La storia del
Teatro alla Scala
Oggi Google celebra l'inagurazione del
Teatro alla Scala, avvenuta il 3 agosto 1778, 238 anni fa. Ecco la storia di un
tempio della lirica che tutto il mondo ci invidia.
Il Teatro alla
Scala (per tutti semplicemente La Scala) è nato da un incendio. Fino al 26
febbraio del 1776, il teatro dei milanesi era il Regio Ducale, che si trovava
più o meno dove oggi è Palazzo Reale. Quando fu distrutto, l’imperatrice Maria
Teresa d’Austria decise di farne edificare uno nuovo sull’area della chiesa
trecentesca di Santa Maria della Scala (così chiamata in onore di Regina della
Scala, moglie di Bernabò Visconti). Nel 1778 l’architetto Giuseppe Piermarini
portò a termine il teatro, che fu inaugurato il 3 agosto con un’opera di
Antonio Salieri, L’Europa
riconosciuta.
DOPPIA ANIMA. Marie-Henri
Beyle Stendhal rimase a bocca aperta per essersi trovato di fronte, scrisse,
«al più bel teatro del mondo, quello che dà il massimo godimento musicale. È
impossibile immaginare nulla di più grande, più solenne e nuovo». Come lo
scrittore francese, anche noi oggi siamo indotti a considerare la Scala
immutabile nel tempo. Ma le cose non stanno proprio così. Il teatro di Milano
ha cambiato varie volte pelle, come un gigante della cultura che si è adattato
alle epoche. Cedendo anche alle frivolezze.
Se vi fossimo
entrati fra il 1778 e il 1786, avremmo trovato addirittura milanesi alle prese
con il gioco d’azzardo. Anche quando si svolgevano gli spettacoli, che vedevano
impegnati famosi soprani e contralti castrati, si giocava nei palchi e nei
retroparchi, tra il fumo aspro dei sigari e qualche imprecazione favorita
dall’alcool.
I palchi
avevano proprietari e affittuari che facevano quello che volevano: si potevano
scegliere anche arredi e ornamenti, ciascuno doveva provvedere in proprio al
riscaldamento e all’illuminazione a olio. C’erano anche botteghe e un affollato
ristorante. Sul palco e in platea si svolgevano riunioni mondane, danze e
spettacoli leggeri. Si potevano tenere anche chiassose feste. Era, insomma, un
centro cittadino aperto, anche se quasi esclusivamente destinato
all’aristocrazia e alla borghesia. Ma come era nato il tempio in cui stelle
come Gioachino Rossini, Giuseppe Verdi, Giacomo Puccini e Arturo Toscanini,
Maria Callas ed Herbert von Karajan e più avanti Claudio Abbado hanno celebrato
il rito della musica?
LA STORIA. Come detto, il
Teatro alla Scala venne realizzato per decreto di Maria Teresa d’Austria.
Doveva essere il più grande e la stessa Opera di Vienna venne poi costruita sul
suo esempio. Nacque dalle ceneri del Teatro Regio di Villa Reale, distrutto da
un incendio il 23 febbraio del 1776. E dalle macerie della chiesa pericolante
di Santa Maria della Scala, demolita per fargli posto, da cui prese
il nome.
Il progetto
dell’architetto Giuseppe Piermarini fu realizzato con il contributo dei 90
proprietari di palchi del Regio andato in fumo. All’epoca non esisteva la
piazza davanti alla facciata (oggi Piazza della Scala) e dato che l’area era
angusta per la presenza di vecchi palazzi, Piermarini studiò il porticato ad
archi per dividere il passaggio delle carrozze da quello dei pedoni. Il 3
agosto 1778 avvenne l’inaugurazione: in scena L’Europa riconosciuta, di Antonio
Salieri.
RIVOLUZIONARIA. Appena
un anno dopo i tempi sono già cambiati. Con la costituzione della Repubblica
Cisalpina vengono tolti tutti gli stemmi nobiliari dai palchi. Con l’arrivo di Napoleone è
abolito il palco reale. Nel 1807 il teatro viene rinnovato con decorazioni
sulla volta e i palchi: medaglioni, leoni alati, suonatori di flauto che si
affacciano sui saloni ancora oggi. Nel 1813 viene allargato il palcoscenico a
spese di alcuni edifici demoliti nell’attuale via Verdi.
Ma è nel 1858
che il teatro inizia a troneggiare visivamente: vengono demolite tutte le
costruzioni fra la facciata e Palazzo Marino, dove attualmente risiede il
consiglio del Comune di Milano. La ditta Ricordi apre i suoi uffici a sud del
teatro. E non è un caso. A quel tempo, tutti gli aspetti della produzione
artistica erano sotto il controllo di quella che oggi è una casa discografica,
ma allora era un gigante nel settore degli spartiti musicali. Non c’era corda
che suonasse alla Scala se Ricordi non voleva. I compositori vendevano alla
premiata ditta i diritti delle loro musiche, che venivano poi rivendute sotto
forma di spartiti per essere eseguite da studenti e musicisti in tutta Europa.
Due anni dopo la Scala si accende di illuminazione a gas. L’energia elettrica
fa il suo ingresso in teatro nel 1883.
IMMORTALE. La
storia della Scala è come quella di un “grande organismo”, dalla definizione
del biologo-evoluzionista Edward
Wilson. Un grande organismo che è frutto della collaborazione di molti
individui. Ma, mentre gli individui muoiono, lui continua nel tempo. Se è
un’istituzione umana, a restare vivi nei secoli non sono tanto i “geni” (Dna)
dei vari Piermarini, Verdi o Rossini, ma i loro “memi” (così definiti
dall’evoluzionista Richard Dawkins), cioè unità di pensiero (idee o note
musicali). Ma un grande organismo si adatta all’ambiente. E così il Teatro alla
Scala da istituzione austriaca (che pure aveva battezzato fra gli altri
l’esordio di Giuseppe Verdi nel 1839 con l’opera Oberto Conte di San Bonifacio)
diventa un’istituzione culturale italiana.
Il 9 agosto
del 1859, davanti al re Vittorio Emanuele II, va in scena Lucia di Lammermoor di
Donizetti. Anche Verdi ritornò alla Scala e vi presentò ad esempio la prima
europea de l’Aida. Poi tempi duri, di crisi: nel 1897 la Scala venne chiusa dal
Comune di Milano su pressione dei socialisti, a causa della forte crisi
sociale. I soldi per riaprirla, un anno dopo, li mise il facoltoso patriota
Guido Visconti di Modrone, la direzione artistica fu affidata ad Arturo
Toscanini. Il 21 aprile 1889 fece il suo esordio Giacomo Puccini, con Edgar.
Due anni dopo, dai palchi più alti si ricavò la struttura del Loggione,
l’ambiente “popolare” da cui ancora oggi si decretano i successi o gli
insuccessi delle prime e dei debuttanti.
TRA LE GUERRE. Finita la
Prima guerra mondiale, i palchettisti rinunciano ai diritti di proprietà e
nasce un ente autonomo di gestione. Lo aiuta una sottoscrizione di cittadini
lanciata dal Corriere della Sera. Sfilano i migliori cantanti dell’epoca, da
Magda Oliviero a Giacomo Lauri Volpi, a Beniamino Gigli.
Nel 1929
sull’Italia e la Scala cala il fascismo. Il presidente dell’Ente Scala dovrà
essere nominato da Mussolini in persona e il ministero dell’Educazione impone
un suo rappresentante nel consiglio. Toscanini lascia la direzione e se ne va a
New York. Ritorna in Italia ma, schiaffeggiato dai fascisti davanti al Teatro
comunale di Bologna dopo essersi rifiutato di eseguire Giovinezza, decide di
lasciare il Paese nel 1931.
Il fascismo
regala alla Scala il primo palco a ponte mobile, ma la guerra la ferisce
duramente. Il 16 agosto del 1943 un bombardamento colpisce Milano. Della Scala
rimangono distrutti il tetto, la volta e lunghi tratti dei quattro ordini dei
palchi, i magazzini dei costumi, i camerini, le sale di studio del coro e di
ballo e i laboratori scenici. Dal ‘45 al ‘46 la ricostruzione. E il ritorno a
grande richiesta di Toscanini, con un’opera inaugurale, La gazza ladra, l’11 maggio del
1946. Fu lo spettacolo simbolo della rinascita. Erano presenti 5 mila persone
all’interno del teatro e diverse migliaia in Piazza della Scala e nelle vie
adiacenti, attrezzate con altoparlanti. Erano ancora i tempi in cui la gente
comune canticchiava i motivi dell’opera, conosceva bene i suoi protagonisti,
come oggi conosce i cantanti di musica leggera e gli attori. Seguì il boom
economico degli anni ‘50-‘60. Ma la Scala fu testimone soprattutto delle
contestazioni del decennio seguente.
CONTESTATA. Nel 1968 uno
dei leader della protesta giovanile, Mario Capanna, guidò una sorta di biblica
“cacciata dei mercanti dal tempio”: con uova marce e vernice, i giovani
contestatori attaccarono signori in smoking e signore in pelliccia giunti alla
Scala per la prima della stagione. Gli slogan li accusavano di essere
“borghesi” e “sfruttatori”. E l’appuntamento con le manifestazioni di piazza si
è perpetuato di anno in anno, nell’evento del 7 dicembre. Ma poi fu lo yuppismo
ad andare per la maggiore. Claudio Abbado e Riccardo Muti furono
rispettivamente direttore artistico e direttore musicale negli anni della
“Milano da bere” del sindaco Pillitteri, cognato di Bettino Craxi. Vennero
risistemati tutti gli arredi anche in base alle nuove norme di sicurezza. Con
la gestione di Carlo Fontana iniziarono le tournée della Scala all’estero, come
nel caso del Requiem di
Verdi, portato nella cattedrale di Notre-Dame, a Parigi.
Il grande
organismo musicale si è molto evoluto fra il 2002 e il 2004, con un restauro
conservativo, nuovi ambienti per gli artisti e un’articolata
macchina scenica. È stata rimossa la moquette rossa e sistemato un pavimento a
base di legno altrettanto acustico. Sono state restaurate pitture alle pareti e
intarsi dorati. Ben 3 mila metri aggiuntivi di damasco rosso hanno ravvivato il
tempio della musica.
Ma ha fatto
discutere il progetto dell’architetto Mario Botta che ha creato una torre
scenica e una ovale, due massicci volumi che hanno in parte cambiato il volto
originario dell’edificio. L’architetto l’ha spiegato così: «Oggi, rispetto ai
tempi di Piermarini, c’è più profondità visiva, dovuta allo spazio ricavato per
Piazza della Scala. I nuovi volumi sono arretrati rispetto alla costruzione
originale, con l’intento di evidenziare le facciate storiche nel rapporto
figurativo con il tessuto urbano e il linguaggio astratto delle nuove
costruzioni, in modo da separare i due diversi periodi storici». Una nuova
storia ha inizio. Franco Capone
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