“La
gratificazione sta nel fare, non nei risultati.” James Dean
L'icona del ribelle
Era il tardo pomeriggio, già tendente
alla sera, del 30 settembre 1955: nella statale 466 in direzione di Salinas,
California, una Porsche Spider non poté evitare la collisione con un
altro veicolo che, forse per una distrazione dell'autista, ne aveva invaso la
corsia. L'impatto fu devastante: per il conducente dell'auto non ci fu nulla da
fare, era deceduto sul colpo e la sua auto ridotta in pezzi. Alcune ore più
tardi, tra lo sgomento generale, cominciò a diffondersi la notizia che James
Dean era morto. Aveva 24 anni.
Oggi, a oltre cinquant'anni dalla
scomparsa dell'attore e dalla nascita del mito, quella di James Dean è un'icona
che la cultura giovanile ha introiettato, ormai quasi inconsapevolmente, e la
cui leggenda continua a perpetuarsi da più generazioni, senza peraltro veder
diminuire il suo sottile fascino e la sua attualità. Non è facile trovare un
altro personaggio che, al suo pari, ha influenzato tanto, e così a lungo, i
comportamenti, il modo di vestire, le mitologie metropolitane dei giovani; al
punto da potersi affermare che in ogni giovane c'è riposto qualcosa che
appartiene a James Dean, prototipo di ogni teenager.
Negli stessi anni in cui se ne
cominciava a definire la leggenda, il rock'n'roll muoveva i suoi primi passi e
la figura del "ribelle" incarnata dall'attore fu, sin dall'inizio,
assunta come propria dalla nuova tendenza musicale: negli States nasceva la
cultura giovanile, che avrebbe presto conquistato e rivoluzionato il mondo.
Così come della sua precoce morte, della
vita di James Dean si è scritto a lungo per decenni, spesso con accenti quasi
epici che finiscono per generare una totale indistinzione tra vita privata e
pubblica ma, soprattutto, tra vita e arte. Questa forma d'indistinzione, se da
un lato può rappresentare un limite, perché spesso si corre il rischio di
mettere in secondo piano quelli che sono gli indubbi meriti artistici
dell'attore rispetto a un certo gusto per l'aneddotica biografica dell'uomo,
dall'altro lato è forse al tempo stesso inevitabile per capire un personaggio
enigmatico e singolare come James Dean, che recitò nel modo in cui visse, e
visse come recitò sul grande schermo.
James Byron Dean nacque l'8 febbraio del
1931 a Marion, nell'Indiana, in quello che allora era uno tra gli stati
americani più depressi e rurali. La sua prima infanzia fu segnata dalla
prematura scomparsa della madre e dal difficile rapporto con il padre. Fu
amorevolmente allevato dagli zii e, appassionatosi sin da giovane al teatro e
ad altre attività creative, cominciò a sviluppare una personalità inquieta,
eccentrica, ambiziosa, e che sarebbe rimasta carica di conflitti adolescenziali
mai risolti.
Alcuni anni dopo, furono soprattutto
queste sue caratteristiche peculiari a convincere il regista Elia Kazan che il ventitreenne James Dean - il quale aveva
studiato recitazione, frequentato l' "Actors Studio" e aveva già alle
spalle diverse esperienze teatrali, ma anche radiofoniche e televisive -
possedesse la personalità più adatta per interpretare il difficile personaggio
di Cal Trask nel film La valle dell'Eden ("East of Eden", 1955),
tratto dall'omonimo romanzo di Steinbeck. Per il ruolo, egli fu preferito sia a Marlon Brando, sia a Montgomery Clift: gli altri due più anziani
"ribelli di Hollywood", entrambi modelli di riferimento per il
giovane James Dean, non possedevano a parere di Kazan la stessa carica emotiva,
lo stesso risentimento nei confronti della figura paterna, la stessa giovanile
irruenza, la medesima profonda infelicità.
Fu così che al giovane attore, per la
prima volta, si aprirono le grandi porte della celebrità e del successo, da
egli a lungo anelato.
Ma, se James Dean aveva bisogno di
Hollywood per appagare la sua innata e irrefrenabile ambizione, anche Hollywood
aveva bisogno di attori come lui. In quegli stessi anni, infatti, la celebre
"fabbrica dei sogni" si stava aprendo anche a un nuovo modo di far
cinema: più libero e indipendente, caratterizzato da uno stile più realistico,
pregnante e meno auto-celebrativo, attento ai fenomeni sociali e soprattutto al
nascente universo giovanile, che il cinema stesso contribuì a definire ed
alimentare.
James Dean restò a Hollywood appena
diciotto mesi ed ebbe il tempo di recitare solo in tre pellicole ma, pur in
questo esiguo arco di tempo, rivoluzionò non soltanto la vita di milioni di
teen-ager, ma anche lo stile di recitazione di parecchi attori
cinematografici. Truffaut scrisse
di lui, dopo la sua morte: "Dean va contro cinquant'anni di cinema. Lui
recita qualcos'altro da quello che pronuncia, il suo sguardo non segue la
conversazione, provoca una sfasatura tra l'espressione e la cosa espressa. Ogni
suo gesto è imprevedibile. Dean può, parlando, girare la schiena alla cinepresa
e terminare in questo modo la scena, può spingere bruscamente la testa all'indietro
o buttarsi in avanti, può ridere là
dove un altro attore piangerebbe e viceversa, perché ha ucciso la recitazione
psicologica il giorno stesso in cui è apparso sulla scena".
Solitario, irrequieto, dal fascino un
po' tenebroso, sin dal suo esordio in La valle dell'Eden, questo enfant
terrible di Hollywood fu considerato un eroe dalla gioventù americana,
dimostrandosi in grado di rappresentarne lo straniamento, di denunciarne
l'incomprensione, di esorcizzarne la solitudine. Il film mette in scena la
storia del burrascoso rapporto tra un padre e il minore dei suoi due figli, che
nutre risentimento nei confronti del genitore perché, a differenza del
fratello, non si è mai sentito amato e apprezzato. James Dean, per il proprio
simile vissuto personale, caratterizzò in modo così intenso il personaggio di
Cal Trask, infelice e incompreso, che la sua non era più soltanto un'ottima
interpretazione cinematografica; era qualcosa di ben più potente e pregnante
che andava oltre la finzione filmica, la storia narrata: improvvisamente, fu
assunto come portavoce di un'intera giovane generazione che, per la prima
volta, cercava di affermare sé stessa. Negli stessi mesi, un altro fenomeno
rivoluzionario, il rock 'n' roll, faceva la sua clamorosa comparsa.
Se "La valle dell'Eden" mise
in luce una nuova rivelazione del cinema, e cominciò già a definire i tratti di
un simbolo generazionale, fu però soprattutto la seconda interpretazione,
Gioventù bruciata, quella più memorabile e che consegnò alla posterità la
leggenda di James Dean nella forma in cui è stata tramandata da allora: è
l'immagine risultante da "Gioventù bruciata", infatti, a esser quella
più intimamente legata al mito dell'attore anche perché, in questo film, l'uomo
Dean e il personaggio da lui interpretato, Jim Stark, grazie anche a una
sapiente regia, sembrano davvero giungere a identificarsi del tutto; in questo
modo, il film si trasforma quasi in un documento biografico dell'attore, un
frammento della sua breve vita e, allo stesso tempo, anche una premonizione
della sfortunata morte che, ancor prima che il film uscisse nelle sale, egli
avrebbe trovato. "La sua angoscia era autentica sia sullo schermo che
nella vita", ebbe a dire di lui Andy Warhol alcuni anni dopo. Per delle sinistre
coincidenze, anche gli altri due giovani attori principali che lo affiancavano
- Natalie Wood e Sal Mineo - avrebbero trovato entrambi una
tragica morte precoce in circostanze cupe e misteriose.
Gioventù bruciata ("Rebel Without A
Cause", 1955), diretto da un talentuoso Nicholas Ray, mette in scena la
drammatica e toccante storia di tre adolescenti alle prese con il difficile
passaggio all'età adulta e con la faticosa ricerca di una propria identità. Il
mondo degli adulti, quello dei genitori, è visto con distacco e profonda
estraneità, poiché incapace di trovare delle risposte al disagio giovanile e,
soprattutto, di trovarle in fretta. Ne consegue una totale incomunicabilità tra
i due orizzonti: quello adulto, tratteggiato come debole, assente e ipocrita;
quello dei giovani, dipinto come sentimentale e idealista. L'insicurezza
esistenziale, la profonda solitudine, la mancanza di punti di riferimento,
porta i giovani protagonisti a cercare la propria strada anche a costo di
rischiare di perderla. Alla fine, la storia d'amore tra Jim e Judy sarà forse
per i due giovani un veicolo di rinnovamento e di approdo a una vita matura, ma
che sia al tempo stesso consapevole e coraggiosa; a farne le spese sarà, però,
il più piccolo e indifeso dei tre protagonisti: Plato, vittima innocente di una
società malata e distratta.
In "Gioventù bruciata",
diventato presto un vero cult-movie, fanno la loro piena comparsa anche quelle
tematiche che caratterialmente accompagnano, sin dalla più giovane età, la
breve e turbolenta vita di James Dean: la competitività, la continua messa alla
prova di se stessi, la fretta di vivere, la sfida alla morte. Come è noto,
infatti, l'attore fu nel corso della propria vita un "ribelle" non
certo meno che negli schermi cinematografici, conducendo una vita intensa,
frenetica e spesso sregolata.
Originario dell'Indiana, patria
delle 500 miglia di
Indianapolis, Jimmy - come veniva chiamato dagli
amici - nutriva una passione smisurata per le moto e le auto da corsa, con le
quali trascorreva molto tempo, spesso partecipando anche a competizioni
ufficiali. Il giorno in cui morì, era diretto a Salinas per una gara a cui
avrebbe preso parte il giorno seguente. L'ironia della sorte volle anche che,
poco più di un mese prima dell'incidente, Jimmy avesse partecipato come
testimonial a uno spot televisivo sulla guida sicura. In quell'occasione, le
sue parole furono: "Guidate con calma" - e poi, rivolgendo lo sguardo
verso la telecamera, con un sorriso enigmatico aggiuse: "Perché la vita
che salvereste potrebbe essere la mia". Sebbene in seguito pare sia stato
accertato che l'incidente di cui fu vittima non fosse legato a un eccesso di
velocità, il triste epilogo rappresentò l'esito finale di una vita vissuta
sempre sul filo del rasoio. Uno dei motti da lui inventati era: "Sogna
come se potessi vivere in eterno, vivi come se dovessi morire oggi". Così
visse, così morì.
Quel 30 settembre del '55, l'America dei
giovani - e non solo - si ritrovò in lacrime per la perdita di un eroe; si
assistette a scene di delirio tragico paragonabili solo a quelle che,
trent'anni prima, avevano accompagnato la scomparsa di Rudolph Valentino.
Appena una settimana prima della tragica collisione alla guida della sua
"Little Bastard" - aveva soprannominato così la nuovissima Porsche 550 -, l'attore aveva ultimato a Hollywood, al
fianco di Liz Taylor,
le riprese principali del kolossal Il Gigante ("Giant", 1956),
diretto da George Stevens; la sua terza e ultima interpretazione
cinematografica, sebbene non da protagonista. Il film uscì nelle sale un anno
dopo la sua morte e fu accolto con grande clamore. Alcuni mesi più tardi, Hollywood
offrì il primo di tanti futuri tributi al suo giovane e sfortunato eroe: The
James Dean Story (1957), un vivace documentario co-diretto da un giovane Robert Altman, e la cui colonna sonora ebbe come interprete
d'eccezione il jazzista Chet Baker (il
quale, anch'egli bello e maledetto, prese a esser soprannominato il "James
Dean del jazz"). Nel film, tuttavia, l'intento documentaristico finiva in
realtà per rivelare i propri limiti, facendo assumere all'attore da poco
scomparso già un'intensa aura di leggenda. Leggenda che, da allora, non sembra
conoscere tramonto.
Dalla metà degli anni 50 ai nostri
giorni, James Dean è stato oggetto di un vero e proprio culto: per decenni,
migliaia e migliaia di fan lo hanno venerato e imitato, ne hanno commemorato la
morte, ne hanno visitato la tomba, ne hanno collezionato cimeli e oggetti,
alcuni hanno persino partecipato a competizioni in suo ricordo. La sua immagine
è stata abbondantemente utilizzata e rielaborata - in modo più o meno diretto -
dall'industria del cinema, della televisione e della moda. Si può anche dire
che nessuno abbia contribuito quanto lui a definire quello che è ancora oggi il
look più diffuso nei giovani di tutto il mondo: jeans e t-shirt, indumenti
ormai considerati inseparabili dallo stesso stauts di giovani. Ma forse è
nell'universo del rock, e delle sue proprie mitologie, che l'influenza
dell'attore è stata più pervasiva e autentica. Già all'indomani della sua
scomparsa, infatti, il nascente rock&roll ne assunse non soltanto gli
aspetti estetici, pur indispensabili per la definizione dei novelli rocker, ma
anche l'anarcoide spirito di ribellione: Elvis, per consolidare la propria immagine, adottò
strategicamente un look e delle movenze "animalesche" alla James
Dean, del quale era un fanatico ammiratore; Gene Vincent ed Eddie Cochran,
invece, giunsero a un'identificazione spirituale ben maggiore e, mentre il
primo la scampò per due volte, il secondo trovò, come l'attore, una sfortunata
e precoce morte sull'asfalto.
Il retaggio mitico del ribelle di
Hollywood, però, non si limitò solo al primo rock&roll bensì, da allora in
poi, divenne definitivamente parte integrante della cultura musicale del rock tout
court: dai primi rock&roller agli alfieri dell'underground, dai surfisti ai
punk, e fino ai giorni nostri, la figura di James Dean accompagna, con le sue
forti connotazioni, l'intera storia del rock; incarnandone quell'anima ribelle
e dannata, ma anche fragile e fanciullesca, caratterizzando quella ricorrente
immagine da "duri con il cuore tenero" e sfidando persino lo scontro
generazionale, poiché simbolo così forte da essere assunto tanto padri quanto
dai figli. Se già il giovane Bob Dylan considerava James Dean un idolo e ne lamentò la
morte, alcuni anni dopo i Beach Boys gli dedicarono una canzone, un tributo a
nome del popolo del surf.
Dall'altra parte dell'oceano,
invece, John Lennon giunse addirittura a dichiarare che "senza
James Dean non sarebbero mai esistiti i Beatles". Lo stesso Lennon, nella copertina del suo
"Rock'n'roll", era ritratto abbigliato e atteggiato "alla James
Dean" e sembrava così unire, all'omaggio al glorioso rock'n'roll
costituito dal suo disco, un preciso riferimento all'attore, rendendone così
esplicito il profondo legame spirituale intessuto con la cultura della musica
rock. I primi anni 70, poi, assistettero al fiorire del culto di Jim Morrison,
senza dubbio debitore di James Dean. Alla fine dei 70, fu la volta del bassista
dei Sex Pistols, Sid Vicious,
uno dei simboli più eloquenti di una nuova "gioventù bruciata", a
esser visto da alcuni come un'ennesima incarnazione, ben più perversa e
trasgressiva, dell'angelo maledetto di Hollywood. Nel corso degli anni 80, fu
Morrissey - cantante degli Smiths - a dar voce agli aspetti più intimisti e
malinconici dell'attore, alla cui memoria egli dedicò persino un libro
("James Dean Is Not Dead", 1983). Negli anni 90, infine, qualcuno
giunse a paragonare il tormentato e alienato Kurt Cobain, leader dei Nirvana, a un moderno James Dean il
quale, tra l'altro, ritratto nel '54 in una celebre sequenza di fotografie,
aveva introdotto con decenni di anticipo anche una sorta di portamento
"grunge" ante litteram.
Forse non è stata la scomparsa di James
Dean a introdurre per la prima volta la mitizzazione della morte prematura, ma
fu sicuramente la sua a offrire una nuova, moderna, formulazione a quell'ideale
romantico; proprio lui che di un celebre poeta romantico vissuto intensamente,
Byron, portava anche il nome. Fu James Dean infatti l'interprete per eccellenza
del detto "live fast, die young"; anch'esso, fu fatto proprio
ed esaltato dal rock: da Jimi Hendrix a Jim Morrison,
da Nick Drake a Tim Buckley, da Sid Vicious a
Ian Curtis, fino a Kurt Cobain, nell'immaginario del rock, la precoce morte
biologica sembra costituire il definitivo lasciapassare per l'immortalità e la consacrazione artistica.
Ma chi fu veramente James Dean? Il
giovane attore di talento la cui promettente carriera fu interrotta da una
morte prematura, oppure uno dei prodotti dell'immaginario collettivo americano?
Egli fu sicuramente, e più di altri, l'una e l'altra cosa insieme. Solo in
America, terra giovane di storia e dotata di uno straordinario potere
mitopoietico, poteva fiorire la moderna leggenda di James Dean che, simile a un
eterno Peter Pan, occupa uno dei posti d'onore nell'Olimpo delle
"divinità" americane: quello che, tra le altre, ospita le stelle
di Elvis Presley e Marilyn Monroe e
che rappresenta uno dei custodi dell'American dream, alimentato dalle proprie
stesse mitologie. Ma, d'altro canto, l'icona di James Dean sembra anche
rappresentare un caso a sé.
Perpetuandosi e rinnovandosi in modo
singolare, e per certi versi unico, quella dello sfortunato attore appare,
rispetto alle altre, un'immagine ben più profonda: più reale e autentica ma,
insieme, più universale e indefinita. La grandezza di James Dean, e il segreto
del suo incredibile e duraturo successo, consistette nell'esser riuscito,
grazie anche al suo indubbio talento, a infondere le pellicole di qualcosa
d'unico, come lo era la sua irrequieta personalità e, allo stesso tempo, a
rendersi interprete universale non soltanto dei giovani americani del
dopoguerra, ma anche dello spirito profondo dei giovani d'ogni tempo.
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