o porta
via i ponti o secca le fonti
A settembre pioggia e
luna, è dei funghi la fortuna
Quando la cicala canta
in settembre, non comprare grano da vendere
Aria settembrina
fresco la sera e fresco la mattina
Brache, tela e meloni
in settembre non son buoni
Ogni uccello di
settembre è beccafico
Se fa bello per San
Gorgone (6 Settembre) la vendemmia va benone
Se piove per San
Gorgonio (9 settembre), tutto l’ottobre è un demonio
Santa Croce (14 Sett.)
pane e noce
Per Santa Eufemia ( 16
Sett.) comincia la vendemmia
San Matteo (21 Sett.)
addolcisce i grappoli
Significato simbolico,
miti e leggende
Sia solstizi che equinozi hanno un importante significato simbolico in
molte culture del passato, ancora oggi molti appassionati si incontrano agli
equinozi attorno alle rovine di Stonehenge, e continuano ad avere un ruolo
fondamentale nel calendario. Le piccole discrepanze tra la durata dell’anno
scandita dai calendari e l’effettiva durata dell’anno astronomico hanno fatto
si’ che il giorno degli equinozi non sia sempre stata la stessa. Prima
dell’introduzione del calendario gregoriano, nel 1582, si era verificato un
graduale slittamento e l’equinozio d’autunno cadeva circa 10 giorni dopo la
data formale. Per recuperare la discrepanza accumulatasi nel tempo vennero
eliminati i giorni in eccesso si stabilì di eliminare 10 giorni dal calendario,
ossia che il giorno successivo al 4 ottobre 1582 fosse il 15 ottobre.
Alcuni miti connessi all’evento sono duri da sfatare: ad esempio si ripete
spesso che la regione artica, nel corso dell’anno, vive sei mesi di luce e
sei mesi di buio. Cosa che che libri, articoli e guide turistiche
continuano a riportare, attribuendo al termine “notte”, il significato
di “presenza del Sole sotto l’orizzonte”: in realtà quando il Sole scende
sotto la linea dell’orizzonte, quel che osserviamo è il crepuscolo.
Ogni volta che il bordo più alto del Sole è inferiore a 18 gradi sotto
l’orizzonte, si verifica il limite del crepuscolo astronomico, oltre al quale
ne esistono altri due tipi: quello civile, che si verifica quando
il Sole è sotto di 6°, e quello nautico, ossia quando la nostra
stella scende a 12 gradi sotto l’orizzonte. Il momento in cui sono necessari i
fari artificiali, coincide con la fine del crepuscolo. Questa fase
interessa il Polo Nord sino ad ottobre, per cui siamo ben lontani dal
definire questo periodo come “buio totale”.
L’equinozio di
settembre per molti anni ha rappresentato anche il primo giorno
dell’anno nel calendario repubblicano francese, che venne usato dal 1793 al
1805. Nel Regno Unito il giorno dell’equinozio viene utilizzato per calcolare
la ricorrenza del festival del raccolto, celebrato la domenica della luna piena
più vicina all’equinozio di settembre. Tuttavia è il paganesimo e
l’esoterismo a trovare, ancor oggi, nel giorno dell’equinozio, un punto di
riferimento. Dal punto di vista astrologico, questi sono gli ultimi giorni in
cui le forze si bilanciano, mentre a seguire l’oscurità vincerà per i
successivi sei mesi sulla luce. Nella tradizione iniziatica, questo momento
rappresenta un passaggio, un tempo per meditare, durante il quale la
separazione tra ciò che è visibile e ciò che invisibile tende a diventare
sempre più sottile. Diversi anche i miti, soprattutto celtici, che si legano a
questa giornata: l’equinozio autunnale veniva festeggiato con il nome di
Mabon, il dio della vegetazione e dei raccolti. Indicato col nome di Maponus
nelle iscrizioni romano-britanne, è figlio di Modron lsa, dea madre: rapito tre
notti dopo la sua nascita, venne imprigionato per lunghi anni fino al giorno in
cui venne liberato da Culhwch, cugino di Re Artù. A causa del soggiorno ad
Annwn, Mabon rimase giovane per sempre. Il suo rapimento è
quindi l’equivalente celtico del rapimento greco di Persefone. Nell’antica
Grecia invece si celebravano i grandi misteri elusini, riti misterici che
rievocavano suddetto rapimento di Persefone, figlia della dea Demetra, che
regolava i cicli vitali della terra, condotta agli inferi dal dio Ade che ne
fece la sua sposa: la leggenda racconta che Demetra, come segno di lutto e fin
quando non riebbe sua figlia, impedì il germogliare delle sementi e delle
piante e rese sterile la terra.
Il mito si interseca
quindi con la realtà e con i ritmi vitali dell’uomo, che nonostante la
tecnologia, continuano ad essere intimamente legati con l’ancora, per certi
versi, misterioso movimento degli astri.
http://www.meteoweb.eu/2020/09/equinozio-2020-quando-arriva-autunno
ED ORA: 20 COSE CHE TI FANNO CAPIRE CHE È AUTUNNO ED
ORA
Che due coglioni intergalattici: è
finita l’estate.
Che poi, è vero, il caldo soffocante l’ha fatta da padrone però adesso, con le
prime piogge e il primo fresco, quasi che ad abituarsi non era poi così male.
Così, 20 cose che, uffa, ci fanno capire che il bel caldo, il sole, la
spiaggia, il mare, le infradito, le espadrillas, la buona e gustosissima e
rinfrescante birra ghiacciata (e sto già piangendo) sono rimandati, ancora
uffa, all’anno prossimo.
1 – Il pantalone del pigiama, la copertina e la finestra chiusa.
Hai dormito praticamente nuda per tre mesi e passa e poi, una mattina,
dalla finestra aperta arriva quel filo d’aria freddo che ti fa coprire con il
lenzuolo. Ti svegli e la cervicale pulsa e il naso è chiuso che hai bisogno di
mezza giornata per stapparlo. La notte dopo è freschino, ti fa strano
riprendere una maglietta e indossarla, ma ci può stare. Una settimana dopo, hai
già tirato fuori dall’armadio il pigiama (o almeno il pantalone), la copertina
sul letto e dormi con la finestra chiusa. E allora capisci che il passaggio
successivo sarà il pigiama di pile. Viene male solo a pensarci. Quando poi la
copertina compare sul divano davanti alla televisione, solo allora, quel
momento sancisce la tomba dell’estate.
2 – Le cimici.
Non quelle nascoste nei mobili o negli
angoli impervi (nei quali di solito albergano i ragnetti) che nei film
americani ci hanno abituato a scene inimmaginabili nella realtà di casa ma che,
evidentemente, comuni in certi ambienti, ecco, no, non quelle. Le altre, quegli
insettini verdi, quadrati, che quando volano e sbattono le ali sembrano
elicotteri e poi fanno dei cristi della madonna contro qualunque muro, vetro,
albero come nemmeno Mr. Magoo seguite da uno Stock onomatopeico che
ti dici cazzo è? Insetti odiosi come tutti gli
insetti, per altro nocive per piante e alberi, la prima cosa che ti insegnano
da piccola è non ucciderle perché poi fa una
puzza del signore. Allora impari a prendere un foglio di carta e a farle camminare sopra in
modo da buttarle fuori dalla finestra o dal balcone. Ora, in città
probabilmente si vedono poco, tanto che io quando abitavo a Rimini non me n’è
mai entrata una in studio, una cavalletta inspiegabilmente sì tramortita poi
con un profumo per il quale avevo disegnato l’etichetta, ma cimici mai. aDes,
Montemarciano non sarà una metropoli ma non è nemmeno quella campagna per
cui ci vogliono tre quarti d’ora prima di trovare un paese con il bar –
tabacchi (che nella mia visione di campagna, quando un paese ha un bar –
tabacchi. una pompa di benzina, un alimentare, un’edicola, una scuola almeno
materna, il campo da calcio con due tribune e una biblioteca hai lo stretto
necessario per viverci bene), Diciamo che è campagna civilizzata e ovviamente
quando hai spazio ti fai gli orti, i campi di ulivi, cose così e ovviamente hai
gli insetti che queste cose ti portano. Tipo le cimici. L’altro giorno, quando
si tenevano le finestre ancora aperte, credo di averne buttate fuori almeno
quattro, che poi è stata l’Ila nella misura in cui se lei ne butta fuori
quattro, io ne butto fuori una. Comunque. Che poi c’è proprio un momento
preciso nel quale continui a mettere il fornelletto con la pastina per
abitudine e ti accorgi che sono giorni che nemmeno alle 18 (orario
dell’aperitivo casalingo nel quale sei passata dalla birra al vino rosso con
una naturalezza preoccupante) le zanzare fanno fatica a vedersi (se non in
quelle ultime serate calde nelle quali ‘ste stronze sono incazzate a bestia che
lo sanno che vanno a morire) e compaiono le cimici, quasi a compensazione, una
staffetta tra loro. Insomma, in ogni stagione ci sono insetti insopportabili
che rompono il cazzo.
3 – Il pantaloncino da calcio e la canotta nell’armadio.
Fino a una settimana fa, canotta e pantaloncino da calcio erano
l’abbigliamento quotidiano quando non era il costume da bagno. Poi,
all’improvviso, una mattina, con il naso colante sempre per quella finestra
aperta che poi hai dovuto quantomeno accostare e infine chiudere, capisci che
la tua pelle ha freddo. Così, il pantaloncino da calcio e la canotta vengono sostituiti
da una maglietta a manica lunga in cotone e pantaloni della tuta in felpa.
Fortunatamente, almeno in casa porti ancora l’infradito così che una parvenza
di estate sembra perdurare.
4 – Le calze.
Ecco. Quando inizi a infilarti le calze
con ancora le infradito forse è il momento di farsi qualche domanda e accettare
che l’estate è proprio andata anche se una parte di te è convinta che sono solo
alcuni giorni freschi e che il caldo tornerà. No, non tornerà. E magari riporre
nella scarpiera le amate infradito per sostituirle con le ciabatte chiuse.
Quando poi questo accade (a me succede lunedì 28 settembre uffa), così come
accendere i caloriferi, come dice il Bernocchi alla fine di ogni suo Canicola su
Radiorai2: è fatta!
5 e 6– Fabio Volo alle 9 su Radio
Deejay.
Nella mia giornata lavorativa, Radio
Deejay è praticamente sempre accesa. Riesco ad ascoltare più o meno tutte le
trasmissioni, ma solo due mi irritano così tanto da addirittura spegnere la
radio e preferire il silenzio. Vero anche che ascolto diversi podcast di
trasmissioni che in diretta faccio fatica a seguire, vuoi per l’orario
contrario, vuoi per mancanza fisica di una radio sottomano o wifi assente e
dalle 14 mi rifaccio, ma due degli appuntamenti su Deejay proprio mi rifiuto di
ascoltarli. Il primo è Ciao Belli, che vabbè’ capita
anche nell’orario di pranzo e dunque Studio
Sport, quindi spegnere la radio è anche un’onesta pausa per preparare da
mangiare e prendermi un’oretta di riposo. Il secondo è Il Volo
del mattino. Cioè, dire che mi parte male la giornata quando mi sveglio e sento come
prima voce la sua, è un eufemismo. Che poi il Trio Medusa è anche bravo e ha
spunti interessanti, aprendoti al giorno nuovo, rilassa ed è divertente. Poi,
alle 9, il dramma: la voce strozzata e irritante di Fabio Volo. Radio spenta
diretta. Inaffrontabile. E se per i libri ancora non posso dire nulla a
riguardo (ma presto lo farò), io il personaggio Fabio Volo non lo sopporto. E
sì che sai, accendi la radio, la lasci accesa mentre ti prepari il caffè, fai
colazione, dai una scorsa ai tuoi giornali quotidiani, insomma, è quell’ora in
cui inizi a svegliarti ma hai anche il letto da rifare, lavarti magari e le
tazze e tazzine nel lavello, e dire di prestargli attenzione magari è un’iperbole.
Ma dioppo vieni in studio e ti accendi la prima sigaretta della giornata e lui
parla alla radio è una roba da chiuderti la vena in due nanosecondi. Poi la sua
risatina o quando fa le battute ti fa scattare all’istante un istinto omicida
che non pensavi di possedere. Il Volo
del mattino male male male. Purtroppo, la sua trasmissione riprende alla
fine di settembre, il che significa che, con la pioggia e il freddo, torna pure
lui. Stare a casa a scrivere (che è già più che sufficiente) no?
Naturalmente, il primo lunedì che va in onda sto ben attenta a non accendere la
radio prima delle 10 e, nonostante questo, alle 12 me lo ritrovo da Cattelan e
niente, non c’è scampo anche perché mette la pulce sul libro nuovo. Cioè solo
lui che dice sto scrivendo è una roba che
nella tua testa cozza e ti fa rabbrividire come, non so, come se l’avvocato
Prisco dall’alto del paradiso urlasse quaggiù Forza
Milan! Cioè, capite lo sconcerto?
7 – Le partite di calcio ogni sera e l’inizio delle coppe. (tutto se
sarà possibile causa COVID)
Che dire? Per me, rilassamento totale. E sì, alla Fantozzi insomma. E poi è
anche la stagione lunga, ‘che in giugno ci sono gli Europei! (e se fossi una
che usa le faccine ne metterei pure una).
8 – Le zuppe.
Prima fa troppo caldo per cenare con qualunque pasto caldo. Persino una
pasta, a meno che non sia fredda, ti fa storcere il naso, figurarsi anche solo
immaginare brodi e roba ustionante al palato. Certo, se vai alla sagra del
brodetto di pesce o ti fai un antipasto di vongole e cozze ci può stare, nei
limiti della temperatura esterna. Eppure, basta una serata fresca, un paio di
brividi e la voglia più di vino rosso che di birra ed eccoti a cucinare una
zuppa calda come non facevi da mesi.
9 – Il passaggio dell’aperitivo casalingo delle 18 dalla birra al vino
rosso.
Assolutamente naturale. E assolutamente automatico.
10 – La razione di gelato quotidiana che diventa una ogni tanto.
Per tre mesi non è esistito un solo
giorno senza mangiare gelato, tanto che sei riuscito a collezionare diversi barattoli
della Sammontana il cui
riutilizzo è a tutt’oggi ancora un mistero, ma intanto campeggiano nel tuo
studio come se il canestro da basket, la spada laser, la testa lego gigante e
quella di Stitch e altri giocattoli non fossero sufficienti da rendere il
tuo studio un luogo di perdizione. Con il gelato più di una volta ci hai anche
cenato, gelato che nella tua dieta estiva era essenziale e la base comune. Poi,
questo freschetto qui, le finestre chiuse e la copertina sul divano e l’idea di
toccare quell’amato barattolino ghiacciato ti fa rabbrividire in due
nanosecondi.
11 – La zucca e simili.
E con loro, le castagne, le pannocchie,
il cavolfiore, i funghi, il tartufo e insomma, alcune verdure
di stagione da frullare per farsi le zuppe di cui sopra o sughi che solo a
guardarli prendi due chili come ridere.
12 – Le tisane serali.
Cena con le amiche finita e poi la
domanda: Facciamo una tisana? Se c’è una roba
che proprio non mi piace sono le tisane. Di tè verde ne berrei a litrate, ma le
tisane no: non mi piace l’odore, non mi piacciono quelle infusioni con colori
strani, non mi piace il sapore. Eppure il loro successo è incondizionato da
tempo, figuriamoci poi con il numero esorbitante di vegani e vegetariani che,
per carità, massimo rispetto, ci sono oggi. Ma quando nei pub nei quali era un
miracolo se uscivi dritto, sono comparse le luci soffuse, le teiere e i
biscotti secchi, be’, la rivoluzione era in atto e tu non potevi farci niente.
E se prima fumare e bere era una strana forma di omologazionei, oggi ti
guardano e, al contrario, schifati, ti guardano e ti chiedono: ma fumi
e bevi ancora?!? oppure: non hai ancora smesso?!? pieni
di ribrezzo e con gli angoli della bocca in giù. Moderatamente, fumo a
parte, un bicchierino di vino al giorno non ha mai fatto male a nessuno.
13 – Il buio alle 20 di sera che in agosto ti rattrista ma ne prendi atto,
in settembre ti butta proprio giù.
In agosto non te ne accorgi perché ancora fa caldo, ma, cavolo, inizia
l’anticipo delle 18 e la luce diventa più buia. E poi peggio: inizia l’anticipo
delle 19 e fuori il nulla, buio pesto. E non è una varietà del sugo genovese al
basilico.
14 – La pioggia e le prime foto sui social della neve.
Che piova vabbe’ ci sta. Allagamenti pace, ormai piove e fa danni. Ma la
neve a settembre (contestualizzate in località montanare), che cazzo è? Siamo
in Minnesota?
15 – Il cappotto e simili.
A fine agosto, giusto per scaramanzia,
nella borsa metti scarpina e maglioncino di cotone leggero perché non si sa
mai, tipo vai a cena in un ristorante di pesce sulla spiaggia e vabbè’ a riva
quella brezzolina umida arriva sempre. Poi esci direttamente con il
maglioncino. Successivamente, nella borsa, proprio perché non si sa mai, ci
cacci il giubbottino di pelle e simili. Infine addirittura con il cappotto, che
poi di solito passi subito al piumino leggero (li ho già visti in giro per
altro) perché come si suol dire non
esistono più le mezze stagioni. Insomma, hai almeno cinque o sei
giubbottini, tra quello di pelle, mini trench, sportivi, antipioggia, antivento
e niente, dopo quello di pelle una mattina ti ritrovi a indossare il Woolrich e ciao, inverno
pieno. E il tuo amato e costosissimo cappottino bianco stile montgomery anche quest’anno
rimane nell’armadio.
16 e 17– L’avvento delle
scarpe.
A me succede venerdì 25 settembre. Avete
presente quando le paure inconsce riemergono improvvisamente perché accade
qualcosa che le fa scattare automaticamente? Ecco, se c’è una roba che mi manda
ai matti è il passaggio da infradito a scarpe chiuse, chiuse escluse le
ballerine che nella mia visione di moda non possono essere inserite in
nessuna categoria. Durante l’estate, o almeno dal primo caldo, le scarpe chiuse
(le varie Clark’s, Nike, Ugg scarpe così)
vengono fiondate direttamente nella scarpiera e vengono riprese immediatamente l’infradito,
che poi non toglierò fino all’inizio di ottobre. Infradito che diventano le mie
migliori amiche, da casa alla spiaggia alla passeggiata in paese sono sempre ai
miei piedini. Nelle uscite serali invece vario tra espadrillas e sandali
aperti. Le ballerine sono quelle incatalogabili che si usano in primavera e in
autunno, in quelle giornate da via di mezzo nelle quali non è troppo freddo e
non è troppo caldo. Quindi, arrendersi allo svegliarsi al mattino e dover
uscire ed essere consapevoli che le espadrillas sono leggere e le ballerine se
piove forte ciao, è stato avvilente, come il solo riaprire il cassetto
delle calze e doverle scegliere. E il fatto che calze e scarpe sarà la
quotidianità, be’, male male male.
19 – Le foglie e “i colori dell’autunno”.
Le amiche che vanno a New York e hanno
avuto la possibilità di visitarla in stagioni diverse, ti racconteranno che la
primavera se la batte con l’autunno. L’autunno per i colori di Central Park e
bla bla bla. Anche se ti basta guardare qualche film, qualche foto o anche solo
fuori dalla finestra e i suoi colori ti stregano
lasciandoti senza fiato. Belli sono belli, per carità, vai però a camminare su
un letto di foglie ancora bagnaticce dopo la pioggia con le Clark’s e dimmi se
almeno un paio di volte non ti sguilla la scarpa arrischiando la tua incolumità
fisica.
20 – E poi, drammaticamente, dicembre quindi Natale.
A questo punto, ti sei abituato al
piumino, ai maglioni in lana, alla nebbia e al buio che già alle 16,30 taglia
le giornate. Eppure, ripensi a fine settembre e il tempo è volato. Ed è già, di
nuovo, Natale e tutto ciò che questo significa, cioè pensare ai regali,
chiudere l’anno con le commissioni, correre a destra e a manca per almeno dare
un’occhiata ai regali papabili e fattibili, iniziare a spuntare la lista che a
ogni Natale non capisci perché è sempre più lunga, le cene perché c’è chi
parte, i viaggi dietro alla famiglia, insomma, semplicemente Natale. E la
bilancia che impazzisce.
A questo punto, come arriva l’inverno non ti accorgi nemmeno del passaggio
perché tanto l’abbigliamento pesante lo indossi da almeno due mesi e poi
continui a impazzire (e ne hai piene le palle) dietro ai regali.
A questo punto, piuttosto, se te lo puoi permettere economicamente, costume e
telo da bagno li ritiri fuori solo se vai ai Caraibi. Siccome a me è capitato,
vi posso giurare che, squali tigre a parte le cui pinne spuntavano qualche
metro più in là della rete, essere abbronzati e in costume in dicembre, è una
figata pazzesca. Certo, un po’ meno l’albero di Natale sotto un sole cocente e
con una temperatura di 32 gradi e tu in infradito, ma fa un vallo lo stesso
anche perché cazzo ti frega, sei in vacanza.
A questo punto, se non sei ai Caraibi, sei anche ingrassato, e allora inizi già
a farti le seghe mentali tipo programmino dell’anno prossimo e ti dici
incoraggiandoti da solo: il mese
prossimo inizio a camminare (o andare in palestra o vattelapesca). Poi il
mese dopo non inizi perché fa un freddo del signore e ti ritrovi ad aprile (con
maggio alle porte) con ancora i tuoi chili e quando è giugno hai iniziato
davvero a rimetterti in forma; peccato che ora che in forma, lo sei per
davvero, è di nuovo settembre. E di nuovo autunno. Uffa.
https://www.mabelmorri.it/2015/09/29/20-cose-che-ti-fanno-capire-che-e-autunno/
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